Condannato il marito responsabile di lesioni personali aggravate in danno alla moglie e la obbliga a rapporti sessuali “forzati”.

(Corte di Cassazione Penale, sez. III, sentenza del 10.06.2015, n. 24586)

Ritenuto in fatto

Il Gup presso il Tribunale di Termini Imerese, con sentenza del 13/1/2014, resa a seguito di rito abbreviato, riconosceva M.H. responsabile dei reati di violenza sessuale continuata, maltrattamenti in famiglia, interruzione della gravidanza e lesioni personali aggravate commessi in danno della moglie, M.P.T.; condannava il prevenuto alla pena di anni 4, mesi 6 di reclusione, con applicazione delle pene accessorie.

La Corte di Appello di Palermo, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse dell’imputato, con sentenza del 21/11/2014, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione l’H. personalmente, contestando il discorso giustificativo, svolto dalla Corte di merito in relazione alla ritenuta sussistenza dei reati rubricati, avente a fondamento esclusivamente il giudizio di credibilità del narrato offerto dalla presunta vittima, senza avere tenuto nella adeguata considerazione quanto emerso dalle dichiarazioni dei medici che sottoposero a controllo sanitario la donna, dichiarazioni che si pongono in aperto contrasto con la versione dei fatti fornito dalla T.; inoltre è evidente il vizio di motivazione in ordine all’ingiustificato di N. delle circostanze attenuati generiche e alla dosimetria del trattamento sanzionatorio.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.

Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia, consente di rilevare la logicità e la correttezza della argomentazione motivazionale, adottata dal decidente, in relazione alla ritenuta concretizzazione dei reati in contestazione e alla ascrivibilità di essi in capo al prevenuto.

I primi due motivi di annullamento non possono trovare ingresso, perché sorretti da deduzioni fattuali, tendenti ad una analisi rivalutativi degli elementi costituenti il quadro probatorio, sui quali al giudice di legittimità è precluso procedere a nuovo esame estimativo.

Peraltro, la Corte distrettuale perviene a confermare il giudizio di responsabilità dell’H., già espresso dal Gip, a seguito di una rinnovata, puntuale ed esaustiva disamina di tutte le emergenze istruttorie, dando piena contezza delle ragioni per le quali il narrato offerto dalla M. deve essere considerato del tutto credibile, anche perché supportato da riscontri estrinseci (dichiarazioni rese da T.I.M., da P.l., U.M., S.L.; documentazione medica dell’Ospedale di Corleone, attestante il ricovero della donna nel settembre 2012).

Di poi, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la Corte di merito non omette di esaminare quanto dichiarato dai medici (L.M.F., C.F. e C.L.) che sottoposero a visita la T., anzi evidenzia che gli stessi rilevarono l’interruzione di gravidanza, avvenuta qualche giorno prima del ricovero, senza, però, poterne individuare la causa, ben potendo essere dovuta ad un fatto spontaneo o ad un evento traumatico.

Del pari manifestamente infondate sono le censure mosse al di N. delle attenuanti generiche e alla eccessività del trattamento sanzionatorio: la Corte territoriale, a giusta ragione, ha ritenuto il trattamento sanzionatorio applicato del tutto adeguato alla gravità delle condotte poste in essere dall’imputato, avuto riguardo ai criteri direttivi ex art. 133 cod.pen., evidenziando la intensità del dolo, come è agevole desumere dalla reiterazione dei plurimi e gravi fatti delittuosi, connotati dalla violenza alla persona, che, peraltro, versava in delicate condizioni fisiche, dovute allo stato di gravidanza, con ciò rigettando, implicitamente, la richiesta di applicazione del beneficio ex art. 62 bis cod.pen..

Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che l’H. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 cod.proc., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente determinata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.