Condannato l’uomo che aveva manomesso il citofono, con l’uso di uno stecchino, per provocarne l’ininterrotto funzionamento (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 29 ottobre 2020, n. 30012).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Rel. Consigliere

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Bagaglia Adriano, nato a Roma il 6/9/1956;

avverso la sentenza del 13/6/2019 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Carlo Renoldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale Dott.ssa Giuseppina Casella, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

udito, per l’imputato, l’avv. Fabrizio Tamburini in sostituzione dell’avv. Carlo Argenti, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Roma in data 13/6/2019, Adriano Bagaglia fu condannato alla pena di 300 euro di ammenda in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche, del reato di cui all’art. 660 cod. pen., per aver recato molestia alla vicina di casa, Lucia Iacolare, suonando il campanello della porta di ingresso dell’abitazione della stessa in piena notte; in Roma il 6 e l’8/3/2016.

Nello stesso frangente, l’imputato era stato, invece, assolto, per non avere commesso il fatto, in relazione all’accusa di avere suonato, in più circostanze, il citofono dell’abitazione della persona offesa, in modo continuativo e per diversi minuti, non essendo stata raggiunta la prova che fosse stato proprio Bagaglia l’autore delle denunciate molestie.

Considerato che le condotte erano ormai cessate, avendo l’imputato trasferito la propria abitazione, e considerato il tipo di molestia realizzata, il primo Giudice riconobbe le attenuanti generiche, anche in ragione dell’occasionalità della condotta e di limitare la pena a quella pecuniaria nella misura di 300,00 di ammenda.

2. Avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello lo stesso Bagaglia per mezzo del difensore di fiducia, avv. Carlo Argenti, deducendo quattro distinti motivi di impugnazione.

Nondimeno, con la predetta pronuncia l’imputato era stato condannato alla sola pena pecuniaria, sicché ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., la sentenza in questione avrebbe dovuto essere impugnata con il ricorso per cassazione.

Per tale ragione, gli atti sono stati trasmessi dalla Corte di appello di Roma al Giudice di legittimità, in applicazione del principio, tratto dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., secondo cui l’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l’ha proposta, sicché il giudice ha il potere-dovere di provvedere all’appropriata qualificazione del gravame, privilegiando, rispetto alla formale apparenza, la volontà della parte di attivare il rimedio all’uopo predisposto dall’ordinamento giuridico; e, se si tratta della Corte di cassazione, ritenere il giudizio qualificando l’impugnazione come ricorso, a norma degli artt. 620, lett. i), e 621 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 5291 del 22/12/2003, dep. 2004, Rv. 227092).

2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta la mancata assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste, quantomeno ex art. 530 cod. proc. pen. per mancanza e/o contraddittorietà della prova in ragione delle numerose contraddizioni tra quanto riferito dai testi, Lucia Iacolare e Andrea Di Maio, della non approfondita valutazione della deposizione della persona offesa, portatrice di interessi contrari a quello dell’imputato, anche in considerazione delle denunce sporte da quest’ultimo nei confronti della Iacolare per la realizzazione di un manufatto abusivo da parte della stessa.

Del resto, sia la persona offesa, sia il teste Di Maio, avrebbero riferito di non aver mai visto Bagaglia davanti al citofono.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura la mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., nonostante la particolare tenuità della lesione recata alla persona offesa e la non abitualità del comportamento, riscontrata dallo stesso Giudice in sede di applicazione della pena.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen., tenuto conto di quanto riferito dall’imputato in sede di esame a proposito di “rumori molesti nelle ore sensibili” da parte della persona offesa.

2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce la mancata concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale della condanna, nonostante lo stato di incensuratezza dell’imputato e la irrisorietà della pena pecuniaria applicata.

3. In data 4/8/2020 sono pervenuti in Cancelleria motivi nuovi trasmessi dall’avv. Carlo Argenti, con i quali è stato dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione apparente in relazione alla affermazione di responsabilità dell’imputato, fondata unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa, che non sarebbero state sottoposte al vaglio di credibilità soggettiva e di attendibilità richiesto dalla giurisprudenza di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è del tutto aspecifico, atteso che il ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, prospettando, in maniera del tutto generica, la presenza di non meglio precisate contraddizioni nel racconto dei due testimoni, ipotizzando intenti ritorsivi nella persona offesa derivanti da denunce non allegate all’impugnazione e, pertanto, dedotte in maniera non autosufficiente.

Del tutto aspecifico e in ogni caso irrilevante, infine, è il riferimento alla circostanza che i due testimoni abbiano raccontato di non aver mai visto Bagaglia davanti al citofono, considerato che per i relativi episodi l’imputato è stato assolto.

Quanto, poi, alla valutazione della testimonianza della persona offesa, premesso che la stessa non abbisogna di riscontri esterni per dispiegare una piena efficacia probatoria (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell’Arte, Rv. 253214), va comunque osservato che il racconto della Iacolare aveva trovato conferma, quanto alla realizzazione di interventi di disturbo della quiete domestica in orario notturno, nel racconto del teste Di Maio, che aveva riferito di avere riscontrato, in più circostanze, che il citofono era stato manomesso con l’uso di uno stecchino per provocarne l’ininterrotto funzionamento.

3. Il secondo motivo, con cui viene censurata la mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., è del pari inammissibile, trattandosi di questione “nuova”, mai dedotta nel giudizio di merito e, come tale, non proponibile, per la prima volta, in sede di legittimità (Sez. 6, n. 18061 del 15/3/2018, Cerra, Rv. 272974).

4. Non autosufficiente è, ancora, il terzo motivo, attraverso il quale l’impugnante lamenta la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen., atteso che le circostanze di fatto su cui si fonda la relativa deduzione, ovvero le dichiarazioni dell’imputato in sede di esame dibattimentale, sono state riportate senza allegare i relativi verbali, sicché non è possibile vagliare la fondatezza, pur in astratto, di quanto prospettato (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, Savasta, Rv. 263601).

5. Quanto, infine, alle doglianze formulate con il quarto motivo, il riferimento allo stato di incensuratezza dell’imputato, che in tesi avrebbe giustificato la concessione del doppio beneficio, non è stato corredato da alcuna produzione atta a documentare la relativa condizione; fermo restando che non risulta da alcun concreto elemento, in assenza di qualunque allegazione, che la difesa di Bagaglia avesse chiesto l’applicazione della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna (v. Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376; Sez. 1, n. 48422 del 9/9/2019, Novella, Rv. 277796 Sez. 3, n. 28690 del 9/2/2017, Rochira, Rv. 270587).

6. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.

7. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata.

PER QUESTI MOTIVI

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in data 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.