Condannato per avere rubato l’energia elettrica di un altro condomino (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 1 aprile 2022, n. 12192).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARLINI Enrico Vittorio Stanislao – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Rel. Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposta da:

(OMISSIS) Francesco Girolamo, nato a Gela il 12/07/19xx;

avverso la sentenza del 02/07/2020 della Corte Appello di Caltanissetta;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il riscorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa Renata SESSA;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vincenza SENATORE, ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

il difensore, con le memorie in atti, ha concluso insistendo nell’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 2 luglio 2020 la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Gela nei confronti di (OMISSIS) Francesco Girolamo, dichiarato colpevole, in sede di giudizio abbreviato, del reato di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625 numero 2 C.P..

2. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo sei motivi.

2.1. Col primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla condotta necessaria per configurare il reato di cui all’articolo 624 P. contestato all’imputato; ciò, stante la mancanza della prova idonea ad affermare la colpevolezza del (OMISSIS) in considerazione della insufficienza o contraddittorietà degli elementi emersi; ed invero la ricostruzione dei fatti operata dal personale dell’Enel conferma soltanto la manomissione del contatore ma non attesta l’entità dell’energia sottratta e il suo valore economico; né può inferirsi la prova della sottrazione dell’energia elettrica dall’esercizio della violenza sulla cosa che connota le modalità dell’azione e non è indice del fatto che il delitto sia stato consumato.

Nè si considera che l’imputato non è il proprietario dell’alloggio di edilizia popolare nel quale è stato rinvenuto il contatore manomesso, intestato ad altro soggetto, ma soltanto ospite transitorio per trascorrere le ore notturne, pur avendo egli ivi fissato la sua residenza in mancanza di altra abitazione.

Trattasi, infatti, di soggetto disperato che vive di stenti, che cerca di sbarcare il lunario in qualsiasi modo e trova rifugio in quell’alloggio popolare occupato abusivamente unitamente ad altri soggetti.

Non si può affermare, in definitiva, che sia stato, quindi, proprio lui l’artefice della manomissione del contatore, sicché si sarebbe dovuto giungere a una pronuncia assolutoria quantomeno ai sensi dell’articolo 530 comma 2 C.P.P..

2.2. Col secondo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 C.P.; anche se l’imputato potesse essere considerato potenzialmente beneficiario del furto di energia elettrica di cui ha tratto godimento, sicuramente non vi sarebbe prova, però, che sia stato lui a commettere la manomissione del contatore al fine di trarne profitto; sicché in assenza di tale aggravante, si sarebbe dovuto assolvere l’imputato mancando la condizione di procedibilità rappresentata dalla querela della persona offesa.

2.3. Col terzo motivo deduce la erronea applicazione della legge penale relativamente alla non punibilità del fatto per particolare tenuità del fatto ex articolo 131 bis C.P., versandosi in ipotesi di non apprezzabile valore economico del bene sottratto.

Ancora una volta la Corte territoriale erra al riguardo ritenendo che non potesse riconoscersi tale fattispecie in considerazione del limite edittale legato alla erronea ritenuta sussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose.

2.4. Col quarto motivo deduce I’ erronea applicazione della legge penale relativamente alla scriminante di cui all’articolo 54 C.P. e ciò in considerazione delle condizioni di estremo disagio in cui vive l’imputato; condizioni emerse nel corso del processo unitamente ai dati reddituali allegati alla richiesta di ammissione al gratuito

La Corte territoriale erroneamente, invece, sostiene che il riconoscimento dell’esimente invocata è interdetto dal fatto che essa non è stata sostenuta da alcun supporto dimostrativo dal momento che non basta per riconoscerla il bisogno economico e il disagio abitativo; e ciò nonostante, invece, le sue condizioni economiche risultassero fin troppo evidenti avendo lo stesso presentato l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio corredata dalla necessaria documentazione.

2.5. Col quinto motivo, erroneamente indicato come sesto, deduce erronea applicazione della legge penale relativamente alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’articolo 624 C.P..

2.6. Col sesto motivo, erroneamente indicato come settimo, deduce l’erronea applicazione della legge penale relativamente agli artt. 132, 133 C.P. lamentando la mancata applicazione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza alla contestata aggravante e alla recidiva.

3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:

il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;

il difensore dell’imputato nel controdedurre agli argomenti esposti dal P.G. conclude insistendo nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. II ricorso è inammissibile.

1.1. Il primo motivo pecca di specificità, non confrontandosi esso con la ricostruzione svolta dai giudici di merito.

La decisione di secondo grado non può, infatti, essere isolatamente valutata, ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che la motivazione di entrambe sostanzialmente si dispiega in sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (trattasi di cd. doppia conforme); e da esse emerge con chiarezza che l’imputato non occupava transitoriamente l’immobile, ma risedeva stabilmente presso di esso dal 25.7.2013 e che fu lo stesso imputato ad ammettere di essersi allacciato abusivamente al contatore intestato ad altro soggetto, ivi non residente.

Sicché le censure formulate col primo motivo, nell’appalesarsi meramente reiterative rispetto a quelle formulate in appello, ove ricevevano adeguata risposta anche mediante il richiamo alla pronuncia di primo grado, denotano di non essersi confrontate, come avrebbero dovuto, con la complessiva ricostruzione del fatto, ampiamente indicativa della colpevolezza dell’imputato.

1.2. Quanto alla contestazione dell’aggravante è solo il caso di evidenziare che il motivo al riguardo era stato formulato in appello in maniera del tutto generica e inappropriata, essendosi l’appellante limitato a citare la giurisprudenza di questa Corte con riferimento al mezzo fraudolento che non ha alcuna attinenza con l’aggravante della violenza sulla cosa, contestata e ravvisata nel caso di specie, sicché rimane preclusa a questa Corte la valutazione che si sollecita, ora, al riguardo in maniera del tutto nuova e con evidenti incursioni in fatto.

1.3. Il motivo con cui ci si duole del mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 131 bis è manifestamente infondato avendo la corte territoriale correttamente già evidenziato come il limite edittale della pena precludesse, a monte, l’applicabilità di tale ipotesi.

1.4. Anche in relazione allo stato di bisogno deve rilevarsi l’assoluta genericità del motivo formulato in appello ove in maniera del tutto sfumata vi è un accenno ad esso; la corte territoriale, ciò nondimeno, ha adeguatamente motivato anche al riguardo, evidenziando come l’appellante non avesse indicato alcuna valida ragione per la quale dovesse riconoscersi la scriminante di cui all’art. 54 pen., al di là di un riferimento generico e non documentato ad un disagio economico; carenza a cui il ricorso tenta di ovviare tardivamente in questa sede con riferimenti, peraltro, a circostanze genericamente indicate e che comunque non danno conto delle coordinate fattuali necessarie per la configurazione dello stato di necessità in relazione alla fattispecie in scrutinio.

Ed invero, come ha già avuto correttamente modo di evidenziare, richiamando la giurisprudenza di legittimità, la corte territoriale, l’esimente dello stato di necessità postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno economico, qualora ad esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti.

1.5. Il quinto motivo, erroneamente indicato come sesto, che lamenta la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’art. 624 c.p. è del tutto generico e comunque nuovo, in quanto non formulato in appello; e quindi inammissibile.

1.6. Il sesto motivo, erroneamente indicato come settimo, che lamenta il mancato riconoscimento delle già concesse attenuanti generiche con giudizio di prevalenza è del tutto generico e comunque nuovo non risultando formulato in appello (in cui ci si limitava genericamente a lamentare la eccessiva gravosità della pena inflitta, di mesi otto di reclusione e di euro 200,00 di multa).

2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 606 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 10/2/2022.

Depositato in Cancelleria, Roma 1° aprile 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.