REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta da:
GIACOMO TRAVAGLINO Presidente
ENRICO SCODITTI Consigliere
ENZO VINCENTI Consigliere
MARILENA GORGONI Consigliere-Rel.
CARMELO CARLO ROSSELLO Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21920/2020 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis);
-ricorrente-
contro
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliata in (omissis);
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 192/2020 della Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, depositata in data 07/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/09/2023 dal Consigliere dott.ssa MARILENA GORGONI.
Premesso in fatto che:
(omissis) (omissis) conveniva in giudizio (omissis) (omissis) chiedendone la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale da determinare in via equitativa, adducendo che il convenuto era stato condannato dal Tribunale penale di Taranto (sent. n. 1078/2009) alla pena della reclusione e al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede per i reati di cui agli artt. 572 e 582 cod.pen. commessi nei suoi confronti;
il giudice adito, con la sentenza n. 2847/2017, liquidava a favore dell’attrice a titolo di danno morale la somma di euro 50.000,00;
(omissis) (omissis) impugnava detta decisione, lamentando il passaggio in giudicato della sentenza del giudice penale che aveva ritenuto provato il fatto-reato, ma non il danno subito dalla vittima e deducendo che:
i) il giudice civile non avrebbe potuto accogliere la domanda risarcitoria sulla base dei soli elementi istruttori raccolti in sede penale;
ii) la condanna risarcitoria e la misura della stessa erano stata determinate sulla base della situazione di terrore in cui la vittima avrebbe vissuto per dieci anni, sebbene nell’atto di citazione (omissis) (omissis) on avesse allegato tale circostanza, ma solo di aver subito ingiurie e la rottura del setto nasale;
iii) la somma liquidata non era stata determinata secondo criteri di adeguatezza, di logicità, di coerenza e di proporzionalità, ma con criteri puntivi;
la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con la pronuncia n. 192/2020, resa pubblica in data 7 luglio 2020, ha rigettato l’impugnazione;
(omissis) (omissis) ricorre per la cassazione di detta decisione, avvalendosi di cinque motivi;
(omissis) (omissis) resiste con controricorso;
la trattazione del ricorso e stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod.proc.civ.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte;
il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1) con il primo motivo e denunciata la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 proc.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.;
la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sul motivo con cui era stato dedotto che il Tribunale, oltre ad essere incorso nella violazione del giudicato penale, aveva supplito all’inerzia difensiva della parte, accogliendone la richiesta risarcitoria sulla scorta dell’accertamento – “frutto della inventiva del Tribunale” – del fatto che la odierna controricorrente sarebbe vissuta per 10 anni in uno stato di terrore, provocato dai reati commessi;
il motivo non ha pregio;
contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte d’Appello si e pronunciata sul motivo di gravame, affermando, alle pp. 6 e 7, che “del tutto irrilevante si appalesa la notazione del (omissis) circa la mancata allegazione da parte della (omissis) di essere vissuta nel terrore per 10 anni’ . atteso che siffatta opinione era stata espressa solo dal Tribunale e per ricondurre al relativo ‘clima’, quasi con immagine icastica, il lunghissimo periodo di condotte delittuose poste in essere dal (omissis) in danno del coniuge”;
2) con il secondo motivo si censura il difetto di motivazione o almeno la motivazione meramente apparente e quindi la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.;
la Corte territoriale avrebbe rigettato senza alcuna motivazione il motivo di appello con cui era stato lamentato che il Tribunale aveva ritenuto sufficienti gli elementi raccolti in sede penale per l’affermazione del diritto risarcitorio di (omissis) (omissis) nonostante la sentenza del giudice penale avesse statuito che “alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato contestatogli consegue quella per i danni subiti dalla citata parte, per la cui liquidazione non essendo stata raggiunta in questa sede la piena prova le parti debbono essere rimesse dinanzi al Giudice civile”;
la Corte d’appello – sostiene, specificamente il ricorrente – avrebbe relegato la statuizione del giudice penale a mera opinione temporanea suscettibile di essere superata e contraddetta dal giudice civile e non avrebbe spiegato perché gli elementi che il giudice penale aveva ritenuto insufficienti per l’accoglimento della domanda risarcitoria siano stati, in contrasto con la sentenza penale passata in giudicato, invece sufficienti per il giudice civile;
il motivo é infondato;
in prima battuta, occorre osservare che al contrario di quanto deduce il ricorrente la Corte d’appello ha motivato la propria statuizione e lo ha fatto con un ragionamento logico e giuridico esente da censure e conforme alla giurisprudenza di legittimità, là dove ha ritenuto non coperta da giudicato l’affermazione del giudice penale in ordine alla insufficienza degli elementi probatori atti a quantificare il danno lamentato dalla parte civile;
va poi rilevato che se il ricorrente ha inteso invocare il passaggio in giudicato della statuizione del giudice penale circa l’assenza di prova del danno sarebbe incorso in un evidente error in iure, per contrasto con l’art. 539 cod.proc.pen., a mente del quale “il giudice, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile”;
esercitando l’azione civile nell’ambito del giudizio penale, il danneggiato persegue la completa tutela del suo diritto esattamente come l’avrebbe potuta ottenere in sede civile, con l’unica eccezione – giustificata dalla insufficienza probatoria – della fattispecie di cui all’art. 539 c.p.p. (specchio che riflette l’ipotesi dell’art. 278 cod.proc.civ., con la differenza che il giudice penale deferisce ad altro giudice, quello civile, la seconda fase di accertamento già sottoposta al suo esame) (Cass. 15/10/2019, n. 25918);
la facoltà del giudice penale di pronunciare una condanna generica al risarcimento del danno ed alla provvisionale, prevista dall’art. 539 c.p.p., non incontra restrizioni di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul quantum, bensì trova implicita conferma nei limiti dell’efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile per la restituzione e il risarcimento del danno fissati dall’art. 651 c.p.p. quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità ed all’affermazione che l’imputato l’ha commesso, escludendosi, perciò, l’estensione del giudicato penale alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall’imputato (Cass. pen. 26/01/1999, n. 1045);
anche se si potesse ricostruire la lacunosa e generica trama argomentativa del ricorrente, anche superando l’equivoco tenore letterale delle sue affermazioni, ipotizzando che la sua censura riguardi il mancato svolgimento di una nuova attività istruttoria da parte del giudice a quo e che quindi coperta da giudicato debba intendersi l’impossibilita con le prove raccolte nel giudizio penale (prove che si ridurrebbero “alla sola dichiarazione accusatoria della (omissis) alla “coerenza tra la deposizione della stessa e il contenuto della querela”) di liquidare il danno richiesto, il motivo non meriterebbe accoglimento per le seguenti ragioni:
a proposito della sentenza di condanna generica con rinvio al giudice civile per la determinazione del quantum occorre seguire l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui nel caso di sentenza penale che, accertando l’esistenza del reato, abbia rinviato al giudizio civile la liquidazione del danno, ha effetto vincolante nel giudizio civile, in relazione alla declaratoria iuris, di generica condanna al risarcimento e/o alle restituzioni, ferma restando la necessita dell’accertamento, in sede civile, dell’esistenza e dell’entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come “potenzialmente” dannoso e del nesso di derivazione casuale tra questo e i pregiudizi lamentato dai danneggiati (cfr., tra le decisioni più recenti, Cass. 04/10/2022, n. 28714; Cass. 02/08/2022, n. 23960; Cass. 05/05/2020, n. 8477);
l’effetto della statuizione civile contenuta nella sentenza penale di condanna generica al risarcimento dei danni comporta, una volta divenuta irrevocabile, come in questo caso, il definitivo accertamento della responsabilità dell’imputato, precludendo ogni ulteriore valutazione sull’an della responsabilità stessa innanzi al giudice civile;
qualunque sia la qualificazione giuridica attribuibile al fatto potenzialmente lesivo, anche alla luce della consolidata giurisprudenza sovranazionale in termini di idem factum, l’accertamento compiuto in sede penale fa sì che il giudice civile possa esclusivamente verificare la sussistenza della derivazione causale delle conseguenze pregiudizievoli allegate dal danneggiato ai fini della corretta definizione del danno risarcibile; la decisione assunta in sede penale non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla qualificazione del danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della potenziale capacita lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza – desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità – di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, mentre resta impregiudicato l’accertamento, riservato al giudice civile, in ordine al quantum del danno da risarcire; entro tali limiti, detta condanna, una volta divenuta definitiva, ha effetti di giudicato sulla azione civile e portata onnicomprensiva, riferendosi ad ogni profilo di pregiudizio scaturito dal reato, ancorché non espressamente individuato nell’atto di costituzione di parte civile o non fatto oggetto di pronunce provvisionali, che il giudice non abbia formalmente dichiarato di escludere nel proprio dictum (Cass.14/02/2019, n. 4318);
la sentenza ritenuta capostipite di detto orientamento -la n. 14921 del 21/06/2010- ha affermato quanto segue: “nei cosiddetti reati di danno, implicito nell’accertamento del “fatto-reato”, e il riferimento, sulla base delle regole di diritto civile, al danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalità materiale, ma non al danno conseguenza, per il quale l’indagine da compiere e quella del nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (art. 1223 cod.civ.)”;
deve, pertanto, concludersi che la sentenza penale emessa dal Tribunale di Taranto aveva accertato la potenzialità dannosa tanto del reato di danno quanto del nesso di causalità materiale tra questo e la condotta del responsabile, senza pronunciarsi sul nesso di causalità giuridica che legava quell’evento di danno alle conseguenze dannose dell’illecito, ex art. 1223 cod.civ., per l’accertamento delle quali aveva ritenuto necessaria un’ulteriore indagine, rimessa al giudice civile, circa la consistenza delle conseguenze pregiudizievoli dell’evento, al fine di procedere alla relativa liquidazione (Cass. 5/05/2020, n. 8477; Cass. 24/01/2023, n. 2040);
pertanto, quando la Corte territoriale ha affermato che il giudice penale non si era pronunciato con efficacia di giudicato sull’insussistenza di elementi sufficienti per la quantificazione del danni non e affatto incorsa in errore; né ha sbagliato quando ha considerato alla stregua di opinione l’affermazione del Tribunale circa l’assenza di piena prova circa il quantum debeatur, intendendo, per un verso, rimarcare che quella del giudice non era una statuizione suscettibile di dar luogo alla formazione di alcun giudicato, e, per altro, precisare che si trattava di una conclusione del Tribunale di Taranto basata su una logica opinativa compiuta con le regole proprie del giudizio penale quanto all’attendibilità delle fonti di prova, all’assegnazione di valore probatorio ai dati con funzione probatoria, alla regola di connessione tra premesse e conclusione probatoria, alla determinazione della forza del nesso di consequenzialità;
tantomeno il giudicante può essere criticato per aver ritenuto “temporanea” l’assenza di elementi sufficienti per la concreta determinazione dei danni, atteso che la qualificazione “temporanea” e da intendersi riferita alla valutazione Tribunale di Taranto in quella fase del giudizio penale, governato da uno standard di prova, vale a dire di una soglia di convincimento raggiunta la quale il giudice può ritenere pienamente provato il fatto e portare lo stesso a fondamento della decisione, differente da quello civile;
il giudice a quo, dunque, non e affatto incorso in errore quando ha ritenuto che la conclusione opinativa del giudice penale non era tale da ritenere per il giudice civile “inibito poter giungere a siffatta liquidazione . non essendo la domanda risarcitoria della (omissis) é stata rigettata per mancanza di fondamento, ma invece accolta, con mera rimessione al giudice civile dell’onere della valutazione degli elementi fattuali acquisiti in sede penale e allo scopo della sola concreta liquidazione di danni già irrevocabilmente accertati nella relativa dimensione ontologica” (pp. 5-6);
in aggiunta, mette conto osservare:
a) che la Corte ha fatto anche corretta applicazione del principio, al quale si intende prestare adesione, secondo cui “il giudice civile, investito della domanda di risarcimento del danno da reato, ben può utilizzare, senza peraltro averne l’obbligo, come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere alla relativa valutazione con pienezza di cognizione al fine di accertare i fatti materiali all’esito del proprio vaglio critico” (così, da ultimo, Cass. 06/07/2022, n. 21402);
b) con specifico riferimento ai poteri di valutazione delle risultanze probatorie riservati al giudice di merito, l’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (imposto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con la sentenza 21 settembre 2010, Marcos Barrios Italia, in relazione all’art. 6, 1 della Convenzione EDU) si impone soltanto in ambito penalistico ogni qualvolta si intenda riformare la sentenza assolutoria di primo grado in ossequio della regola di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” e della garanzia costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., comma 2, ma non e applicabile ai giudizi risarcitori civili, governati – in tema di accertamento del nesso causale tra condotta illecita e danno – dalla diversa regola probatoria del “più probabile che non”, a maggior ragione ove venga richiesta in appello l’affermazione della responsabilità del presunto danneggiante: in termini, cfr. Cass. 14/09/2022, n. 27016;
la deduzione del ricorrente circa il fatto che la condanna sia stata giustificata solo in ragione della deposizione resa nel processo penale da (omissis) (omissis) é generica, non é supportata dall’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ. – il ricorrente si limita ad asserire che la decisione del giudice a quo si sia basata sulle lagnanze della vittima – e non e stata neppure censurata per violazione dell’art. 246 cod.pen., ai sensi del quale non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio;
il Collegio ribadisce anche che:
i) l’interrogatorio della parte lesa, assunto in sede di giudizio penale, e atto processuale morfologicamente valido che non può assumere nel giudizio civile il carattere della prova civile o della prova atipica, ma che può essere legittimamente utilizzato dal giudice civile, come argomento di prova, ex art. 117 cod.proc.civ., a nulla rilevando che sia stato un altro giudice a raccoglierlo (con tutti i crismi di legittimità indicati dalla norma, ivi compreso il rispetto del principio del contraddittorio, che informa di se l’intero processo penale nella sua nuova forma accusatoria): sul punto cfr. amplius Cass. n. 27016/2022, citata;
ii) l’argomento di prova può tingersi di autonoma efficacia probatoria, sufficiente ad offrire al giudice la dimostrazione del factum probandum, costituendo una vera e propria inferenza che il giudice può trarre dalle circostanze indicate dalla norma, allo stesso modo in cui, ex art. 2727 cod.civ., puo trarre da un fatto noto conseguenze relativa ad un fatto ignorato, e ciò, in particolare, se l’interrogatorio verta su circostanze tali da poter essere conosciute soltanto dalle parti (Cass. 1435/1975; Cass. 1481/1968);
rileva, inoltre, che il ricorrente avrebbe solo potuto contestare le conclusioni cui il giudice a quo e pervenuto traendole dal suddetto argomento di prova, confutando la gravita, la precisione e la concordanza dell’elemento indiziante e l’idoneità a dimostrare l’enunciato;
3) con il terzo motivo alla sentenza gravata si imputa non solo d’aver violato gli artt. 111 Cost. e 132 cod.proc.civ., per difetto di motivazione, ma anche di aver violato e falsamente applicato l’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale di cui al rd n. 262/1942, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
attinta da censura e la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto coperto da giudicato l’accertamento dei danni sofferti da (omissis) (omissis) ma non anche la ricorrenza di elementi sufficienti per la quantificazione degli stessi ed ha, di conseguenza, ritenuto non precluso al giudice civile di poterli liquidare sula base delle circostanze fattuali tutte elencate nella sentenza penale, essendo la sentenza penale passata in giudicato vincolante per il giudice civile solo per l’accertamento del fatto, ma non con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinenti agli effetti civili della pronuncia (Cass. 8360/2010);
la tesi sostenuta e che il giudice a quo non si sia posto il problema della natura del comando contenuto nella sentenza del Tribunale penale di Taranto, confermata dalla Corte d’appello con sentenza n. 132/2012, non abbia considerato che il comando e assimilato alla norma giuridica e non l’abbia interpretato secondo i criteri di cui all’art. 12 delle preleggi, perché l’accertamento coperto dal giudicato penale riguardava solo il diritto processuale e non anche quello sostanziale, sicché mentre in sede penale la dichiarazione accusatoria della parte lesa e sufficiente per affermare la responsabilità penale dell’imputato, in sede civile essa non può costituire piena prova e non può portare da sola all’accoglimento della domanda risarcitoria;
il motivo non può accogliersi;
l’illustrazione che lo supporta in parte riproduce gli argomenti già spesi con il mezzo impugnatorio precedente (cfr. supra), in parte pretende di addivenire ad un diverso esito dell’attività interpretativa del giudicato, senza, peraltro, neppure individuare ed argomentare l’error iuris inerente alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi; la giurisprudenza di questa Corte e costante nel rilevare che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o nell’affermazione erronea della esistenza o della inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non e idonea a regolarla o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione; in ultima analisi il motivo risulta comunque direttamente fattuale, in quanto complessivamente ed in ultima analisi ciò che ne sta alla base e, in massima parte, la sollecitazione ad una diversa esito dell’attività di interpretazione del giudicato;
4) con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in subordine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 civ. nonché degli artt. 1362 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
il giudicato sarebbe stato erroneamente considerato dal giudicante una opinione temporanea, con evidente violazione dell’art. 2909 cod.civ.; in aggiunta la Corte d’appello avrebbe enfatizzato l’espressione “liquidazione” ed avrebbe attribuito alle lagnanze di parte efficacia di piena prova, accogliendo la domanda risarcitoria;
il motivo per la parte in cui denuncia la violazione del giudicato e dei criteri ermeneutici espone alle stesse argomentazioni formulate con rifermento al motivo precedente; l’unica differenza rispetto ad esse risiede nel fatto che qui il ricorrente ipotizza la doverosa applicazione, da parte del Collegio giudicante, delle regole di ermeneutica contrattuale – anziché di quella legale – al giudicato; nondimeno, a parte lamentare in maniera generica che la Corte territoriale abbia enfatizzato il canone letterale, ed in particolare l’espressione “liquidazione” impiegata dal Tribunale penale, null’altro ha addotto al fine di supportare la sua tesi;
priva di riscontri e del tutto assertiva é la censura relativa al fatto che la Corte territoriale ha attribuito efficacia di piena prova alle “lagnanze” di (omissis) (omissis) in primo luogo, un conto e ritenere o meno un fatto pienamente provato, un altro e la efficacia attribuita ad un mezzo di prova; il ricorrente dimostra di confondere i due piani quando, dopo aver dato atto che il Tribunale penale di Taranto aveva rimesso al giudice civile la liquidazione del danno, perché dello stesso non era stata raggiunta la piena prova, imputa al giudice a quo di aver attribuito efficacia di piena prova alle lagnanze di parte (p. 15);
vale ribadire, inoltre, quanto già rilevato supra § 1., lett. b, circa le informazioni rese da (omissis) (omissis) in secondo luogo, si deve osservare che la Corte d’appello, chiamata a quantificare il danno, la cui ricorrenza era stata già accertata in sede penale, ha presunto che “l’evidente notevole gravita delle condotte del (omissis) dettagliatamente descritte nelle sentenze penali” avessero comportato “sofferenza morale notevolissima, oltre che fisica (frattura del setto nasale);
detta statuizione non e stata confutata dal ricorrente, la cui strategia difensiva e pervicacemente incentrata sul tentativo di far ritenere coperta dal giudicato l’affermazione del Tribunale penale circa il mancato raggiungimento della piena prova per la quantificazione del danno risentito dalla parte civile;
5) con il quinto ed ultimo motivo si muovono alla sentenza impugnata tre ordini di censure:
A) la violazione dell’art. 112 proc.civ. per extrapetizione;
B) il difetto di motivazione o la ricorrenza di una motivazione meramente apparente;
C) la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 cod.civ.;
il ricorrente sostiene che (omissis) (omissis) aveva chiesto il risarcimento del danno sul rilievo che il reato commesso risultava particolarmente odioso e riprovevole, mentre il Giudice d’appello ha ritenuto coperto da giudicato l’accertamento di più condotte delittuose, che non aveva mai allegato di aver vissuto per dieci anni in regime di terrore, che, pertanto, dalla condanna risarcitoria avrebbe dovuto essere esclusa la quota parte riferibile alle condizioni di terrore decennale, inventate dal Tribunale, ed avrebbe dovuto dar conto di tutte le circostanze considerate e del percorso logico compiuto;
oltre alla violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ. quanto al contenuto della domanda risarcitoria formulata da (omissis) (omissis) con l’atto di costituzione come parte civile, va anche tenuto conto che la Corte d’appello ha ritenuto dedotto per la prima volta con la conclusionale che la richiesta risarcitoria avrebbe dovuto limitarsi ai danni derivanti da ingiurie e lesioni e che detta statuizione non e stata efficacemente confutata dal ricorrente; ne discende l’infondatezza della dedotta violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. (A);
deve negarsi anche la sussistenza di vizi sotto il profilo motivazionale perché la Corte d’appello ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto sussistente il danno morale liquidato alla vittima (B) e quanto alla violazione degli artt. 1226 e 2056 cod.civ. il ricorrente omette ogni raffronto con la sentenza impugnata nella parte in cui afferma: “il Tribunale ha liquidato il danno non patrimoniale subito dalla (omissis) con valutazione equitativa ex art. 1226 cod.civ. e non é stata formulata alcuna deduzione e/o eccezione atta a utilmente sostenere la – del tutto genericamente – censurata mancanza di ‘adeguatezza e proporzionalità del risarcimento alla stessa riconosciuto ” (p. 6);
peraltro, non corrisponde al vero che la Corte territoriale ha smentito la sentenza del Tribunale quanto al fatto che la vittima abbia vissuto dieci anni di terrore: la Corte ha sostenuto ben altro (p. 7) e, contrariamente, a quanto rappresentato dal ricorDraetanptuebblihcaazi condiviso con il Tribunale il fatto che le condotte delittuose poste in essere a carico della moglie si fossero protratte per un lunghissimo periodo;
6) il ricorso va, dunque, rigettato;
7) le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
8) si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1° quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso nella Camera di Consiglio del 25/09/2023 dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Il Presidente
Dott. Giacomo Travaglino
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2023.