REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PELLEGRINO Andrea – Presidente –
Dott. AIELLI Lucia – Consigliere –
Dott. DI PISA Fabio – Consigliere –
Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), nata a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 10/12/2021 della Corte d’appello di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott. GIUSEPPE NICASTRO
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa FELICETTA MARINELLI, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’Avv. VALERIO (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) (OMISSIS) che, nel replicare alle conclusioni del Pubblico Ministero, ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10/12/2021, la Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza del 09/02/2021 del Tribunale di Trapani di condanna di (OMISSIS) (OMISSIS) per i reati di appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11), (capo A dell’imputazione) e di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico (capo B dell’imputazione) alla pena quattro mesi di reclusione ed Euro 400,00 di multa.
Secondo i capi d’imputazione, i predetti due reati erano stati contestati alla (OMISSIS):
a) quello di appropriazione indebita aggravata, “perché, nella qualità di socia della cooperativa denominata “(OMISSIS) Soc. Coop. Soc. Onlus” con sede legale in (OMISSIS) e gestore del bar denominato “(OMISSIS)” corrente in (OMISSIS), al fine di procurare a sé un ingiusto profitto, nello svolgimento della mansione di soggetto preposta alla cassa, nonostante la richiesta di consegna delle somme avvenuta in data (OMISSIS), si appropriava degli incassi (somma pari a circa 2.500 Euro) relativi al periodo compreso tra il (OMISSIS), delle somme consegnatele da (OMISSIS) (OMISSIS) pari ad Euro 150,00, nonché 500 Euro che illegittimamente tratteneva e corrispondeva al marito (OMISSIS) (OMISSIS), invece che versare tutte le suddette somme in favore dell’amministratrice (OMISSIS) (OMISSIS). In (OMISSIS) in data compresa tra il (OMISSIS)” (capo A dell’imputazione);
b) quello di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico, “perché, nella qualità di socia della cooperativa denominata “(OMISSIS) Soc. Coop. Soc. Onlus”, durante un’assemblea societaria tenutasi in (OMISSIS) presso lo studio notarile del notaio (OMISSIS) (OMISSIS), pubblico ufficiale, ed alla presenza della stessa, dichiarava falsamente nel verbale di assemblea avente n. 9 di repertorio, n. 8 della raccolta, che il numero dei soci in quel momento iscritti nel relativo libro, era 3 (tre) ai sensi dell’art. 21 dello statuto sociale, invece dei reali 5 (cinque), così come attestato nell’estratto autentico del libro dei soci precedentemente redatto. In (OMISSIS) in data (OMISSIS)” (capo B dell’imputazione).
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte d’appello di Palermo, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, (OMISSIS) (OMISSIS), affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), con riferimento all’ art. 192 e art. 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice: “mancata e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in punto di rigetto del 1 motivo di appello proposto da (OMISSIS) (OMISSIS) – errata mancata assoluzione dal reato di cui all’art. 646 c.p., perché il fatto non sussiste; travisamento delle risultanze probatorie; mancata disamina degli elementi probatori a discarico dell’accusa”.
Nel denunciare i predetti vizi della sentenza impugnata relativamente all’affermazione della propria responsabilità per il reato di appropriazione indebita, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Palermo non avrebbe tenuto conto di quanto era stato addotto dalla difesa in ordine all’inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS) (OMISSIS), avrebbe illogicamente ritenuto l’appropriazione nonostante la stessa persona offesa avesse dichiarato che, fino al 28 agosto 2014, essa aveva ricevuto dall’imputata tutti gli incassi del bar “(OMISSIS)” e che, successivamente, non vi erano stati incassi perché lo stesso bar era stato chiuso, avrebbe illogicamente ritenuto l’inattendibilità delle dichiarazioni del testimone (OMISSIS) (OMISSIS), (marito dell’imputata) relative all’appropriazione indebita e, invece, l’attendibilità delle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS) relative alla falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, non avrebbe considerato che le dichiarazioni della persona offesa erano rimaste prive di riscontri “oltre che contraddette dai testi escussi a dibattimento, ovvero (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che da quanto riferito dalla stessa imputata”.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), con riferimento all’art. 192 dello stesso codice: “mancata e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in punto di rigetto del primo motivo di appello proposto da (OMISSIS) (OMISSIS) – errata mancata assoluzione dal reato di cui all’art. 483 c.p., perché il fatto non sussiste; travisamento delle risultanze probatorie; mancata disamina degli elementi probatori a discarico dell’accusa”.
Nel denunciare i predetti vizi della sentenza impugnata relativamente all’affermazione della propria responsabilità per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Palermo abbia fondato il proprio convincimento esclusivamente sul contenuto delle dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS) (OMISSIS), nonostante che, dalle dichiarazioni dei testimoni (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS). e (OMISSIS) (OMISSIS) e dal documento costituito dalla pec del notaio (OMISSIS) del (OMISSIS), (con la quale lo stesso notaio aveva chiesto alla (OMISSIS) (OMISSIS) di produrre un estratto del libro soci della cooperativa), emergessero seri elementi che facevano dubitare dell’attendibilità delle predette dichiarazioni di (OMISSIS) (OMISSIS) e che, invece, facevano ritenere la fondatezza dell’assunto difensivo secondo cui l’imputata, il (OMISSIS), non era a conoscenza del fatto che i soci della cooperativa “(OMISSIS)” erano cinque e non tre e, in particolare, che i nominativi dei due ulteriori soci (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), ammessi con la Delib. dell’amministratore unico (OMISSIS) (OMISSIS) del (OMISSIS), erano stati annotati nel libro dei soci.
2.3. Con il terzo motivo – relativo sempre all’affermazione di responsabilità per il reato falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico – la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), l’erronea applicazione dell’art. 2528 c.c., “in relazione alle procedure di ammissione di nuovi soci nella società cooperativa”.
La ricorrente rappresenta in proposito che, contrariamente a quanto appare avere ritenuto la Corte d’appello di Palermo, l’amministratore unico di una società cooperativa non potrebbe autonomamente ammettere un nuovo socio ma “ha l’obbligo di convocare regolare assemblea ed una volta regolarmente costituita ed esaminate le domande di ammissione dei nuovi soci, i loro curriculum, ed i loro requisiti professionali e morali, si esprime se ammetterli oppure no”.
La ricorrente deduce altresì che: al verbale della deliberazione dell’amministratore unico con la quale erano stati ammessi i due nuovi soci non erano stati allegati i documenti necessari per tale ammissione (segnatamente: le domande di ammissione; i curricula; il versamento delle somme necessarie per l’acquisto delle quote; la manifestazione di volontà di volere partecipare alla cooperativa); “(s)e realmente tali soci, fossero stati realmente inseriti nella compagine sociale, non si comprende perché non siano mai stati visti dal (OMISSIS) (OMISSIS) (pasticcere del bar) o da altri soci lavorare nel bar”.
2.4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riferimento agli artt. 62-bis e 133 c.p.: “mancata e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità in punto di rigetto del terzo motivo di appello – errato riconoscimento dell’equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante contestata ed eccessività della determinazione del quantum di pena”.
La ricorrente rappresenta che “(d)a quanto (…) esposto nei punti che precedono, si ritiene (…) che l’entità del fatto, le modalità con cui si è svolto, non sono così gravi, così come la personalità della (OMISSIS), l’assenza di precedenti penali (tutti criteri previsti dall’art. 133 c.p., a cui è tenuto ad uniformarsi il Giudice), avrebbero potuto essere valutati con prevalenza rispetto alla circostanza aggravante contestata e pertanto attenuare maggiormente la pena”.
2.5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce “annullamento della sentenza impugnata ex art. 129 c.p.p., per essere, entrambi i reati contestati, estinti per intervenuta prescrizione”.
La ricorrente deduce che, posto che, per entrambi i reati in contestazione, il termine prescrizionale è di sette anni e mezzo, in assenza di sospensioni del corso della prescrizione:
a) il reato di cui al capo A) dell’imputazione si è prescritto il 28 febbraio 2022;
b) il reato di cui al capo B) dell’imputazione si è prescritto il 17 maggio 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Prima di esaminare i primi due motivi di ricorso, è necessario ricordare che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva e oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile, accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192 c.p.p., comma 3, per il dichiarante coinvolto nel fatto (ex plurimis: Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214-01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070-01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312-01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, Capraro, Rv. 274489-01; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104-01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730-01).
Le Sezioni unite hanno anche statuito che “la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni” (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit.; più di recente: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01).
Così come, più in generale, non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione della prova testimoniale operata dal giudice di merito, al quale spetta il giudizio sulla rilevanza e sull’attendibilità di tale fonte di prova (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).
2. Rammentati tali principi, il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello di Palermo ha condiviso la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS) (OMISSIS) già formulata dal Tribunale di Trapani (si veda, al riguardo, la nona e la decima pagina della sentenza di primo grado) – prova dichiarativa sulla quale essenzialmente si fonda l’affermazione di responsabilità dell’imputata per il reato di appropriazione indebita aggravata – senza che siano state idoneamente evidenziate, con riguardo alla predetta valutazione, manifeste contraddizioni in cui i giudici di merito sarebbero incorsi.
Quanto, in particolare, alla doglianza secondo cui la Corte d’appello di Palermo avrebbe illogicamente ritenuto l’appropriazione degli incassi del bar “(OMISSIS)” dei giorni dal 29 agosto al 1 settembre 2014 nonostante la persona offesa avesse dichiarato che, successivamente al 28 agosto 2014, il predetto bar era stato chiuso, si deve osservare come la stessa Corte d’appello abbia in realtà adeguatamente replicato a detta doglianza, avendo evidenziato come la (OMISSIS) (OMISSIS), nel corso del proprio esame durante l’udienza del 9 aprile 2019, avesse in realtà affermato che il bar “(OMISSIS)” era stato chiuso solo dal “2 settembre in poi”.
Peraltro, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, si deve rilevare come, come già evidenziato dal Tribunale di Trapani (si veda la già citata decima pagina della sentenza di primo grado), le dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS) (OMISSIS) non fossero prive di (pur, per quanto sopra detto, non necessari) riscontri esterni, quale si doveva ritenere, in particolare, quanto dichiarato dal testimone (OMISSIS) (OMISSIS) in ordine alla consegna all’imputata della somma di Euro 150,00, datagli da un cliente del bar “(OMISSIS)”; somma che, secondo quanto affermato dalla (OMISSIS) (OMISSIS), non le era stata, neppure essa, versata.
Infine, non può essere reputato di per sé contraddittorio o illogico il fatto che la Corte d’appello di Palermo possa avere ritenuto le dichiarazioni del testimone (OMISSIS) (OMISSIS) in parte inattendibili (quelle relative al reato di appropriazione indebita) e in parte attendibili (quelle relative al reato di cui all’art. 483 c.p.), in assenza di evidenziate interferenze fattuali o logiche tra le stesse dichiarazioni relative ai due diversi reati.
2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Si deve infatti osservare che neppure con riguardo alle dichiarazioni rese dalla persona offesa (OMISSIS) (OMISSIS) relativamente al reato di falsità ideologica – commesso col dichiarare, nel verbale dell’assemblea di “(OMISSIS) soc. coop. Onlus” del 17 novembre 2014, che il numero dei soci annotati nel libro dei soci di detta società cooperativa era di tre, invece dei reali cinque – la ricorrente ha idoneamente evidenziato manifeste contraddizioni in cui la Corte d’appello di Palermo sarebbe in ipotesi incorsa nel valutare le predette dichiarazioni della testimone (OMISSIS) (OMISSIS).
Quanto, in particolare, alla doglianza secondo cui, dalle dichiarazioni rese dai testimoni (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS) e dalla pec del notaio (OMISSIS) del (OMISSIS), (con la quale lo stesso notaio aveva chiesto alla (OMISSIS) (OMISSIS) di produrre un estratto del libro soci della cooperativa) sarebbe emersa la fondatezza dell’assunto difensivo secondo cui l’imputata, il (OMISSIS), non era a conoscenza del fatto che i soci della cooperativa “(OMISSIS)” erano cinque e non tre, si deve osservare come la Corte d’appello di Palermo abbia adeguatamente replicato a tale doglianza, avendo evidenziato come la (OMISSIS) (OMISSIS), nel corso del proprio esame durante l’udienza del 9 aprile 2019, avesse riferito che, all’atto di ricevere la convocazione per l’assemblea del (OMISSIS), aveva informato sia il notaio (OMISSIS) sia le due socie della cooperativa – tra cui, quindi, anche l’imputata – dell’illegittimità della convocazione e, in particolare, della circostanza che i soci iscritti nel libro soci della cooperativa erano cinque.
A fronte di ciò, e dell’attendibilità, idoneamente ritenuta dalla Corte d’appello di Palermo, di tale dichiarazione, il motivo di ricorso si traduce, nella sostanza, nella sollecitazione di una diversa valutazione del significato probatorio da attribuire alle diverse prove, il che non è ammissibile in questa sede di legittimità.
3. Il terzo motivo è inammissibile perché ha a oggetto una questione di natura civilistica la cui soluzione non rileva ai fini della sussistenza o no del contestato reato di falsità ideologica.
Infatti, il dedotto (eventuale) vizio della procedura di ammissione dei due nuovi soci della cooperativa “(OMISSIS)” avrebbe potuto eventualmente essere fatto valere impugnando la relativa Delib. dell’amministratore unico – ciò che, peraltro, la ricorrente neppure afferma di avere fatto – ma non esclude in ogni caso che, alla data del (OMISSIS), i predetti due nuovi soci risultassero iscritti nel libro dei soci, che, perciò, erano iscritti in numero di cinque, con la conseguente falsità della dichiarazione dell’imputata secondo cui i soci della cooperativa iscritti nel libro soci della stessa erano solo tre.
Alla luce di ciò, risulta parimenti del tutto irrilevante il fatto, anch’esso dedotto dalla ricorrente, che i due nuovi soci potessero non essere “stati realmente inseriti nella compagine sociale”.
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01; successivamente, Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450-01).
Si deve altresì ricordare che, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 c.p., e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415-01; in senso analogo, Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181-02, relativa a un’ipotesi in cui il giudice di appello aveva confermato il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Palermo ha giustificato la conferma della scelta (già compiuta dal Tribunale di Trapani) nel senso dell’equivalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11), con la ritenuta mancanza di elementi che, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., potessero deporre nel senso dell’invocato giudizio di prevalenza delle predette circostanze attenuanti generiche.
In tale modo, la Corte d’appello Palermo mostra di avere considerato ed esaminato gli elementi indicati nell’art. 133 c.p., pervenendo alla conclusione, priva di incoerenze o illogicità, che la soluzione dell’equivalenza era la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena da irrogare nel caso concreto.
5. Quanto al quinto motivo, si deve osservare che l’inammissibilità del ricorso – per essere stato lo stesso proposto, come si è visto, per motivi manifestamente infondati o inammissibili – non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude, perciò, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione dei reati maturata (nella specie: quanto all’appropriazione indebita, il 28 febbraio 2022; quanto al falso ideologico, il 17 maggio 2022) successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L. n., Rv. 217266-01; Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463-01; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni, Rv. 228349-01).
6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria, oggi 13 marzo 2023.