Confermata la custodia in carcere della ricorrente per aver cagionato la morte del convivente (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 26 ottobre 2022, n. 40550).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. BIANCHI Michele – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – Rel. Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) VANDA nata a ERICE il 04/05/19xx;

avverso l’ordinanza del 19/11/2021 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

sentite le conclusioni del PG, Dott. LUCA TAMPIERI che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

L’avvocato (OMISSIS) DIEGO conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Palermo rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di Vanda (OMISSIS) avverso quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere.

Vanda (OMISSIS) è indagata per il delitto di omicidio aggravato dalla premeditazione e dalla convivenza della vittima per avere cagionato la morte di Cristian (OMISSIS) nel corso di una lite, pugnalandolo con un coltello nella regione sottoclaveare sinistra e recidendogli i vasi sanguigni.

In precedenza, sul proprio profilo Facebook, l’indagata aveva già preannunciato che avrebbe fatto qualcosa di impensabile, chiedendo perdono a tutti e precisando di non avere nulla ‘da perdere.

Il G.I.P., in sede di convalida dell’arresto, aveva escluso l’aggravante della premeditazione.

In sede di convalida dell’arresto, la donna aveva confermato il fatto, pur sostenendo di avere rivolto verso (OMISSIS) il coltello allo scopo di farlo allontanare e di avere tenuto il braccio in avanti proteso verso l’uomo che le stava venendo addosso.

Si trattava di due conviventi dediti alla droga e all’alcool; (OMISSIS) si trovava agli arresti domiciliari.

Secondo la versione dell’indagata, ella aveva chiuso a chiave la porta di casa per impedire all’uomo di uscire dall’abitazione per consumare droga; aveva telefonato al 112 e aveva, poi, rotto il telefono cellulare di (OMISSIS), destando l’ira del convivente, che l’aveva aggredita rivolgendole contro una sedia e tirandole i capelli.

La difesa aveva invocato la scriminante della legittima difesa e, in subordine, l’eccesso colposo, negando anche l’esistenza del dolo omicidiario.

Il Tribunale dava atto che la annotazione di polizia giudiziaria, riportata nella memoria illustrativa del pubblico ministero, aveva ricostruito in dettaglio la cronologia del fatti.

La ricorrenza della legittima difesa doveva essere esclusa: da una parte, mancava ogni elemento di prova di precedenti violenze domestiche da parte di (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) che, del resto, aveva chiuso a chiave la porta dell’abitazione per costringere l’uomo a restare nell’appartamento ((OMISSIS), invece, era riuscito ad uscire dalla finestra, salvo tornare per la stessa via due minuti dopo, immediatamente prima di essere accoltellato dall’indagata).

La mancanza di tracce ematiche sul coltello dimostrava che la donna lo aveva pulito. Inoltre, nel 2021, era stato (OMISSIS) a denunciare la (OMISSIS) per minacce e lesioni personali, sempre con l’uso di un coltello.

Non vi era, quindi, nessuna prova dell’azione aggressiva di (OMISSIS), né poteva ritenersi sussistente l’eccesso colposo di legittima difesa, istituto che presuppone la necessità della reazione difensiva.

Sussistevano i gravi indizi dell’omicidio mentre, l’animus necandi, poteva essere dedotto dalle modalità della condotta, atteso che la (OMISSIS) aveva sferrato due fendenti violenti, il primo che aveva prodotto una ferita profonda alla mano sinistra e l’altro al torace dell’uomo, cagionandone la morte immediata.

I post su Facebook, pubblicati qualche minuto prima del delitto, dimostravano plasticamente il proposito delittuoso, portato a termine poco dopo.

Secondo il Tribunale, sussistevano le esigenze cautelari e la misura della custodia cautelare in carcere era adeguata e l’unica idonea a soddisfare il pericolo di reiterazione(*) criminosa.

Il Tribunale ricordava i precedenti penali specifici per violenza alla persona e il carico pendente per l’aggressione con il coltello nei confronti dello stesso (OMISSIS).

2. Ricorre per cassazione il difensore di Vanda (OMISSIS), deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.

Il ricorrente precisa che la relazione tra la (OMISSIS) e (OMISSIS) era cessata e che, quindi, l’uomo era semplicemente ospite della donna. La (OMISSIS), peraltro, cercava di impedire a (OMISSIS) di drogarsi e, per questo, aveva rotto il telefono cellulare dell’uomo, perché egli non contattasse gli amici tossicodipendenti.

La condotta della donna costituiva la difesa verso l’aggressione da parte di (OMISSIS), che l’aveva colpita con una sedia; la furia dell’uomo era tale da costringere la donna a prendere un coltello per intimidirlo e allontanarlo.

Sussistevano, quindi, i presupposti della legittima difesa e anche era stato rispettato il requisito della proporzionalità tra offesa e difesa.

Il ricorrente censura l’ordinanza impugnata anche con riferimento alla motivazione in punto di sussistenza delle esigenze cautelari: la decisione non teneva conto della entità del fatto commesso e dall’avere l’indagata agito in stato di legittima difesa, quanto meno putativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. Il ricorrente si limita ad esporre elementi di fatto, per buona parte privi di rilevanza, e ad avanzare considerazioni di merito, senza affatto dimostrare la manifesta illogicità della motivazione o il travisamento di elementi indiziari da parte del tribunale.

In verità, il ricorso si disinteressa della motivazione dell’ordinanza impugnata, tacendo su molti elementi significativi e su dati oggettivi evidenziati dal Tribunale: i due fendenti inferti alla vittima, la mancanza di elementi oggettivi dimostrativi di un’aggressione da parte di (OMISSIS), il contenuto dei post su facebook, le precedenti aggressioni con il coltello ai danni dell’uomo.

2. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima:

a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516).

Gli atti del processo invocati dal ricorrente a sostegno del dedotto vizio di motivazione non devono semplicemente porsi in contrasto con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante, ma devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione risulti in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

Quindi, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019 – dep. 26/11/2019, S, Rv. 27775801); esso è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013 – dep. 26/11/2013, Giugliano, Rv. 257499); d’altra parte, il vizio di contraddittorietà della motivazione della sentenza consiste nel concorso, dialetticamente irrisolto, di proposizioni – testuali ovvero extra-testuali e contenute in atti del procedimento specificamente indicati dal ricorrente – concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione dell’una implichi necessariamente e univocamente la negazione dell’altra e viceversa (Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016 – dep. 27/11/2017, Sanfilippo e altro, Rv. 271635).

Essendo questa la portata del vizio denunciato, il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece:

a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento;

b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza;

c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda;

d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018 – dep. 17/01/2019, Papini, Rv. 274816).

In definitiva, sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, 0., Rv. 262965).

3. Le medesime carenze del ricorso si rilevano con riferimento al motivo concernente le esigenze cautelari e la scelta della misura: per di più, il ricorrente non si confronta con la duplice presunzione posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.

4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, emergendo profili di colpa nella presentazione del ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 14 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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(*) Nella ricostruzione del fatto, il Tribunale sostiene che la misura della custodia in carcere della ricorrente, sia la misura ritenuta più idonea al fine di evitare la reiterazione criminosa.

Ora, se il compagno della ricorrente é deceduto all’istante dopo i due fendenti sferrategli dalla donna (reo confessa), qualcuno ci spieghi la “reiterazione del reato” (siffatto elemento ha permesso ai giudici la misura cautelare in carcere) ai danni di chi, la stessa indagata arriverebbe a commettere (viveva da sola e il de cuius era stato ospitato dalla ricorrente; che ha accettato, in alternativa al carcere, di tenerlo a casa sua in regime di arresti domiciliari; che, durante tale permanenza, ha cercato di farlo uscire dal giro della droga e alcol [cfr. in fatto])?

Orbene, tale passaggio, non spiegato dai giudici del Tribunale della libertà avvallato, poi, dalla Corte di Cassazione.

La nostra é solo una semplice domanda, stante la statuizione dei giudici de quo.