Confermata la sanzione per il magistrato che pubblica su Facebook post offensivi verso i colleghi (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza 26 luglio 2024, n. 20869).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta da:

Dott.ssa MARGHERITA CASSANO                  – Presidente –

Dott.       MARCO TRAVAGLINO                      – Presidente di Sezione –

Dott.ssa LUCIA TRIA                                         – Presidente di Sezione –

Dott.      ALBERTO GIUSTI                                – Presidente di Sezione –

Dott.      UMBERTO L.C.G. SCOTTI                  – Consigliere –

Dott.ssa ANNALISA DIPAOLANTONIO          – Consigliere –

Dott.      GIUSEPPE GRASSO                            – Consigliere –

Dott.      EMILIO IANNELLO                             – Consigliere –

Dott.      LUCIO LUCIOTTI                                – Consigliere – Rel. –

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23656/2023 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis), rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. (omissis) (omissis), ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del DISCIPLINARE MAGISTRATI difensore (pec: (omissis)legalmail.it ) nonché in Roma, alla via (omissis), n. 15;

–ricorrente–

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec [email protected]), presso i cui uffici, siti in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliato;

–resistente–

e contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE elettivamente domiciliato in Roma presso la cancelleria della Procura Generale della Corte di Cassazione (PEC [email protected]);

–intimato–

avverso la sentenza n. 79/2023 della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura depositata e notificata in data 12 ottobre 2023;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 luglio 2024 dal Consigliere dott. Lucio Luciotti.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. Pasquale FIMIANI, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’ Avvocato (omissis) (omissis), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. In esito all’azione disciplinare esercitata dal Procuratore generale, la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con sentenza n. 79/2023 del 6 giugno 2023 ha dichiarato la responsabilità della dott.ssa (omissis) (omissis), Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, per fatti commessi dalla stessa quando svolgeva le medesime funzioni presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, dichiarandola responsabile dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lett. d), e 4, comma 1, lett. d), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 ed infliggendole la sanzione disciplinare della censura per i comportamenti così descritti nel capo di incolpazione: «rivestendola qualità di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di TARANTO – e quindi di pubblico ufficiale – pubblicava sul proprio profilo Facebook (bacheca libera e visibile a tutti gli utenti del portale), i numerosi post sotto indicati, contenenti espressioni ed apprezzamenti dal contenuto gravemente sconveniente, offensivo, minaccioso ed anche diffamatorio – in tal caso configurandosi astrattamente quantomeno gli estremi dei reati p. e p. dagli articoli 595, 612 e 61, n.9), cod. pen. – nei confronti di magistrati in servizio ovvero già in servizio, nonché di funzionari giudiziari in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Taranto, tenendo quindi un comportamento gravemente scorretto nei confronti di costoro e commettendo i fatti, anche di reato, sopraindicati idonei a ledere l’immagine del magistrato; ed in particolare scrivendo:

– nei confronti del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di TARANTO, dr. (omissis) (omissis) «Il Dr (omissis) si tenga il sorriso nel culo»; «[…] Gira al largo»;

– nei confronti della dr.ssa (omissis) (omissis), funzionario giudiziario, chiamata a testimoniare avanti alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura nel procedimento n.ro 74/2019 RD, a carico della dr.ssa (omissis), per l’udienza del 18 giugno 2021, «Se dovesse essere Foggia o Bergamo io ti mando in galera, A te (si ignora il soggetto cui la dr.ssa (omissis) si rivolge), alla (omissis) […]»; «Tu cara Dr.ssa (omissis) sei rimasta fuori Ti arresteranno Vedrai»; «Ahh adesso va a deporre Poi ti faccio arrestare Vediamo […]»; «La dr.ssa (omissis) era la confidente del Dr (omissis) …», «(omissis) e la Dr.ssa (omissis) vogliono arrivare a creare le condizioni (fasulle) di una overdose di psicofarmaci»;

– nei confronti della dr.ssa (omissis) (omissis), funzionario giudiziario «controllori dei cazzo»;

– nei confronti del dr. (omissis) (omissis), già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Matera, «E invece il Dr (omissis) per la carriera si è fatto che ”non capisce niente“ ma che è un gran lavoratore..»; ed inoltre, in data 18 maggio 2021, urlando nel corridoio dell’ufficio e battendo in maniera decisa e forte con i pugni contro la porta dell’ufficio del dr. (omissis), nella convinzione che lo stesso si trovasse nella stanza, ed una volta informata dal funzionario giudiziario (omissis) (omissis), presente all’episodio, che il dr. (omissis) non si trovava in quel momento in ufficio, allontanandosi pronunciando la parola: «mascalzone» rivolta, a dire del predetto funzionario, al dr. (omissis)».

2. A fondamento della decisione la Sezione disciplinare ha affermato, per quanto ancora qui di interesse, che:

– le espressioni contenute nei post pubblicati dalla dott.ssa (omissis) e rivolte pubblicamente ad altri magistrati e al personale di cancelleria, soggetti ben individuati, dovevano considerarsi «gratuitamente lesive e diffamatorie, esorbitanti gli ordinari limiti della continenza, e, come tali, idonee a ledere il prestigio dell’ordine giudiziario»;

– «Il Codice disciplinare annovera tra i doveri del magistrato il riserbo, l’equilibrio e il rispetto della dignità della persona, il cui travalicamento comporta tout court la responsabilità disciplinare non potendosi addurre a titolo di causa di giustificazione propri momentanei stati d’animo»;

– la pubblicazione da parte della dott.ssa (omissis) sulla propria bacheca Facebook, libera e visibile a tutti gli utenti del portale, con conseguente vasta diffusione dei post dal contenuto diffamatorio, come tali idonei a ledere la reputazione dei soggetti destinatari, concretizzandosi in gratuiti attacchi denigratori, e come tali lesivi dell’immagine del magistrato destinatario, configurava l’ipotesi di reato di cui all’art. 595 c.p., comma 3, e, conseguenzialmente, la violazione dell’art. 4 lett. d) del d.lgs.109 del 2006;

– quanto descritto dal funzionario giudiziario, dott. (omissis), nella relazione di servizio costituiva piena prova del comportamento disciplinarmente rilevante tenuto dall’incolpata anche con riferimento al secondo episodio di cui al capo di incolpazione, il cui accadimento l’incolpata non aveva neppure mai smentito;

– non era applicabile l’esimente della irrilevanza del fatto di cui all’art 3 bis del d.lgs. n.209 del 2006 in considerazione non solo della gravità della condotta tenuta ma, altresì, della sua reiterazione nel tempo, in quanto la dott.ssa (omissis), benché destinataria di diversi procedimenti disciplinari per fatti analoghi a seguito dei quali le era stata inflitta nel procedimento disciplinare n. 25/2018 R.G. la sanzione della censura ed il trasferimento da Taranto a Lecce, la sanzione della perdita di anzianità di mesi tre ed il trasferimento a Foggia, nei riuniti procedimenti disciplinari n. 74/19-112/20 – 10/21 R.G., aveva continuato a scrivere post dal contenuto diffamatorio e minaccioso, così dimostrando che non aveva avuto alcuna rivisitazione critica della propria condotta;

– andava rigettata l’eccezione di bis in idem in quanto i fatti contestati, pur avvenuti nel medesimo arco temporale e con le medesime modalità, erano assolutamente diversi da quelli che avevano formato oggetto del procedimento disciplinare in cui erano confluiti e riuniti i proc. n. 74/19-112/20 -10/21 R.G.;

– infine, sanzione idonea a prevenire per il futuro compromissioni all’immagine del magistrato ed alla funzione giudiziaria, era quella della censura in considerazione del fatto che, nonostante la gravità e la reiterazione della condotta, dopo il trasferimento presso la Procura di Foggia l’incolpata non aveva più compiuto fatti del genere di quelli contestati e l’incolpata aveva ottenuto il parere favorevole, a voti unanimi, per la sesta valutazione di professionalità in sede di progressione in carriera.

3. Avverso tale statuizione la dott.ssa (omissis) propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

4. Si è costituito il Ministero della Giustizia ma al solo fine dell’eventuale partecipazione alla discussione orale ex art. 370 cod. proc. civ.

5. In prossimità dell’udienza pubblica, il Pubblico Ministero ha depositato una memoria con cui ha chiesto respingersi il ricorso.

6. La ricorrente ha successivamente depositato memoria in replica a quella del Pubblico Ministero.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce quattro distinti profili di violazione o falsa applicazione dell’art. 606, primo comma, lett. e), c.p.p., ovvero:

– il vizio di «motivazione “manifestamente illogica” nella parte in cui vi è stata un’evidente illogicità nella giustificazione interna essendosi verificata una incompatibilità tra le premesse e le conclusioni e nella parte in cui vi è stata un’evidente illogicità nella giustificazione esterna della decisione essendo stati adottati dei criteri di inferenza non plausibili»;

– il vizio di «manifesta contraddittorietà della motivazione di fronte alla palese inconciliabilità tra le argomentazioni giustificative adottate dalla sezione disciplinare al paragrafo § 8 e le risultanze probatorie dalla medesima sezione evidenziate nella stessa sentenza al paragrafo § 11)»;

– il vizio di «manifesta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione all’interno della stessa sentenza tra il paragrafo § 8 e il paragrafo §11»

– la violazione dell’art. 24 Cost. «nella parte in cui la incompiutezza della motivazione è stata determinante a impedire il controllo della decisione rendendo non intellegibili le ragioni che la sezione disciplinare ha posto a fondamento delle scelte operate in tal guisa ostacolando il pieno esercizio del diritto di difesa».

1.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata, là dove ha escluso l’esimente della scarsa rilevanza dei fatti contestati alla dott.ssa (omissis) in considerazione della reiterazione nel tempo delle condotte disciplinarmente rilevanti, avendo la stessa continuato a scrivere post dal contenuto diffamatorio pur dopo che le erano state inflitte sanzioni disciplinari in altri precedenti procedimenti disciplinari, a seguito dei quali le era stata irrogata la sanzione della censura con trasferimento presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, si pone in insanabile contraddizione con la successiva affermazione del giudice disciplinare secondo cui la ricorrente, dopo tale trasferimento, non aveva più commesso fatti del genere di quelli contestati, addirittura ottenendo parere favorevole per la sesta valutazione di professionalità.

1.2. Il dedotto contrasto motivazionale, a detta della ricorrente, è irriducibile risolvendosi in una motivazione apparente e oggettivamente perplessa ed incomprensibile.

1.3. Il motivo è nel suo complesso infondato e va rigettato.

1.4. Invero, la ricorrente nel motivo in esame opera un’errata commistione delle affermazioni della sentenza impugnata ritenute tra loro contraddittorie, non considerando che le stesse sono state rese su due differenti questioni, ovvero, la prima, sull’esimente di cui all’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006 e, la seconda, sulla individuazione della sanzione in concreto irrogabile.

1.4.1. La ricorrente, infatti, non tiene in cale che gli elementi che il giudice disciplinare è tenuto a valutare ai fini della verifica della sussistenza della scarsa rilevanza dei fatti contestati, ex art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, sono del tutto diversi da quelli che, invece, deve prendere in considerazione ai fini della scelta della sanzione da applicare.

1.5. Per costante orientamento di questa Corte, l’esimente in esame è applicabile quando il fatto, per particolari circostanze, anche non riferibili all’incolpato, sia considerato in concreto inidoneo a ledere il bene giuridico tutelato (cfr. Cass., Sez. U, 09/10/2023, n. 28263; 26/03/2021, n. 8563; 13/07/2017, n. 17327).

Essa trova applicazione anche nel caso in cui la gravità del comportamento sia elemento costitutivo del fatto tipico, e perfino quando, come nella specie, integri la commissione di un reato, ed impone di procedere ad una valutazione d’ufficio, volta a stabilire, sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata, anche riferibili al comportamento dell’incolpato, se l’immagine del magistrato sia stata effettivamente compromessa dall’illecito (cfr. Cass., Sez. U, 10/09/2019, n. 22577; 23/04/2012, n. 6327,nonché Cass., Sez. U, n. 28263 del 2023, cit.).

1.6. La scelta della sanzione da applicare dev’essere , invece, effettuata sulla base del fondamentale criterio della proporzionalità, intesa come adeguatezza alla concreta fattispecie disciplinare ed espressione della razionalità che fonda il principio di eguaglianza, e, quindi, con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto: a tal fine, devono costituire oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l’intensità dell’elemento psicologico del comportamento contestato, unitamente ai motivi che l’hanno ispirato, nonché la personalità dell’incolpato, soprattutto in relazione alla sua pregressa attività professionale e agli eventuali precedenti disciplinari, ed alle ripercussioni del fatto addebitato sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia del pubblico nell’istituzione (cfr. Cass., Sez. 9 Un., 21/03/2023, n. 8034; in termini anche Cass., Sez. U, 8/04/2022, n. 11457, nonché Cass., Sez. U, n. 28263 del 2023, cit.).

1.7. Correttamente, quindi, la sentenza impugnata ha dato rilevanza, al fine di escludere nella specie l’esimente della scarsa rilevanza del fatto, alla «gravità della condotta tenuta» dall’incolpata e alla «sua reiterazione nel tempo», precisando che tali elementi , unitariamente considerati, avevano « compromesso in concreto l’immagine del magistrato», che nonostante avesse già riportato precedenti condanne disciplinari, aveva comunque continuato a pubblicare post dal contenuto diffamatorio e minaccioso, dando così dimostrazione di non aver avuto «rivisitazione critica della propria condotta» e che la sanzione già inflittale non aveva sortito alcun effetto di emenda.

1.8. Non si pone in alcun modo in contrasto con tale motivazione quella che viene sviluppata in sentenza ai fini della individuazione della sanzione da irrogare all’incolpata, in cui, pur dandosi atto della gravità e della reiterazione della condotta contestata, si prende in considerazione, oltre al parere favorevole al conseguimento della sesta valutazione di professionalità, la cessazione delle condotte disciplinarmente rilevanti dopo il trasferimento della dott.ssa (omissis) ad altro Ufficio, in tal modo collocando la pubblicazione dei post in epoca anteriore ad esso che, come ammesso dalla ricorrente nella memoria depositata in atti, si è concretamente attuato soltanto il 12 luglio 2021.

1.9. In buona sostanza, ai fini dell’esclusione dell’esimente dell’irrilevanza dei fatti contestati, il giudice disciplinare ha considerato la circostanza che la dott.ssa (omissis) aveva continuato a pubblicare post sul profilo Facebook dal contenuto diffamatorio e minaccioso nonostante le fosse stata inflitta la sanzione del trasferimento ad altro Ufficio per analoghi comportamenti, con ciò riferendosi al momento dell’adozione (in data 21 maggio 2021) di tale provvedimento disciplinare e non a quello della sua concreta attuazione (in data 12 luglio 2021); ai fini del trattamento sanzionatorio, ha invece preso in considerazione proprio tale ultimo periodo.

Non è incorsa, quindi, in contraddizione logica la sentenza impugnata che, attenendosi ai principi sopra enunciati, ha correttamente individuato le circostanze rilevanti per l’una e l’altra finalità (rispettivamente, l’esimente della scarsa rilevanza del fatto ed il trattamento sanzionatorio); circostanze che n on si pongono in contrasto tra loro collocandosi su due diversi piani temporali.

1.10. In estrema sintesi, l’insussistenza del dedotto contrasto motivazionale comporta il rigetto del motivo anche in relazione al vizio di nullità della sentenza per difetto motivazionale che la ricorrente fa discendere dalla dedotta contraddittorietà della motivazione, dovendosi comunque precisare, al riguardo , che la sentenza impugnata, per tutte le considerazioni sopra svolte, esprime una motivazione effettiva, non solo dal punto di vista grafico, ma anche dal punto di vista contenutistico, congrua, oggettivamente comprensibile, che si pone ben al di sopra del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e), c.p.p., la «errata o omessa valutazione della prova interna acquisita nel giudizio disciplinare – suo travisamento -incongruità, inadeguatezza e illogicità motivazionale».

2.1. Sostiene, al riguardo, che la Sezione disciplinare era incorsa nel travisamento della prova documentale avendo erroneamente ritenuto che i post contestati fossero stati pubblicati dalla ricorrente sul proprio profilo “Facebook” successivamente al trasferimento cautelare all’Ufficio di Procura di Foggia- disposto in data 21 maggio 2021ma concretamente verificatosi in data 12 luglio 2021 -, mentre invece erano tutti antecedenti a tale data.

2.2. Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la statuizione impugnata la quale, per come precisato ai precedenti paragrafi 1.8. e 1.9., colloca la pubblicazione dei post sulla bacheca “Facebook” della ricorrente in epoca antecedente al la presa di possesso presso l’Ufficio di Procura di Foggia (12 luglio 2021), avendo il giudice disciplinare espressamente affermato che «dopo il trasferimento alla Procura di Foggia l’incolpata non ha più compiuto fatti del genere di quelli contestati» (sentenza, pag. 10).

Ed è la stessa ricorrente nella memoria depositata in atti ad affermare di aver preso servizio alla Procura della Repubblica di Foggia il 12 luglio 2021, ma di ciò sembra non tenere conto, giacché nel ricorso fa reiteratamente riferimento soltanto alla data del 21 maggio 2021 (vds. pagg. 7, 10) che è quella in cui detto trasferimento venne disposto.

2.3. E la motivazione della sentenza impugnata, oltre a non essere incongrua ed inadeguata, come sostiene invece la ricorrente, non è, sul punto, neppure illogica o contraddittoria, perché nella stessa si dà chiaramente atto che «i fatti per i quali si procede, pur avvenuti nel medesimo arco temporale e con le medesime modalità, sono assolutamente diversi da quelli che hanno formato oggetto del procedimento disciplinare in cui sono confluiti e riuniti i proc. n. 74/19 –112/20 – 10/21 R.G. » (sentenza, pag. 10).

2.4. Al riguardo, va poi dato atto che è la stessa ricorrente nella memoria datata 26/06/2024 a dare espressamente atto che le sentenze disciplinari emesse nei suoi confronti «sono riferibili a fatti in parte oggettivamente diversi» a quelli oggetto della sentenza qui impugnata. Ed invero, i fatti contestati alla ricorrente nei diversi precedenti procedimenti disciplinari sono del tutto diversi da quelli oggetto del presente giudizio e si sono verificati anche in tempi diversi.

2.5. In effetti, dalla memoria stessa della ricorrente emerge la diversità oggettiva dei fatti aventi rilievo disciplinare, dandosi in essa atto che quelli relativi al procedimento n. 25/2018 riguardavano «alcuni sms privatamente inviati ad un collega»; quelli relativi al procedimento n. 74/2019 riguardavano i rapporti con due impiegate amministrative del proprio Ufficio; quelli relativi al procedimento n. 112/2020 prendevano spunto da un esposto notificato al Procuratore Generale presso questa Corte; ed infine, quelli relativi al procedimento n. 10/2021 riguardavano la pubblicazione di alcuni post – di cui quest’ultima omette comunque di riportare il contenuto e di specificare a chi fossero destinati -pubblicati sul profilo “Facebook” di essa ricorrente a settembre ed ottobre 2020, ovvero in un periodo di molto antecedente a quelli oggetto del presente giudizio.

2.6. Sempre nella memoria la ricorrente precisa che tali fatti erano anche «in parte identici, realizzando un “unicum” che, purtuttavia è stato oggetto di due distinti procedimenti disciplinari nonostante riguardassero sostanzialmente le stesse circostanze».

Ma la tesi è destituita di fondamento in quanto, per come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, con adeguata e logica argomentazione, «nel caso de quo non si [può] ravvisare un bis in idem in quanto i fatti per i quali si procede, pur avvenuti nel medesimo arco temporale e con le medesime modalità, sono assolutamente diversi da quelli che hanno formato oggetto del procedimento disciplinare in cui sono confluiti e riuniti i proc. n. 74/19-112/20 – 10/21 R.G.».

2.7. Quanto fin qui argomentato rende palese l’insussistenza del pure dedotto travisamento, da parte del giudice disciplinare , degli elementi probatori esaminati.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce tre distinti profili di violazione o falsa applicazione dell’art. 606, primo comma, lett. e), c.p.p., ovvero:

– il vizio di «motivazione manifestamente illogica e incongruente all’interno della stessa sentenza tra il paragrafo § 8 e il § 10»;

– il vizio di «manifesta contraddittorietà della motivazione e palese inconciliabilità tra le argomentazioni giustificative adottate dalla sezione disciplinare al paragrafo § 8 e le risultanze probatorie dalla medesima sezione evidenziate nella stessa sentenza al paragrafo § 10»:

– la violazione dell’art. 24 Cost. «nella parte in cui la incompiutezza della motivazione è stata determinante a impedire il controllo della decisione rendendo non intellegibili le ragioni che la sezione disciplinare ha posto a fondamento delle scelte operate in tal guisa ostacolando il pieno esercizio del diritto di difesa».

3.1. Le prime due censure sono inammissibili, in quanto delle stesse non si rinviene nel ricorso alcuno sviluppo argomentativo, riservato solo ed esclusivamente alla questione dell’esimente di cui all’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006. In ogni caso, la dedotta illogicità ed incongruenza «tra le argomentazioni giustificative adottate dalla sezione disciplinare al paragrafo § 8», con riferimento all’insussistenza dell’esimente della scarsa rilevanza dei fatti contestati «e le risultanze probatorie dalla medesima sezione evidenziate nella stessa sentenza al paragrafo § 10», con riferimento alla insussistenza di un bis in idem con i fatti oggetto dei precedenti procedimenti disciplinari a carico della dott.ssa (omissis), è del tutto insussistente avendo il giudice disciplinare dato conto, con motivazione logica, congruente e facilmente comprensibile, come tale niente affatto apparente (come pure viene dedotto), che «i fatti contestati, pur avvenuti nel medesimo arco temporale e con le medesime modalità, erano assolutamente diversi da quelli che avevano formato oggetto del procedimento disciplinare in cui erano confluiti e riuniti i proc. n. 74/19-112/20 -10/21 R.G.» e proprio tale «reiterazione» costituiva, unitamente alla «gravità della condotta tenuta», circostanza escludente l’irrilevanza dei fatti contestati.

3.2. Anche la censura mossa alla statuizione di rigetto dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto, sviluppata nel motivo in esame, è inammissibile.

Invero, la valutazione sulla concreta offensività del comportamento contestato al magistrato spetta esclusivamente alla sezione disciplinare del C.S.M. ed è soggetta al sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente o illogico (cfr. Cass.,Sez. U, 29 marzo 2013, n. 7934 Rv. 625660 – 01 ; Cass., Sez. U, 19 luglio 2016, n. 14800, Rv.640442 – 01).

3.3. Nella specie, la sentenza impugnata non incorre in alcuno di detti vizi avendo escluso la sussistenza di tale esimente sulla base di argomentazioni logiche e comprensibili – e, quindi, con motivazione chiaramente intellegibile ed adeguata, con conseguente infondatezza del pure dedotto vizio di nullità della motivazione – che fanno riferimento alla «gravità della condotta», di pubblicazione di post «dal contenuto diffamatorio e minaccioso», ed alla «sua reiterazione nel tempo»; circostanze che la Sezione disciplinare ha ritenuto aver compromesso in concreto l’immagine del magistrato.

Trattasi di valutazione adeguatamente motivata , che si pone , peraltro, in linea con l’orientamento di queste Sezioni unite di cui si è dato atto nel precedente paragrafo 1.5., e con quello secondo cui la condotta disciplinare irrilevante ai sensi dell’art. 3-bis citato va identificata, una volta accertata la realizzazione della fattispecie tipica, soltanto in quella che non compromette l’immagine del magistrato (Cass., Sez. U, 13/12/2010, n. 25091, Rv. 615495 – 01; conf. Cass., Sez. U, 30/03/2011, n. 7194, secondo cui l’immagine del magistrato è il bene giuridico tutelato dalle norme disciplinari ed a cui lo stesso decreto legislativo fa esplicito riferimento all’art. 3, lett. b), ed all’art. 4, lett. d), d.lgs. citato, e che, nell’attuale quadro di tipizzazione dell’illecito disciplinare, va considerato unico per tutte le ipotesi di illecito disciplinare).

3.4. In buona sostanza, la motivazione della sentenza impugnata in punto di disconoscimento dell’esimente di cui al citato art. 3-bis è coerente con la ratio della stessa ed è esente da vizi logici e giuridici e, pertanto, rimane insindacabile in sede di legittimità, con conseguente inammissibilità della censura in esame (cfr. Cass., Sez. U, 19 febbraio 2019, n. 4881, par. 2.2).

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e), c.p.p., il «vizio motivazionale della sentenza impugnata in ordine al punto decisionale della mancata applicazione del d.lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis sotto altro profilo», ovvero sotto quello dell’assenza di risonanza mediatica dei fatti oggetto di incolpazione con la conseguenza che, in concreto, quei fatti non avevano avuto alcuna capacità di ledere il bene giuridico tutelato.

4.1. Il motivo è manifestamente infondato.

4.2. Deve escludersi, infatti, che l’immagine del magistrato- che, come si è detto nel precedente paragrafo, è il bene giuridico tutelato dalle norme disciplinari- sia leso soltanto quando i fatti contestatigli abbiano risonanza mediatica, che costituisce, invece, un mero quanto eventuale ed ulteriore riflesso del fatto oggetto di incolpazione, idoneo, al più, ad incidere sulla individuazione della sanzione irrogabile.

4.3. Nel caso di specie, peraltro, la circostanza incontestata che i post oggetto di illecito disciplinare erano stati pubblicati sulla bacheca “Facebook” della ricorrente, libera e, come tale visibile a tutti gli utenti del portale, smentisce la tesi della mancata diffusione mediatica di quei comportamenti, sostenuta nel motivo in esame.

E, comunque, nel caso di specie l’immagine del magistrato è stata senz’altro compromessa quanto meno nell’ambito giudiziario di appartenenza atteso che i post offensivi e minacciosi erano diretti a colleghi e collaboratori amministrativi dell’Ufficio presso cui la ricorrente svolgeva le funzioni giudiziarie.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e), c.p.p., il «vizio motivazionale della sentenza impugnata in ordine al punto decisionale della mancata applicazione del d.lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis sotto l’ulteriore assorbente profilo per il quale l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza».

5.1. Sostiene la ricorrente che la sezione disciplinare del C.S.M. era «incorsa in errore nella valutazione delle prove e in ogni caso senza svolgere il necessario confronto con elementi probatori indicati dalle parti, rendendo così una motivazione non congrua né coerente in sé rispetto agli atti del processo» e che «Nella sentenza impugnata non vi è stato alcun concreto riscontro ex post della lesione dei beni giuridici tutelati, tanto meno una valutazione di gravità che è stata omessa determinando l’erronea radicale esclusione della possibilità di ritenere il fatto di scarsa rilevanza».

5.2. Il motivo, che nella sostanza replica, condensandole, le censure svolte in quelli precedentemente esaminati, va rigettato alla stregua delle argomentazioni sopra complessivamente svolte.

6. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato senza la necessità di provvedere sulle spese processuali non avendo il Ministero resistente, svolte difese scritte.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2024

Il Consigliere estensore                                                                                                        Il Presidente

Lucio Luciotti                                                                                                                   Margherita Cassano

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2024. 

SENTENZA – copia non ufficiale -.