REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
composta da:
Gaetano De Amicis -Presidente-
Orlando Villoni -Consigliere-
Emilia Anna Giordano -Consigliere-
Ersilia Calvanese -Consigliere-
Paolo Di Geronimo -Relatore-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da (1)
Bartoli Chiara, nata a (omissis) il xx/xx/19xx
Rosso Lauro, nato a (omissis) il xx/xx/19xx
Sergi Vittorio, nato a (omissis) il xx/x/19xx
Toscano Luca, nato a (omissis) il xx/xx/19xx
Guasti Erica, nata a (omissis) il xx/xx/19xx
avverso la sentenza del 15/2/2021 emessa dalla Corte di appello di Firenze
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del consigliere Dott. Paolo Di Geronimo;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale, Dott.ssa Silvia Salvadori, che ha chiesto di dichiarare i ricorsi inammissibili;
lette le conclusioni dell’avvocato (omissis) (omissis), difensore di fiducia di Luca Toscano, il quale insiste per l’accoglimento del ricorso;
lette le conclusioni dell’avvocato (omissis) (omissis), difensore di fiducia di Chiara Bartoli, Lauro Rosso e Vittorio Sergi, il quale ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. I ricorrenti hanno impugnato la sentenza della Corte di appello di Firenze con la quale, previa dichiarazione di intervenuta estinzione per prescrizione di gran parte dei reati per i quali era stata pronunciata condanna in primo grado, confermava la condanna di Bartoli, Sergi, Toscano e Guasti in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale, aggravato ai sensi dell’art. 339, commi secondo e terzo, cod. pen. (di cui al capo 62), per il quale veniva irrogata la pena di 8 mesi di reclusione. Nei confronti del solo Lauro Rosso era confermata anche la condanna anche per l’ulteriore reato di resistenza contestato al capo 85), con determinazione della pena complessiva in mesi 9 di reclusione.
I fatti oggetto di giudizio si inseriscono in una più ampia vicenda processuale che vedeva la contestazione del reato associativo ed una pluralità di reati (essenzialmente occupazioni, danneggiamenti, oltraggio a pubblico ufficiale, resistenza) commessi dagli appartenenti ad un gruppo di matrice anarchica denominato “Spazio liberato 400 colpi”, nonché da altri soggetti che partecipavano a manifestazioni di natura politica riconducibili al suddetto gruppo.
In primo grado gli imputati venivano assolti dal reato associativo, sicché residuavano le singole imputazioni, tra le quali rientrano quelle che, all’esito delle ulteriori assoluzioni pronunciate in appello, sono oggetto del presente giudizio.
In particolare, al capo 62) si contesta agli odierni ricorrenti di aver commesso il reato di resistenza a pubblico ufficiale, contrapponendosi violentemente alle forze dell’ordine, disposte per impedire l’accesso di un numerosissimo gruppo di persone (circa 600 persone) ad un convegno organizzato presso l’Università di Firenze, che vedeva la partecipazione di noti esponenti politici.
I ricorrenti, tutti presenti nelle prime file del gruppo di manifestanti, avrebbero spinto e colpito con calci gli appartenenti alle forze dell’ordine, nel tentativo di forzare l’ingresso al predetto convegno.
Al solo Lauro Rosso, inoltre, si contesta la partecipazione ad una manifestazione di protesta organizzata a seguito dell’esecuzione di ordinanze cautelari emesse nei confronti di appartenenti al gruppo “Spazio liberato 400 colpi”, impedendo ad agenti della Polizia ferroviaria in servizio presso la stazione Santa Maria Novella di procedere all’identificazione di una donna.
A seguito dell’aggressione fisica subita da uno degli agenti – ad opera di altro imputato – questi si vedevano costretti ad asserragliarsi nei locali della Polizia ferroviaria, ove rimanevano bloccati per effetto della condotta minacciosa realizzata dai manifestanti che, sostanzialmente, assediavano tale ufficio, impedendo agli agenti di uscirne.
2. Nell’interesse degli imputati Chiara Bartoli, Lauro Rosso e Vittorio Sergi sono stati formulati cinque motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 59 e 393-bis cod. pen., ritenendo che i giudici di merito avrebbero erroneamente escluso la sussistenza della scriminante putativa.
Invero, risulterebbe provato che presso l’Università di Firenze era stato organizzato un convegno pubblico, su questioni di attualità e che vedeva la partecipazione di esponenti politici di rilievo nazionale.
Nonostante l’incontro fosse aperto al pubblico, la Polizia presente sul posto consentiva l’accesso ai soli studenti “di destra”, mentre ai restanti presenti – tra i quali gli imputati – veniva interdetto l’accesso ai locali dell’Università per il sol fatto di far parte di gruppi di diverso schieramento politico.
Tale imposizione sarebbe stata interpretata quale un atto arbitrario dei pubblici ufficiali presenti, posto che non vi era titolo per inibire l’accesso ai locali dell’Università, per partecipare ad un convegno pubblico.
Sostiene la difesa che, ove pure si ritenesse legittimo l’aver garantito l’accesso ai soli soggetti appartenenti ad una determinata area politica, ciò non esclude, quanto meno la possibilità di riconoscere la sussistenza della scriminante putativa, posto che i soggetti esclusi aveva rercepito una palese forma di discriminazione ai loro danni che, peraltro, aveva limitato indebitamente il diritto di partecipare ad una iniziativa pubblica.
2.2. Con il secondo e terzo motivo di ricorso, formulati con specifico riferimento alle posizioni di Bartoli e Rossi, si deduce la violazione degli artt. 110, 337 e 339 cod. pen., nonché il vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del concorso di persone nel predetto reato.
La colpevolezza degli imputati era stata affermata sulla base delle sole dichiarazioni del teste (omissis) (appartenente alla Polizia di Stato e presente alla manifestazione), il quale riferiva che gli agenti si erano disposti in modo da formare un cordone di protezione per bloccare l’accesso ai manifestanti, i quali continuavano ad esercitare una forte pressione, al punto da costringere le forze dell’ordine a reagire con alcune cariche di alleggerimento per far indietreggiare i presenti. In tale contesto, gli imputati risultavano essere tra i soggetti presenti nelle prime file del gruppo (particolarmente numeroso ed indicato in circa 600 persone).
Sostiene la difesa che, al di là della mera presenza nelle prime file degli antagonisti, non viene descritta alcuna condotta di resistenza attiva da parte degli imputati, sicché difetterebbe la commissione della condotta tipica, nonché un apporto causale rilevante quanto meno al fine di far ritenere configurabile il concorso nel reato.
I giudici di merito, invece, avrebbero aprioristicamente affermato che gli imputati avevano quanto meno rafforzato l’altrui proposito criminoso, pur senza individuare alcuna condotta specifica idonea a tale scopo.
In buona sostanza, la responsabilità sarebbe stata desunta dalla mera presenza in loco degli imputati, ai quali sarebbe stata attribuita una sorta di presunzione di colpevolezza, affermata in difetto dell’accertamento di condotte concrete loro ascrivibili.
2.3. Con il quarto e quinto motivi, relativi alla sola posizione di Lauro Rosso (capo 85), si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, contestandosi la configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale consistita, secondo la ricostruzione recepita dai giudici di merito, nell’assediare gli uffici della Polizia ferroviaria, all’interno dei quali si erano rifugiati due agenti che, in precedenza, avevano tentato di identificare una manifestante. – La difesa ii01111~Ider: l’episodio sottolineando come, in una prima fase, gli agenti avevano cercato di identificare una donna e, dopo esser stati attorniati da un gruppo di manifestanti, uno di essi estraeva la pistola d’ordinanza; i due agenti, intimoriti dal folto numero di presenti, si rifugiavano negli uffici della Polizia ferroviaria. In tale prima segmento degli accadimenti, l’imputato restava del tutto estraneo, non essendogli contestata alcuna condotta specifica.
A Lauro Rosso può imputarsi esclusivamente di esser stato presente tra i plurimi soggetti che protestavano dinanzi gli uffici della Polizia ferroviaria, manifestando il loro dissenso per l’operato degli agenti, ritenuto del tutto illegittimo e sproporzionato, non trovando alcuna giustificazione l’estrazione dell’arma d’ordinanza.
Orbene, sostiene la difesa che la mera manifestazione di dissenso non è in alcun modo causalmente collegata con l’impedimento di un atto d’ufficio, posto che l’identificazione era già avvenuta, né il fatto che gli agenti si fossero chiusi nei loro uffici poteva costituire di per sé una forma di resistenza, non essendo stato loro impedito il compimento di alcun atto.
3. Nell’interesse di Luca Toscano è stato formulato un solo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Sostiene il ricorrente, con argomentazioni in gran parte sovrapponibili a quelle formulate nell’interesse degli altri imputati, che sarebbe stato erroneamente riconosciuto il concorso nel reato di resistenza, pur essendo esclusivamente emersa la presenza dell’imputato nelle prime file di manifestanti che si fronteggiavano con il cordone delle forze dell’ordine.
Il teste (omissis), dopo aver descritto una contrapposizione andata avanti per circa due ore, che rendeva necessario il ricorso a cariche di 700 alleggerimento per impedire l’ingresso dei manifestanti, ha precisato di aver riconosciuto Toscano quale una delle persone presenti nelle prime file, senza, tuttavia, attribuirgli specificamente alcuna condotta integrante il reato di resistenza.
In un contesto in cui altri avevano spintonato, colpito in vario modo gli agenti ed inveito contro di loro, non era sufficiente la mera presenza sul posto i estendere a Toscano la responsabilità per tali condotte, neppure in ottica meramente rafforzativa dell’altrui proposito criminoso.
Il ricorrente, inoltre, lamenta anche il travisamento della prova, con riferimento all’omessa considerazione sia del contenuto del suo esame, sia delle testimonianze rese dai testi (omissis) e (omissis), i quali, pur presenti nelle prime file al pari di Toscano, hanno negato di aver percepito la commissione di condotte di resistenza attiva.
4. Nell’interesse di Erica Guasti è stato formulato un unico motivo di ricorso, con il quale di deduce il vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta insufficienza della sola deposizione del teste (omissis) e delle riprese video a fondare il giudizio di responsabilità.
Invero, le riprese video non hanno riscontrato la presenza della Guasti in occasione degli scontri con le forze dell’ordine avvenuti il 25 novembre 2010.
Tale carenza probatoria non sarebbe supplita neppure dalla deposizione di (omissis), il quale ha riferito di ricordare vagamente la presenza della Guasti, senza specificare in alcun modo il ruolo dalla predetta svolto.
A fronte della contestazione delle gravi carenze degli elementi di prova raccolti a carico della ricorrente, la Corte di appello si sarebbe limitata a rifarsi alla sentenza di primo grado, senza farsi carico di dare adeguata risposta alle doglianze dell’appellante, in tal modo incorrendo nel denunciato vizio di omessa motivazione.
La ricorrente, al pari degli altri imputati, contesta anche l’assoluta insufficienza della mera presenza sul luogo degli accadimenti per poter affermare il concorso nel reato.
5. I ricorsi stata trattati in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorrenti, sia pur con alcune specificità, hanno dedotto questioni in gran parte comuni che consentono l’esame congiunto dei motivi, salvo per quelli strettamente personali.
2. Con riguardo alla condotta di resistenza aggravata contestata al capo 62) e concernente i fatti verificatisi in occasione del convegno tenutosi presso l’Università di Firenze il 25 novembre 2010, tutti i ricorrenti hanno sostenuto che dall’istruttoria era emersa la loro semplice presenza sul luogo, senza che il teste (omissis) – in servizio alla DIGOS e presente ai fatti – avesse in alcun modo specificato il compimento di specifici atti violenti o di minaccia tali da lasciar configurare il reato di cui all’art. 337 cod. pen.
La tesi è infondata.
Per poter esaminare la questione in punto di diritto, è preliminare richiamare sinteticamente il resoconto dell’accaduto (si veda p. 57-60 sentenza di appello).
Il teste (omissis) ha premesso che presso il luogo di svolgimento del convegno si erano radunati numerosissimi manifestanti che, dichiaratamente, intendevano impedire l’intervento dell’Onorevole Santanchè.
Al fine di evitare incidenti, il convegno, inizialmente in programma nell’aula 11, veniva svolto in altra aula, dinanzi alla quale si radunavano circa 600 persone.
In tale contesto, i manifestanti facevano pressione sul cordone di polizia posto ad impedirne l’ingresso, spingendo e ponendo in essere anche altre condotte (lanci di oggetti, offese, aggressioni fisiche) ai danni degli operanti. Tale concitata fase aveva una durata molto prolungata, pari a circa due ore, fin quando il convegno terminava.
Occorre precisare che il teste ha riferito che, in tale periodo di tempo, gli odierni imputati si trovavano nelle prime file dei manifestanti e, quindi, ha avuto modo di riconoscerli senza ombra di dubbio.
2.1. La tesi difensiva è che la presenza degli imputati nelle prime file del gruppo che si contrapponeva alle forze dell’ordine, in assenza del compimento di specifici atti di resistenza, non potrebbe dar luogo al reato contestato, neppure nella forma concorsuale del rafforzamento dell’altrui proposito criminoso.
Si tratta di una conclusione infondata in diritto e che si fonda su un tentativo di ridimensionare il fatto per come accertato in sentenza.
Con motivazione immune da censure, infatti, la Corte di appello ha precisato che il gruppo nel quale erano inseriti anche gli imputati non ha affatto tenuto una condotta passiva, bensì ha ripetutamente tentato di forzare il cordone che la polizia aveva frapposto per impedire l’accesso all’aula ove si svolgeva il convegno.
Il semplice fatto di avvalersi della pressione fisica derivante dalla forza di un gruppo notevole di persone, che tenta di superare l’impedimento frapposto dalle forze dell’ordine, ove pure non accompagnato da altri gesti violenti, integra già di per sé una condotta di resistenza.
Nel caso di specie, infatti, la violenza deve essere ravvisata nell’impatto che una massa di persone può esercitare nel momento in cui si muove simultaneamente. In tal senso, del resto, depone chiaramente la deposizione del teste (omissis), lì dove ha spiegato che i presenti – e quindi a maggior ragione quelli posti nelle prime file a diretto contatto fisico con il cordone di polizia – spingevano per tentare di aprirsi un varco verso l’accesso all’aula.
In un simile contesto, quindi, non occorre affatto dimostrare lo specifico compimento di condotte di resistenza, posto che la violenza è integrata già solo dal contribuire con la propria presenza a creare la pressione derivante da una massa di soggetti in movimento.
Peraltro, è limitativa la visione difensiva lì dove si afferma che gli imputati erano solo presenti sul luogo, posto che questi si trovavano tutti nelle prime file dei manifestanti, a dimostrazione della volontà e consapevolezza di contribuire, con la propria fisicità, a realizzare la forza complessiva del gruppo che, tipicamente, deriva da una moltitudine di persone che cerca di superare un ostacolo, nel caso di specie rappresentato dal cordone di polizia.
2.2. Manifestamente infondata è, infine, la doglianza sollevata dal solo Toscano, il quale lamenta l’omessa valutazione del contenuto del suo esame, nonché delle testimonianze rese dai testi (omissis) e (omissis).
Invero, i giudici di merito hanno compiuto una valutazione complessiva del materiale probatorio, evidenziando come i testi della difesa non avessero apportato elementi dirimenti e incompatibili con quanto riferito dai testi dell’accusa.
Né può valere l’omessa valorizzazione della versione difensiva resa dall’imputato nel corso del suo esame, posto che l’attendibilità della stessa è stata implicitamente esclusa a fronte della maggiore affidabilità dei testi dell’accusa.
3. Una ulteriore precisazione merita la posizione dell’imputata Erica Guasti, la quale ha evidenziato come il teste (omissis) avrebbe riferito di averla vista staccare tutti i volantini affissi lungo l’aula originariamente destinata ad ospitare il convegno e occupata dai manifestanti prima che l’incontro avesse inizio (p.56 sentenza appello).
Si tratta di una lettura riduttiva, avendo la Corte di appello precisato che il teste (omissis) individuava anche Erica Guasti tra i soggetti presenti nella fase della contrapposizione fisica tra il cordone della polizia ed i manifestanti (p.59), sicché anche nei suoi confronti valgono le osservazioni in precedenza svolte.
Il fatto che la Guasti sia stata anche indicata quale autrice di una specifica condotta e, cioè, dell’aver asportato i manifesti che pubblicizzavano l’incontro, non inficia la rilevanza dell’ulteriore condotta posta in essere nel corso della contrapposizione con il cordone di Polizia, che tentava di impedire l’accesso dei 7 X manifestanti all’aula in cui si svolgeva il convegno.
4. Per quanto concerne il ricorso del solo Lauro Rosso, proposto in relazione al reato di resistenza commesso presso i locali della Polizia ferroviaria di Firenze, la tesi difensiva si incentra tutta sul fatto che l’imputato non avrebbe impedito il compimento di alcun atto d’ufficio, essendosi limitato a protestare – sia pur in maniera veemente – a seguito del tentativo di identificazione di una manifestante.
Invero, la condotta contestata a Rosso si colloca nell’ambito di una vicenda unitaria, rispetto alla quale l’aver costretto gli agenti a rifugiarsi nei locali della Polizia ferroviaria e a rimanervi in attesa dell’intervento di un gruppo di supporto, ha sostanzialmente impedito ai predetti di proseguire nella loro attività istituzionale, sia concludendo l’identificazione della manifestante, sia continuando nel servizio di ordine pubblico al quale in quel momento erano preposti.
A tal riguardo, peraltro, deve sottolinearsi come la giurisprudenza abbia già avuto modo di precisare che, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, l’inciso “mentre compie l’atto del suo ufficio” presuppone una contemporaneità tra la resistenza e l’atto che non si esaurisce nell’istante in cui quest’ultimo si perfeziona, ma ricomprende necessariamente anche le fasi immediatamente precedenti e successive, purché direttamente funzionali alla completezza dello stesso (Sez.6, n. 13465 del 23/2/2023, Bouzidy, Rv. 284574).
5. Infine, si rileva che non è configurabile, neppure in forma putativa, la causa di giustificazione della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale che, secondo la tesi dei ricorrenti Rosso, Bartoli e Sergi, sarebbero individuabili nel fatto che le forze dell’ordine avevano operato una selezione, sulla base dell’appartenenza politica, tra i soggetti ammessi e quelli esclusi dall’accesso ai locali ove si svolgeva il convegno.
Invero, è emerso in maniera chiara che l’intervento delle forze dell’ordine e la creazione di un cordone di sicurezza era conseguito ad una volontà esplicita dei manifestanti di non voler far svolgere regolarmente il convegno.
Quanto detto comporta che non si può dubitare della legittimità di una azione di prevenzione che è la conseguenza di una condotta illecita già dichiarata e parzialmente messa in atto.
I manifestanti, pertanto, avevano la consapevolezza che il diniego all’accesso nell’aula ove si svolgeva il convegno non era frutto di una immotivata e arbitraria decisione dei pubblici ufficiali presenti, bensì era la necessaria cautela per prevenire scontri e forme violente di manifestazione del dissenso.
6. In conclusione, i ricorsi risultano infondati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 19 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2024.
SENTENZA – copia non ufficiale -.
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(1) Essendo tale sentenza riferita a un fatto di cronaca di tuttora attualità, si omette, parzialmente, l’oscuramento delle persone in essa giudicate. A richiesta, disponibili all’oscuramento.