Confermate le condanne per “atti persecutori”, a carico di due imputati vicini di casa della vittima (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 8 giugno 2020, n. 17346).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Francesca – Presidente –

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BRANCACCIO Matilde – Rel. Consigliere –

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

VARCHI ALBERTO nato a MANTOVA il 30/09/1954;

MOLINARI FRANCA nato a CASTELBELFORTE il 22/01/1960;

avverso la sentenza del 09/10/2018 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Matilde BRANCACCIO;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. Ferdinando LIGNOLA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

uditi i difensori:

avv. Giunta, per la parte civile, che chiede il rigetto del ricorso e deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione;

avv. Tagliani, per i ricorrenti, il quale si riporta ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Mantova del 13.11.2015, appellata dall’imputato Alberto Varchi, dal Procuratore Generale e dalla parte civile, ha condannato Franca Molinari alla pena di mesi sette di reclusione e al risarcimento dei danni, ribaltando la sentenza di primo grado che l’aveva assolta, ed ha confermato la condanna di Alberto Varchi alla pena di mesi sette di reclusione oltre al risarcimento dei danni alla parte civile Rodolfo Alberio, vicino di casa degli imputati.

Entrambi gli imputati rispondono della contestazione di atti persecutori ai danni della suddetta persona offesa, per aver compiuto varie azioni intimidatorie, occupando un’area comune con il loro camper, nonché con ingiurie e minacce gravi, anche di morte, e un tentativo di investimento; le condotte si sono protratte dal 1.8.2011 al 9.6.2013 ed è stato accertato dai giudici di merito che esse hanno arrecato un grave stato di ansia e paura alla vittima, nonché un fondato timore per la propria incolumità.

Il contesto vede le parti coinvolte in reciproche denunce e procedimenti speculari nell’ambito di aspri dissidi per ragioni di vicinato, tanto da coinvolgere investigatori privati e da determinare la persona offesa a mettere in vendita la sua abitazione.

2. Avverso la sentenza d’appello ricorrono gli imputati, tramite il difensore, avv. Tagliani, deducendo plurimi motivi di ricorso.

2.1. Il primo argomento di censura indica violazione di legge in relazione all’art. 603 cod. proc. pen. ed al mancato accoglimento delle richieste istruttorie proposte dalla difesa degli imputati, nonché manifesta illogicità e mancanza della motivazione relativa.

La Corte d’Appello avrebbe rigettato le richieste di prova formulate dagli imputati e avrebbe dedotto illogicamente, dalla condanna della parte civile (e della sua compagna) per il reato di minaccia grave commessa ai danni dello stesso imputato Varchi, la preesistenza di offese e molestie da parte di quest’ultimo nei suoi confronti.

Egualmente illogica si rivelerebbe la motivazione con cui sono state rigettate le richieste di perizia e consulenza di parte per provare che la persona offesa abbia posto in essere un’attività di illecita intercettazione ed interferenza nella vita privata degli imputati, provata peraltro da alcune registrazioni su supporto DVD prodotte dall’accusa nel processo, come documento proveniente dalla persona offesa.

2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge in relazione all’art. 191 cod. proc. pen. per avere i giudici di merito fondato la propria decisione di rigetto della richiesta di perizia su prove inutilizzabili costituite da videoregistrazioni realizzate in luoghi di privata dimora, vietata in modo assoluto dall’art. 615-bis cod. pen., che ne sancisce l’illiceità.

2.3. Il terzo argomento di censura evidenzia violazione dell’art. 612-bis cod. pen. che è stato configurato anche per alcune porzioni di condotta – frasi minacciose o ingiuriose – realizzate dagli imputati all’interno della loro abitazione privata.

2.4. La quarta censura ha ad oggetto i vizi di violazione di legge e motivazione manifestamente illogica o mancante quanto alla affermazione di responsabilità dell’imputato Alberto Varchi, per l’inidoneità del provvedimento impugnato a rappresentare le ragioni sulla base delle quali è stata ritenuta la credibilità e attendibilità della persona offesa, senza tener conto della sua condanna per il reato di minaccia nei confronti dell’imputato.

Si contesta, altresì, la sottovalutazione delle dichiarazioni del teste Toffanin, il quale ha, da un lato, escluso che la condotta dell’imputato abbia costituito un ostacolo al passaggio dei veicoli nell’area comune; dall’altro, raccontato delle azioni moleste di Alberio nei confronti degli imputati e delle pressioni psicologiche esercitate direttamente nei suoi riguardi e nei riguardi dei suoi familiari prima della sua deposizione.

2.5. Un ulteriore motivo di ricorso deduce erronea interpretazione della legge penale e vizio di motivazione manifestamente illogica o mancante quanto alla affermazione di responsabilità di Franca Molinari, affermata dopo la riassunzione delle testimonianze della persona offesa e della sua compagna in sede di giudizio d’appello, ma fondata su un giudizio di credibilità ed attendibilità di costoro che non tiene conto delle discrasie dei loro narrati.

3. In data 5.11.2019 la parte civile Rodolfo Alberio ha depositato memoria difensiva con cui chiede l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati sottolineando la logicità delle motivazioni della Corte d’Appello, la presenza di una doppia pronuncia conforme quanto alla affermazione di responsabilità dell’imputato Varchi e il rispetto di tutti i canoni motivazionali dettati dalla giurisprudenza di legittimità per la riforma di una sentenza assolutoria, avuto riguardo alla posizione dell’imputata Molinari: la Corte d’Appello ha risentito i testi ed ha motivato in maniera “rafforzata” per superare le argomentazioni assolutorie del primo giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, sia perché nella gran parte formulato in fatto, sia perchè complessivamente anche manifestamente infondato.

2. Il primo ed il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente e sono manifestamente infondati.

La Corte d’Appello ha dettagliatamente ricostruito la vicenda e le fonti di prova che hanno portato ad affermare la responsabilità degli imputati.

Inoltre, i giudici di secondo grado hanno risposto alla richiesta di acquisizione delle consulenze tecniche di parte volte a provare la riconducibilità delle videoregistrazioni ad apparecchiature illegalmente installate nell’abitazione dei ricorrenti dagli investigatori privati assunti dalla persona offesa su mandato di questa con una motivazione ampia che spiega come non siano mai emersi elementi dai quali poter desumere una simile circostanza, ma anzi le videoriprese si è accertato che sono state girate dall’esterno dell’abitazione e dirette a parti di essa accessibili dall’esterno, sicchè devono ritenersi legittimamente acquisite come documenti.

Ed infatti, da un lato, le Sezioni Unite, con la pronuncia Sez. U, n. 26795 del 28/3/2006, Prisco, Rv. 234267, hanno affermato che le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’art. 234 cod. proc. pen., mentre, se eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d’iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 cod. proc. pen. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento.

Dall’altro, in concreto, sono state archiviate le posizioni di Rodolfo Alberio e Angelo Cavicchini – quest’ultimo investigatore privato incaricato dalla persona offesa di effettuare videoriprese utili alla prova di quanto subiva – per il reato di cui all’art. 615- bis cod. pen..

Anche la perizia richiesta è stata non ammessa logicamente motivando la decisione con la genericità della richiesta, non essendovi alcuna concreta evidenza dell’alterazione delle immagini riprese o dei sonori rilevati, mentre il teste Cavicchini ha fornito ampia e dettagliata testimonianza ricostruendo le procedure utilizzate e rispondendo ad ogni esigenza di approfondimento difensivo.

Del resto, il reato di cui all’art. 615-bis cod. pen. (interferenze illecite nella vita privata) non è configurabile per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, nel caso in cui tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano, però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei (Sez. 5, n. 44156 del 21/10/2008, Gottardi, Rv. 241745).

3. Il terzo motivo è stato proposto per la prima volta dinanzi al giudice di legittimità, sicchè è inammissibile.

Ed infatti, non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame e sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perchè non devolute alla sua cognizione, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a vo priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (cfr. ex multis Sez. 2, n. 29707 del 8/3/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/2/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577; analogo principio è stato affermato anche in tema di misure cautelari: cfr. Sez. 5, n. 48416 del 6/10/2014, Dudaev, Rv. 261029).

In tale ottica, costituisce questione “nuova”, che deve ritenersi non abbia formato oggetto di gravame, quella che abbia ad oggetto capi o punti della decisione impugnata non enunciati nell’atto di impugnazione di merito (cfr. sotto il diverso profilo del concetto di “novità” del motivo ulteriore proposto in sede di legittimità facendo seguito al ricorso originario, ma con argomentazione esportabile nel caso sottoposto al Collegio: Sez. 2, n. 17693 del 17/1/2018, Corbelli, Rv. 272821 e le pronunce ivi richiamate), ovvero che consista in deduzioni riguardanti parti del provvedimento gravato che non erano state oggetto della primitiva impugnazione sotto gli specifici profili poi successivamente dedotti (cfr. anche, sul medesimo tema, la pronuncia Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268965).

4. Il quarto argomento eccepito dalla difesa del ricorrente è manifestamente infondato poiché la Corte d’Appello ha dedicato ampia parte della motivazione ad esaminare puntualmente ed in maniera logica ed approfondita i profili di credibilità e attendibilità delle testimonianze della persona offesa e di sua moglie Carmela Sapienza, coerenti tra loro, reciprocamente, quindi, rafforzative l’una dell’altra e, infine, confortate anche dall’ulteriore testimonianza dei due investigatori privati, Angelo Cavicchini ed il suo collaboratore Luciano Corona.

Inoltre, formidabile riscontro alle dichiarazioni della persona offesa è costituito dai contenuti della prova documentale: i DVD, con le relative trascrizioni dei dialoghi, nelle quali si confermano i numerosi insulti e le reiterate minacce poste in essere dall’imputato ai danni della vittima.

Viceversa, nessuna illogicità si desume nella motivazione del provvedimento impugnato relativa alla valutazione della testimonianza del teste Toffanin, che solo sporadicamente frequentava i luoghi teatro la vicenda, ove abita la madre, che egli va a trovare solo per poche ore in alcuni giorni di ogni mese.

5. L’ultimo motivo di ricorso, riferito all’affermazione di responsabilità dell’imputata Franca Molinari, con overturning del giudice d’appello rispetto all’assoluzione del primo grado, è risolto nel senso dell’inammissibilità per manifesta infondatezza ed specificità, poiché il provvedimento impugnato, processualmente esatto in quanto si è proceduto a riascoltare i testimoni principali e vittime del reato (Alberio e la moglie), così aderendo ai principi del fair trial stabiliti dall’art. 6 CEDU nonché alle indicazioni delle Sezioni Unite (cfr. la sentenza Sez. U, n. 27620 del 28/4/2015, Dasgupta, Rv. 267487), ha elaborato una motivazione senza dubbio rafforzata, che “tiene” anche alla verifica secondo i canoni interpretativi di Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679.

Inoltre, entrambi i coniugi vessati descrivono più volte la partecipazione costante della moglie dell’imputato alla gran parte degli episodi persecutori messi in atto dal marito nei confronti delle persone offese.

In particolare, appaiono significativi: la presenza della Molinari all’interno dell’autovettura del marito quando Varchi ha tentato di investire Alberio, nonché l’istigazione continua alle condotte di vessazione, anche quando in un’occasione egli ha lanciato dell’olio all’indirizzo del vicino/rivale, nonché le dirette, continue ingiurie.

La Corte ha respinto la tesi difensiva secondo cui le dichiarazioni dell’investigatore privato Cavicchini costituiscono una smentita al narrato dei testi principali del processo: egli si è limitato a confermare che, secondo la ricostruzione della stessa persona offesa, la Molinari comunque non parlava in molte delle occasioni in cui spalleggiava il marito.

6. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti che lo hanno proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 3.000.

Deve disporsi altresì la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado di giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna altresì i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria l’8 giugno 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.