Configurano lo stalking, le minacce al parroco per la gestione della parrocchia (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 14 ottobre 2021, n. 37451).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. VENEGONI Andrea – Rel. Consigliere

Dott. DE MARZIO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza n. 3948/20 del 4.11.2020 della CORTE APPELLO DI PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Andrea VENEGONI;

sentiti il PG ed il difensore, e lette la requisitoria scritta e la memoria del difensore dell’imputato;

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza di primo grado del Tribunale di Marsala, emessa in seguito a giudizio immediato, che riconosceva (OMISSIS) responsabile del reato di cui all’art. 612-bis c.p. in relazione a fatti coinvolgenti (OMISSIS) detta (OMISSIS) (OMISSIS) suora superiora dell’Istituto delle (OMISSIS) di (OMISSIS), dimorante in (OMISSIS) ed il parroco (OMISSIS), e lo condannava alla pena di anni uno mesi sei di reclusione, con pena sospesa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.

2. I fatti riguardavano la gestione delle attività di una parrocchia di (OMISSIS) contestando il (OMISSIS) la modalità di conduzione della stessa ad opera del parroco (OMISSIS), con cui collaborava anche (OMISSIS).

3. Da qui una serie di atti consistenti in danneggiamenti, minacce, coinvolgenti sia la suora, che assisteva il parroco nella gestione degli affari della parrocchia, ed in particolare la distribuzione di aiuti alle persone in difficoltà, sia il parroco, nonché telefonate ripetute anche sotto falso nome di un avvocato per indurre la suora a rimettere la querela.

4. Il (OMISSIS) (OMISSIS), ricorre sulla base di tre motivi.

5. Il sostituto PG, Dott. Giuseppe Locatelli, ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.

6. Il difensore dell’imputato ha depositato conclusioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il difensore dell’imputato deduce, ai sensi dell’art. 606 c) per violazione degli artt. 178 c) e 180 c.p.p., nullità del giudizio perché è stato disposto il giudizio immediato senza previo interrogatorio dell’indagato.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606 lett c) c.p.p., nullità della sentenza per violazione degli artt. 604 e 521 c.p.p., per non correlazione tra fatto contestato e sentenza, avendo la sentenza confermato la condanna anche in relazione alle condotte nei confronti del parroco, per quanto quest’ultimo non sia mai stato indicato come parte offesa e le condotte nei suoi confronti esulino dai fatti del capo di imputazione

Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. e) c.p.p., illogicità, contraddittorietà, omissione della motivazione sulla sussistenza dei fatti costitutivi del reato.

2. Il ricorso é infondato.

3. In merito al primo motivo, i fatti appaiono nei seguenti termini: prima della richiesta di giudizio immediato da parte del pm, pacificamente non si è svolto alcun interrogatorio del (OMISSIS) mentre, in data anteriore, egli era stato convocato per l’interrogatorio di garanzia a seguito di misura cautelare (verosimilmente un obbligo di presentazione alla pg o un divieto di avvicinarsi ai luoghi), ma di fatto anche questo interrogatorio non si era svolto.

Infatti, il giorno dell’interrogatorio di garanzia, il sarebbe andato alla stazione CC di (OMISSIS) per informare che non poteva presenziare perché il figlio aveva avuto un rialzo febbrile e necessitava ricovero all’ospedale.

3.1. La Corte d’Appello dapprima afferma il principio di diritto per cui l’interrogatorio di garanzia svolge la stessa funzione di quello pre-immediato, poi conferma la tesi del giudice di primo grado che non ha ravvisato l’impossibilità assoluta dell’imputato a presenziare all’interrogatorio di garanzia.

3.2. Il principio di diritto affermato è corretto, atteso che questa Corte (da ultimo si veda sez. 5, n. 4729, dep. 2020, del 10/12/2019, Rv. 278558-02) ha stabilito che, per l’accesso al rito speciale del giudizio immediato, l’interrogatorio di garanzia previsto dall’art. 294 c.p.p. è equipollente all’interrogatorio cui fa riferimento l’art. 453 c.p.p.

3.3. Quanto alla mancata comparizione all’interrogatorio di garanzia, secondo l’art 453 c.p.p. il presupposto della richiesta di giudizio immediato non è l’effettuazione dell’interrogatorio, ma è sufficiente il solo invito a presentarsi nelle forme dell’art. 375, comma 3, c.p.p. anche senza che l’interrogatorio sia stato effettuato, a meno che non ricorra una situazione di legittimo impedimento.

3.4. Al riguardo, la sentenza evidenzia che, con la notifica dell’ordinanza cautelare (che, come già rilevato, evidentemente non era né la custodia in carcere né gli arresti domiciliari) all’imputato è stato notificato l’invito per l’interrogatorio con le indicazioni di cui all’art. 375, comma 3, secondo periodo c.p.p.

L’imputato, però, lamenta che nella specie ricorresse un legittimo impedimento e la Corte d’Appello avrebbe errato nel non riconoscerlo.

Il PG eccepisce che questa è questione di fatto non sindacabile in cassazione.

3.5. Dagli atti si rileva che nei gradi precedenti i giudici di merito hanno sempre rigettato l’eccezione di assoluto impedimento per difetto di prova chiara al riguardo, né si fa mai riferimento alla produzione di un certificato del pronto soccorso attestante il ricovero del figlio dell’imputato.

3.6. La sentenza di appello, poi, a pag 4 evidenzia che, pur avendo il difensore rappresentato il fatto che l’imputato aveva accompagnato il figlio all’ospedale, allo stesso tempo non aveva chiesto alcun differimento dell’interrogatorio e “nulla aveva osservato in ordine all’assenza dell’indagato”, e dunque non aveva invocato il legittimo impedimento.

Si deve ritenere, pertanto, che sia per l’impossibilità di sindacare il fatto costituente asserito impedimento, sia per il comportamento processuale dell’imputato, il motivo non sia meritevole di accoglimento.

4. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, perché il capo di imputazione riferisce il reato di atti persecutori solo a (OMISSIS) mentre la sentenza di primo grado ha considerato il reato commesso anche nei confronti di (OMISSIS)

4.1. Il motivo è infondato.

Al di  là  dello  svolgimento  dei  fatti  processuali  nei  gradi  di  merito  e  della partecipazione di (omissis) quale parte civile, resta il fatto che:

– il principio espresso più volte da questa Corte sulla correlazione tra accusa e sentenza è nel senso che questa rileva nella misura in cui non ha permesso all’imputato di difendersi su fatti nuovi e diversi da quelli contestati originariamente, per cui se i fatti storici sono descritti  nel loro svolgimento  fin dal capo di  imputazione, la violazione non sussiste al di là della contestazione formale (si veda, tra le altre, sez. 6 n. 13798 dep. 2015, del 30/12/2014).

– nel  caso  di  specie,  come  detto,  le  condotte  poste  in  essere  nei  confronti  di (OMISSIS) non attengono ad un rapporto personale tra l’imputato e la stessa, o non si riferiscono alla sua persona in quanto tale, ma sono tutte correlate alla gestione delle attività parrocchiali, condotta, ovviamente, insieme al parroco (OMISSIS) il quale, infatti, viene ripetutamente citato nel capo di imputazione.

– La condotta addebitata all’imputato nel capo di imputazione comprende esplicitamente atti riguardanti (OMISSIS).

Si afferma infatti che il presupposto del reato  è il  fatto  che  l’imputato  fosse “infastidito dalle modalità di gestione della parrocchia di (OMISSIS) attuate dal parroco (OMISSIS) e”; si afferma che il reato contestato è stato commesso “al fine di isolarlo dalle religiose che con lui collaboravano”, si ricorda che in una prima lettera anonima indirizzata a (OMISSIS) vi era testualmente scritto “spero che tu ti allontani presto da lui perché farai una brutta fine, perché già la fine che farà (OMISSIS) è un po’ brutta”, così come altri riferimenti alle condotte direttamente  coinvolgenti sono riportati a pag. 5 e 6 della sentenza di appello.

4.2. In sintesi, quindi, come ritenuto dal giudice di secondo grado, non si ravvisa alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza perché i fatti contestati sono stati esplicitati fin dal capo di imputazione e su di essi l’imputato ha avuto la possibilità di difendersi.

4.3. Questa Corte ha affermato che non vi è violazione della correlazione tra accusa e sentenza  quando i fatti storici sono descritti in tutti i loro elementi costitutivi, al di là della qualificazione giuridica (sez. 5, n. 7208, dep. 2021, del 1/12/2020, Rv. 280472-01).

4.4. Ora, è vero che, per completezza di analisi, va anche dato conto di un orientamento secondo cui sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui l’imputato venga condannato per un reato che in sentenza si afferma commesso in danno di una persona offesa diversa da quella indicata nel capo d’imputazione (sez. 2, n. 47600 del 19/10/2016, Rv. 268319-01), tuttavia va anche sottolineato che la fattispecie che ha determinato la suddetta pronuncia non è del tutto coincidente con quella del presente procedimento.

In quel caso, infatti, era emersa una radicale diversità della parte lesa che portava ad un giudizio di diversità del fatto storico; nel presente caso la situazione è differente perché la situazione di cui si duole l’imputato comporterebbe, tutt’al più, una parte lesa aggiuntiva rispetto a quella dell’imputazione, ma in relaizone ai medesimi fatti storici illustrati nel capo di imputazione; non vi sarebbe, quindi, nessun fatto storico nuovo.

4.5. Questa Corte (sez. 4, n. 10149 del 15/12/2020, dep. 2021, Rv. 280938-01) insegna che:

“per “fatto nuovo” si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo “thema decidendum“;

per “fatto diverso”, invece, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione  originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato”.

4.6. Nessuna delle due situazioni ricorre nella specie, dove, come si ripete, i fatti oggetto di analisi sono sempre stati i medesimi indicati fin dall’inizio del processo nel capo di imputazione.

4.7. E’ quindi applicabile, nella specie, il principio affermato da 3 n. 28906 del 2021, secondo cui:

“in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa;

ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione”.

4.8. Tutto ciò, inoltre, non ha alcuna influenza sulla raccolta delle prove.

Il  parroco è stato sentito come teste (pag  3 sentenza) in contraddittorio e questo nulla ha a che fare con la sua posizione come parte civile o meno e con il  capo di  imputazione, né con la sua attendibilità, che deve  essere  valutata  in concreto,  come è avvenuto nel caso di specie con giudizio di fatto, immune da censure.

5. Per quanto attiene al terzo motivo, lo stesso è attinto in primo luogo da un  giudizio di inammissibilità, risolvendosi in una richiesta di rivalutazione delle prove, anche se prospettato sotto forma di vizio della motivazione, e quindi inammissibile.

5.1. Questa Corte (sez. 5, n. 19318 del 20/1/2021, Rv. 281105 – 01) ha chiarito che il vizio di motivazione manifestamente illogica ricorre nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento.

5.2. La motivazione della sentenza non presenta simili fratture o contraddittorietà.

Semplicemente, fornisce un’interpretazione dei vari elementi di fatto diversa da quella prospettata dal ricorrente, cosicché il motivo si sostanzia nel riproporre una diversa interpretazione degli stessi fatti.

5.3. Il motivo si traduce, quindi, in sostanza, nella richiesta di rivalutazione degli elementi probatori e sez. 6, n. 22253 del 7/7/2020, n.m., ha chiarito al riguardo che: “va ribadito che non è consentito, in sede di legittimità, proporre un’interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente scrutinato in sede di merito, sollecitandone un nuovo esame attraverso evocati vizi della motivazione che in realtà surrettiziamente mirano ad una diversa e alternativa valutazione del compendio di riferimento”.

6. Il ricorso deve, quindi, nel complesso, essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

7. Sussistono i presupposti per l’oscuramento dei dati.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Oscuramento dati identificativi e personali.

Così deciso il 7/9/2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021.

SENTENZA – copia conforme -.