Contestazione suppletiva dell’aggravante in udienza: nessun sindacato preventivo (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 10 aprile 2024, n. 14710).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. PATRIZIA PICCIALLI – Presidente –

Dott. DANIELA CALAFIORE – Consigliere –

Dott. DONATELLA FERRANTI – Relatore –

Dott. ALESSANDRO D’ANDREA – Consigliere –

Dott. GENNARO SESSA – Consigliere –

la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI TORREANNUNZIATA

nel procedimento a carico di:

(omissis) (omissis) nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 04/04/2023 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DONATELLA FERRANTI;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Torre Annunziata, ha dichiarato non doversi procedere ai sensi dell’art. 129 cod.proc.pen. nei confronti di (omissis) (omissis) perché l’azione non doveva essere proseguita per mancanza di querela in relazione al delitto contestato di cui all’art. 624 e 625 n. 2 cod.pen, perché al fine di procurarsi un profitto quale conduttore dell’alloggio di proprietà dell’IACP si impossessava di volumi di acqua per un valore stimato di euro 1656,53 mediante l’uso fraudolento consistito nel realizzare un allaccio abusivo sulla montante idrica della società (omissis) spa. In Castellamare di Stabia il 6.2.2019.

1.1. Il Tribunale aveva rilevato all’udienza del 4.04.2023:

che era decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni per la proposizione della querela così come previsto dall’art. 85 D.Ivo 150/2022;

che il Pubblico ministero alla udienza aveva proceduto alla contestazione suppletiva di cui al n. 7 dell’art. 625 cod.pen. ritenendo l’acqua bene destinato a pubblico servizio;

che il Tribunale aveva ritenuto tardiva la richiesta di contestazione suppletiva in quanto l’azione era divenuta improcedibile; affermava che la circostanza non poteva ritenersi contestata in fatto in quanto, poiché sottintendeva valutazioni di natura giuridica, doveva essere oggetto di contestazione espressa.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Torre Annunziata per violazione di legge.

Deduce in particolare che erratamente il Tribunale aveva fissato un termine di decadenza per il PM ai fini della contestazione di cui all’art. 517 cod.proc.pen. che può essere validamente effettuata fino alla chiusura del dibattimento e tale potere deriva dal principio di obbligatorietà dell’azione penale previsto dall’art. 103 della costituzione e non incorre in nessuna preclusione con l’unico limite della pronuncia della sentenza.

Evidenzia che nel caso di specie, effettuata la contestazione dell’aggravante suppletiva del furto su cosa destinata a pubblico servizio, il Tribunale doveva procedere ai sensi dell’art. 520 cod. proc, pen. disponendo l’inserimento nel verbale di udienza, con notifica all’imputato, sospensione del dibattimento e fissazione di nuova udienza per il prosieguo.

La preclusione dedotta dal Giudice è inconferente perché il reato a seguito della contestazione suppletiva è divenuto perseguibile di ufficio.

3. Il Procuratore generale ha presentato memoria scritta per l’udienza odierna con cui ha chiesto l’annullamento senza rinvio al Tribunale di Torre Annunziata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

1.1. Il Collegio ritiene che la pronuncia impugnata viola la legge secondo quanto prospettato nel ricorso del Pubblico ministero con riferimento all’esercizio del dell’azione penale, in specie al potere- dovere della contestazione suppletiva.

Va ribadito che in tema di nuove contestazioni in dibattimento, il giudice non può esercitare alcun sindacato preventivo sull’ammissibilità della contestazione del fatto diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio o del reato concorrente o della circostanza aggravante non menzionati in tale decreto, proposta dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., dovendo invece provvedere sul capo d’imputazione come modificato, stabilendo se sussista o meno la responsabilità penale dell’imputato (cfr. Sez. 2 n. 9039 del 17/01/2023,Palumbo Fabio+1; Sez. feriale n. 43255 del 22.08.2023, Di Lanno; Sez. 4, n. 48347 del 04/10/2023,Sc:alora, Rv. 285682; Sez. 4 n.652 del 7.12.2023, dep. Il 9.01.2024, Attanasio).

Tale affermazione si inserisce in un costante orientamento già ribadito da precedenti pronunce (Sez. 6, n. 37577 del 15/10/2010, Rv. 248539 – 01,Marcolin, in motivazione) secondo cui l’art. 516 cod.proc.pen., e segg., inseriti sotto la rubrica “Nuove contestazioni”, disciplinano l’esercizio dell’azione penale nel corso del dibattimento, mirando a salvaguardare il principio della necessaria correlazione tra accusa e sentenza.

Il pubblico ministero interviene sull’imputazione enunciata nell’atto che instaura il giudizio, per adeguarla a quanto emerge dalle prove raccolte, in modo che il dibattimento possa proseguire e la decisione conformarsi alla fattispecie concreta corretta e/o ampliata.

Effettuare una nuova contestazione è un potere esclusivo del pubblico ministero, inerente all’esercizio dell’azione penale, la cui obbligatorietà è prescritta dall’art. 112 Cost.

Inoltre, nell’ipotesi-ricorrente (art. 517 cod.proc.pen.), non è richiesto né il consenso dell’imputato nè l’autorizzazione del giudice. Pertanto, la decisione del giudice del dibattimento che, arrogandosi un potere che nessuna norma gli riconosce, nega al pubblico ministero il compimento di un atto imperativo, insindacabile e obbligatorio qual è la contestazione della circostanza aggravante, rilevando la tardività, è illegittima.

Nello stesso senso si era già affermato che:” avvenuta la contestazione del reato connesso da parte del pubblico ministero, il giudice che procede ha l’obbligo di provvedere in ordine al nuovo capo di imputazione, stabilendo se sussiste o meno la responsabilità penale dell’imputato, ovvero dichiarando la propria incompetenza perché il fatto appartiene a quella di un giudice superiore.

E ove il giudicante ometta di decidere nel senso su riferito, la sentenza da lui resa potrà essere utilmente impugnata in quanto non si è pronunciata su di un capo di imputazione.

Anzi, è proprio questo l’unico rimedio a disposizione del rappresentante della pubblica accusa avverso il rifiuto del giudicante a provvedere sulla contestazione effettuata ai sensi dell’articolo 517 cod.proc.pen., dal momento che la possibilità di procedere autonomamente – da taluni prospettata – è data per il reato connesso, ma non per la circostanza aggravante” (Sez. 2, n. 5180 del 5.11.1999, Saraceno+altri, in motivazione).

A conferma di tale principio è sufficiente osservare che l’art. 517 stabilisce esclusivamente che il pubblico ministero “contesta all’imputato” il reato connesso o la circostanza aggravante emersa dagli atti del dibattimento, senza prevedere alcun potere di intervento per l’organo giudicante, come fa invece l’art. 518 cod. proc. pen. con riferimento alla contestazione di un fatto nuovo, stabilendo che il presidente del collegio “può autorizzarla”.

Emerge pertanto evidente come dalla ricognizione delle norme di riferimento in presenza di una circostanza aggravante al giudice che procede è preclusa qualsiasi attività discrezionale posto che l’unico titolare dell’azione penale, il pubblico ministero, può procedere alla modifica dell’imputazione.

1.2. Ulteriore argomento si trae dalla lettura della motivazione della sentenza della Corte costituzionale del 9 luglio 2015 n. 139 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 del cod.proc.pen., nella parte in cui nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione e che ha precisato che: “la contestazione “tardiva” di circostanze aggravanti, è idonea a determinare «un significativo mutamento del quadro processuale”, potendo incidere in modo rilevante sull’entità della sanzione – tanto più quando si tratti di circostanze ad effetto speciale – e talvolta sullo stesso regime di procedibilità del reato.

La Corte ha osservato, inoltre, che “l’imputato che si veda contestare in dibattimento una circostanza aggravante già risultante dagli atti di indagine si trova in situazione non dissimile da quella del destinatario della contestazione “tardiva” di un fatto diverso: sicché, una volta divenuta ammissibile la richiesta di “patteggiamento” nel caso di modificazione dell’imputazione a norma dell’art. 516 cod. proc. pen., la preclusione di essa nel caso di contestazione di una nuova circostanza aggravante, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., risulta foriera di ingiustificate disparità di trattamento al pari della richiesta di giudizio abbreviato.”

1.3. Nel caso in esame il pubblico ministero in dibattimento ha richiesto la modifica dell’imputazione e la contestazione dell’aggravante del 625 n. 7 cod. pen. da cui derivava in astratto la procedibilità di ufficio del reato contestato; il Tribunale ha negato l’esercizio di tale potere-dovere rilevandone illegittimamente la tardività sul presupposto errato che erano decorsi i termini per proporre la querela da parte della persona offesa e ha deciso sulla base della originaria imputazione, dichiarando la improcedibilità ex art. 129 cod.proc.pen.

Vanno qui richiamati, quanto alla rilevata tardività della contestazione suppletiva, anche i principi affermati da Sez. U. n. 4 del 28/10/1998 (dep. 11/03/1999), Barbagallo, Rv. 212757, secondo cui “la direttiva n. 78, di cui all’art. 2 delle legge delega per il vigente codice di rito (L. 16 febbraio 1987 n. 81), prevedendo appunto il potere del pubblico ministero di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione non pone specifici limiti temporali all’esercizio di detto potere nell’ambito di tale fase processuale, nè consente di fare distinzioni quanto alla fonte degli elementi dai quali la contestazione “suppletiva” trae causa.

E ciò è stato previsto dalla direttiva in esame, e poi introdotto nel codice di rito, perché la modifica dell’imputazione o la contestazione di una circostanza aggravante, come pure di un reato concorrente, non possono che considerarsi come eventualità fisiologiche in un sistema processuale che si ispira al rito accusatorio incentrato nel dibattimento, ma che non consente, come più volte ricordato dalla Corte Costituzionale, dispersione degli elementi utili per un “giusto processo”.

Ora, è vero che la tendenziale parità delle parti, cui si ispira la logica del sistema accusatorio – nell’esaltare il principio del contraddittorio – richiede che il pubblico ministero formuli l’imputazione in base agli elementi d’accusa già acquisiti nelle indagini preliminari (artt. 405-407 cod.proc.pen.) e che, a sua volta, l’imputato, posto a conoscenza degli elementi di accusa, possa sin dall’inizio del dibattimento contrastarli efficacemente.

Ma ciò non può comportare, come ineluttabile conseguenza, che, se il pubblico ministero, per inerzia o errore, abbia omesso in parte la contestazione di elementi di accusa già acquisiti, non possa provvedervi poi nel dibattimento, e sin dal suo inizio, apportando le necessarie modifiche all’imputazione.

Senza contare, infine, che la contestazione suppletiva all’inizio del dibattimento e sulla base di elementi non considerati nella formulazione dell’originaria imputazione, in caso di circostanza aggravante o di modifica dell’imputazione, evita di precludere al pubblico ministero la possibilità di richiedere un accertamento completo del fatto-reato, in sede di giudizio.

E ciò perché gli elementi modificativi od integrativi del fatto (quali le circostanze aggravanti) non potrebbero ‘mai formare oggetto di autonomo giudizio penale, diversamente da quanto sostenuto erratamente nella sentenza impugnata. Si darebbe luogo altrimenti ad una contrazione dell’ambito di esercizio dell’azione penale, con ciò contravvenendosi al disposto dell’art. 112 Cost.

Ed ancora, proprio a garanzia del diritto di difesa, l’art. 519 cod.proc.pen. dà facoltà all’imputato, nei cui confronti il pubblico ministero abbia proceduto a contestazione suppletiva (“salvo che la contestazione abbia per oggetto la recidiva”), di chiedere al giudice un termine per poter contrastare l’accusa perché in parte integrata o modificata.

La norma in esame,, peraltro, aggiunge che il tempo concesso dal giudice non può essere “inferiore al termine per comparire previsto dall’art. 429 (art. 519, comma 2), cioè non inferiore a venti giorni”.

1.4. Si è detto che nel caso di cui è processo il pubblico ministero in dibattimento, nel primo segmento processuale utile, aveva richiesto la modifica dell’imputazione e la integrazione della rubrica della imputazione con la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. da cui derivava in astratto la procedibilità di ufficio del reato contestato ed il Tribunale ha sostanzialmente negato l’esercizio di tale potere-dovere rilevandone la tardività sul presupposto che erano decorsi i termini per proporre la querela da parte della persona offesa a seguito della modifica legislativa e ha deciso sulla base della originaria imputazione rilevando la improcedibilità ex art. 129 cod.proc.pen., violando tutti i principi del contraddittorio.

In riferimento al momento processuale in cui il potere di precisazione della contestazione, immediatamente derivante dal principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., deve essere esercitato, le direttrici ermeneutiche declinate dalla giurisprudenza di legittimità, nella sua più autorevole composizione, la citata Sez. U. Barbagallo, non assegnano alcuna preclusione correlata alla preesistenza, rispetto all’apertura del dibattimento, degli elementi di fatto che portano alla modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e alla contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. peri., poiché le nuove contestazioni possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.

Di guisa che il potere di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione o alla formulazione di nuove contestazioni va riconosciuto al Pubblico ministero senza specifici limiti temporali o di fonte, in quanto l’imputato ha facoltà di chiedere al giudice un termine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l’oblazione (ex multis, Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, B.L. Rv. 262614; Sez.6 n. 44980 del 22.09.2009, Nasso, Rv. 245284).

Tale linea interpretativa non è smentita dalla recente sentenza delle Sez. U. n. 49935 del 28.09.2023, Domingo, che afferma l’obbligo del giudice di procedere immediatamente alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione nel caso di contestazione suppletiva della recidiva, in quanto tale sentenza, nel caso concreto esaminato, ha rilevato un’impossibilità di fatto volto a precludere l’integrazione della contestazione della recidiva rispetto ad un reato già prescritto, a causa dell’inesistenza stessa di idoneo «segmento processuale».

Le Sezioni Unite Domingo al paragrafo 7 ribadiscono, invero, i principi sopra illustrati in tema di esercizio della contestazione suppletiva da parte del Pubblico ministero e affermano: “Va altresì considerato che, in caso di contestazione suppletiva della recidiva in dibattimento, l’imputato presente non ha diritto a un termine a difesa, diversamente da quanto previsto qualora sia contestata una qualsiasi altra circostanza aggravante (art. 519, comma 1, cod. proc. pen.).

Quanto sinora evidenziato, però, non consente di escludere, de iure condito, che il pubblico ministero possa procedere alla contestazione suppletiva della recidiva solo in dibattimento, ai sensi delle citate disposizioni, non solo nei casi in cui la sussistenza della circostanza aggravante sia emersa dopo l’esercizio dell’azione penale (invero assai difficilmente ipotizzabili: si pensi all’accertamento di precedenti penali risultanti a carico dell’imputato con un alias la cui conoscenza sia emersa solo nel corso del dibattimento), ma anche qualora il pubblico ministero supplisca a una inerzia, rimedi a un errore ovvero compia una diversa valutazione discrezionale rispetto a quella fatta al momento dell’esercizio dell’azione penale.

Tale conclusione risulta allo stato coerente rispetto alla risalente pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U. citata Barbagallo) secondo la quale «le contestazioni ai sensi degli artt. 516 e 517 possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, cioè sulla base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari» (in senso conforme v. Sez. 2, n. 45298 del 14/10/2015, Zani, Rv. 264903-01;Sez. 5, n. 8631 del 21/09/2015, Scalía, dep. 2016, Rv. 266081-01; Sez. 5, n. 16989 del 02/04/2014, Costa, Rv. 259857-01).

Non è in discussione, dunque, la facoltà da parte del pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva (nel caso di specie) della recidiva, che peraltro non richiede l’autorizzazione del giudice (nei casi di cui all’art. 517 cod. proc. pen. «il pubblico ministero contesta all’imputato» una circostanza aggravante), a differenza di quanto previsto per la contestazione del fatto nuovo, in presenza dei presupposti previsti dall’art. 518, comma 2, del codice di rito”.

1.5. Nel caso all’esame del Collegio, deve rilevarsi che il Tribunale, nel pronunciare sentenza di immediata declaratoria del proscioglimento dell’imputato per mancanza della condizione di procedibilità del reato di furto pluriaggravato nell’escludere, nel corso del dibattimento, la facoltà del Pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva della circostanza aggravante della destinazione “a pubblico servizio” di cui all’art. 625 comma 1 n. 7 ultima parte cod.pen., ha anticipato la decisione, pervenendo ad una declaratoria ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen, così dettando, ancor prima della chiusura della istruzione dibattimentale, i termini della discussione finale (limitata alla ricorrenza di un mutamento del regime della procedibilità del reato ascritto), nonostante fosse stato sollevato dall’organo della Procura l’incidente relativo alla contestazione suppletiva.

In sostanza, pertanto, il Tribunale non ha considerato che il Pubblico ministero aveva formulato una contestazione suppletiva la quale – in astratto – avrebbe consentito di ricondurre la fattispecie nell’alveo della punibilità di ufficio, omettendo del tutto di riconoscere all’imputato le garanzie previste dall’art. 519 cod.proc.pen. una volta che la contestazione suppletiva era divenuta patrimonio del processo e di valutare le sopravvenienze istruttorie, pure intervenute nel corso del giudizio, le quali avrebbero potuto concorrere a confortare la plausibilità della contestazione suppletiva medesima limitandosi a rilevare la sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale per mancata presentazione della querela da parte della persona offesa entro il termine di legge e invitando le parti a confrontarsi solo su tale tema, riconosciuto come pregiudiziale.

Ne consegue che l’ingiustificata accelerazione verso l’epilogo de plano del giudizio, come sopra evidenziata, ha determinato un rilevante vulnus alla pienezza del contraddittorio sui temi che formavano oggetto del procedimento, da cui è conseguita altresì la limitazione dell’iniziativa dell’ufficio del Pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale in una prospettiva di precisazione- integrazione del capo di imputazione, con riferimento alla ricorrenza di una circostanza aggravante, la quale, se effettivamente riconosciuta come esistente, anche a seguito di contestazione suppletiva, avrebbe assicurato la resistenza della fattispecie incriminatrice al mutamento delle condizioni di procedibilità pure introdotto, a fare data dal 30 dicembre 2022, dalla disciplina della riforma Cartabia.

L’ inosservanze in cui è incorso il Tribunale sono riconducibili a ipotesi di nullità di ordine generale di cui all’art.178 cod.proc.pen. laddove attengono ai limiti dell’esercizio dell’azione penale ai sensi dell’art.179 in relazione all’art.178 lett.b) cod.proc.pen. e al conseguente diritto delle parti private di contraddire sul punto; esse, peraltro, si atteggiano altresì quali vulnus alla stessa integrità del contraddittorio nel corso del giudizio, in quanto hanno determinato una ingiustificata limitazione al potere di intervento delle parti su temi decisivi del giudizio.

Le Sezioni unite. n. 12283 del 25/01/2005 (dep. 30/03/2005 ) Rv. 230531 – 01, De Rosa, hanno ben chiarito che «l’art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo – artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice -, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio».

L’art. 129 cod. proc. pen. — si è evidenziato — enuncia una regola di condotta rivolta al giudice, data la sua collocazione sistematica nell’ambito del capo relativo ad “atti e provvedimenti” giudiziali, e «prevede l’obbligo (recte dovere) dell’immediata declaratoria, d’ufficio, di determinate cause di non punibilità che il giudice “riconosce” come già acquisite agli atti.

Si è di fronte ad una prescrizione generale di tenuta del sistema, nel senso che, nella prospettiva di privilegiare l’exitus processus ed il favor rei, s’impone al giudice il proscioglimento immediato dell’imputato, o ve ricorrano determinate e tassative condizioni, che svuotano di contenuto – per ragioni di merito — l’imputazione o ne fanno venire meno – per la presenza di ostacoli processuali (difetto di condizioni di procedibilità) o per l’avverarsi di una causa estintiva – la effettiva ragion d’essere.

La citata sentenza De Rosa -ha poi osservato che “l’espressione immediata declaratoria, presente soltanto nella rubrica dell’art. 129 c.p.p., assume una valenza diversa da quella percepibile prima facie non denuncia una connotazione di “tempestività temporale” assoluta, fino a legittimare, pur nel silenzio della norma, il rito c.d. de plano […]; ma evidenzia la precedenza che tale declaratoria deve avere, ove ne ricorrano le condizioni, su altri eventuali provvedimenti decisionali adottabili dal giudice”.

Con Ia sentenza Tettamanti (Sez. U„ n . 35490 del 28/05/2009, R v . 244274-01), le Sezioni Unite hanno affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art.. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu o culi che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.

Inoltre, a conferma della prevalenza della pronuncia di proscioglimento su ogni ulteriore approfondimento- la sentenza ha ribadito che i vizi della motivazione del provvedimento impugnato non sono rilevabili in sede di legittimità in presenza di una causa estintiva, in quanto il giudice, cui andrebbero rimessi gli atti per il giudizio rescissorio al fine di riparare il tessuto motivazionale della decisione, avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva, principio applicabile anche in presenza di una nullità di ordine generale, come già affermato nella sentenza Cremonese (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Rv. 220511- 01).

In definitiva, il giudice non può pronunciarsi ex abrupto a norma dell’art. 129 cod.proc.pen., senza coinvolgere le parti.

1.6. Il potere di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione o alla formulazione di nuove contestazioni va riconosciuto al Pubblico ministero senza specifici limiti temporali o di fonte, in quanto l’imputato ha facoltà di chiedere al giudice un termine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o I diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l’oblazione (ex multis Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, B.L., Rv. 262614, Sez.6 n. 44980 del 22.09.2009, Nasso, Rv. 245284).

In conclusione, va affermato che il PM, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., era pienamente legittimato ad effettuare la contestazione suppletiva della circostanza aggravante in questione relativa all’art. 625 n. 7 cod.pen., a seguito della quale il reato oggetto di contestazione non era più in astratto procedibile a querela di parte ma d’ufficio e il Tribunale doveva decidere sulla regiudicanda come risultante dal legittimo esercizio da parte del Pubblico Ministero del potere dovere di formulare la imputazione.

Nel caso in esame, l’esercizio da parte del pubblico ministero del potere di integrare la contestazione nel primo segmento processuale utile non poteva essergli precluso dal giudice, come le stesse Sezioni unite Domingo, riconoscono.

E una volta che questo potere sia stato validamente esercitato, il giudice aveva l’obbligo di pronunciarsi sulla imputazione da ultimo contestata, non certo sull’imputazione originaria ormai superata, e ciò dopo aver garantito il contraddittorio ai sensi dell’art. 519 cod.proc.pen..

L’esigenza di “correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza” (art. 521 cod.proc.pen.) impone al giudice di pronunciarsi sul fatto che risulti validamente contestato all’imputato.

E’ priva di qualsiasi fondamento, ed è smentita dalla citata Sez. U. De Rosa, l’idea che l’art. 129 cod.proc.pen. possa legittimare il giudice a pronunciarsi “ora per allora” su un’imputazione che non è più attuale.

Nel caso in concreto, all’esame del Collegio, il Giudice ha illegittimamente impedito l’esercizio da parte del PM in udienza, nel primo segmento utile dopo il rinvio, della contestazione suppletiva relativa all’integrazione della rubrica del reato contestato con il riferimento all’art. 625 n. 7 e ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere secondo la originaria imputazione arrogandosi un diritto impeditivo e valutativo sull’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico ministero che non gli viene riconosciuto dal sistema e negando il contraddittorio tra le parti.

Il principio di immediatezza di cui all’art. 129 cod.proc.pen., non implica, infatti, una pronuncia intermedia prima che la fase processuale nella quale può manifestarsi la causa di improcedibilità si à esaurita. In questo arco temporale deve ritenersi applicabile l’art. 517 c.p.p.

Spetterà al giudice, all’esito del contraddittorio riaperto ai sensi dell’art. 519 cpp valutare se l’aggravante contestata sussiste oppure no.

1.7. Ne consegue che, qualificata l’impugnazione del pubblico ministero quale ricorso per saltum, Sez. U, n. 3512 del 28/10/2021 Ud. (dep. 31/01/2022) Rv. 282473 – 01 e ritenuta sussistente la nullità denunciata con il ricorso del Procuratore della Repubblica ricorrente, poiché in violazione delle norme di legge sopra richiamate il giudice del dibattimento ha precluso al Pubblico ministero il potere-dovere di esercitare e proseguire l’azione penale per il fatto-reato correttamente circostanziato e qualificato, il Tribunale è incorso in una nullità assoluta di ordine generale prevista dagli artt. 178 e 179 cod.proc.pen., che attiene alla formulazione della imputazione e all’esercizio dell’azione penale; nel caso di specie, ricorre, pertanto, il caso di cui all’art. 569 comma 4 prima parte in relazione al 604 comma 4 cod.proc.pen. e l’annullamento va disposto senza rinvio al Tribunale di Torre Annunziata, in diversa composizione, per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Torre Annunziata, diverso giudice.

Così deciso il 27/03/2024.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.