Contratto di lavoro e relazione stabile, non sono elementi sufficienti per rimanere in Italia (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 22 febbraio 2021, n. 4648).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23927-2019 proposto da:

(OMISSIS) IBRAHIM, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANLUIGI (OMISSIS) e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2844/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 4.4.2018 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da (OMISSIS) Ibrahim avverso il provvedimento del 22.2.2017, notificatogli il 22.3.2017, con cui la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano aveva respinto la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

Interponeva appello il (OMISSIS) e la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata, n. 2844/2019, respingeva il gravame.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione (OMISSIS) Ibrahim affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo e secondo motivo il ricorrente lamenta, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. (primo motivo) e dell’art. 14 del D. Lgs. n. 251 del 2007 e dell’art. 8 del D. Lgs. n. 25 del 2008 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. (secondo motivo) perché la Corte di Appello sarebbe venuta meno all’obbligo di cooperazione istruttoria, non tenendo conto della grave condizione di privazione delle libertà fondamentali e del trattamento discriminatorio riservato agli omosessuali in Guinea, Paese di origine del richiedente.

Quest’ultimo infatti sostiene di aver riferito di essere di orientamento omosessuale, di aver perso i genitori nel corso di una epidemia di Ebola e di esser fuggito dal proprio Paese per timore che gli venisse attribuita, in ragione della sua inclinazione sessuale, la responsabilità dell’epidemia predetta.

I due motivi, che per la loro connessione meritano una trattazione congiunta, sono inammissibili.

La Corte di Appello indica in modo preciso i motivi per cui, confermando il giudizio già espresso dal Tribunale, ha ritenuto non credibile il racconto del (OMISSIS) (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).

Costui, infatti, aveva prima riferito solo di aver perso i familiari nel corso dell’epidemia, poi, in sede di audizione, aveva detto di essere fuggito perché perseguitato da uno zio che rivendicava la proprietà di una casa, ed infine aveva introdotto la questione dell’omosessualità soltanto nel ricorso presentato al Tribunale.

In ragione delle diverse e contraddittorie versioni fornite, il (OMISSIS) non è stato ritenuto credibile, e la relativa valutazione non viene in alcun modo attinta dai motivi di censura in esame, che in sostanza si risolvono in una mera istanza di riesame del merito.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 del D. Lgs. n. 25 del 2008 e 19 del D. Lgs. n. 286 del 1998, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., perché il giudice di merito avrebbe erroneamente denegato anche la tutela umanitaria senza considerare la sua condizione di vulnerabilità e il suo inserimento socio-lavorativo in Italia.

In particolare, il (OMISSIS) deduce di avere un contratto di lavoro a tempo indeterminato presso la LIDL ed una stabile relazione affettiva in corso, e si duole della mancata valutazione di tali elementi di fatto, assumendone la rilevanza ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

La sentenza impugnata dà atto che il ricorrente aveva documentato soltanto attività lavorative e di volontariato, senza fornire ulteriori dettagli al riguardo.

Il ricorrente, nel dolersi della mancata considerazione, da parte del giudice di merito, del suo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non indica né quando esso si sarebbe costituito, né quando la relativa circostanza sarebbe stata dedotta nel corso del giudizio di merito.

Stesso dicasi in relazione alla stabile relazione affettiva, che il (OMISSIS) assume, nel motivo in esame, essere prossima a sfociare in una convivenza, ma in relazione alla quale non fornisce alcun ulteriore dettaglio, né ha cura di precisare in quale fase del giudizio di merito la circostanza sarebbe stata allegata e dedotta.

Ne consegue l’inammissibilità della censura, in parte perché nuova, ed in parte per carenza della necessaria specificità.

A ciò si aggiunga che, in ogni caso, la protezione umanitaria non può essere riconosciuta esclusivamente in forza di una attività lavorativa o di una relazione affettiva in corso in Italia, in quanto alla prova del radicamento deve comunque aggiungersi la dimostrazione che il rimpatrio esporrebbe il richiedente al rischio di effettiva compromissione del nucleo inalienabile dei diritti umani fondamentali (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298).

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in C 2.100 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, in data 14 ottobre 2020.

Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.