REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta da
Adelaide AMENDOLA – Primo Presidente f.f. –
(OMISSIS) (OMISSIS) – Presidente di Sezione –
(OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
(OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
(OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
(OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
Francesco FEDERICI – Consigliere Rel. –
(OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
(OMISSIS) (OMISSIS) – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. XXXXX/2023 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis)
ricorrente
CONTRO
fallimento (omissis) s.r.l.
controricorrente
avverso il Decreto n. xxxx/23 del Tribunale di Brescia;
udito in camera di consiglio, del 18 aprile 2023, il Consigliere relatore Dott. Francesco FEDERICI;
FATTO
(omissis) (omissis) propose domanda di ammissione al passivo del s.r.l. dei crediti da lui vantati a titolo di corrispettivi per prestazioni professionali svolte nella qualità di avvocato in favore della società in bonis.
Il giudice delegato rigettò in parte la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione presuntiva triennale, sollevata dal curatore in riferimento all’art. 2956, n. 2, cod. civ.
Il Tribunale di Brescia, decidendo sull’opposizione del (omissis), avanzata ai sensi dell’art. 98 della L.F., ribadì il rigetto della domanda in parte qua, condannando l’opponente alla rifusione delle spese di lite.
Contro il decreto del tribunale il professionista ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, cui ha replicato il fallimento con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 17821 dell’1 giugno 2022 la Corte ha rimesso la causa a nuovo ruolo per la discussione in pubblica udienza, attesa la rilevanza nomofilattica delle questioni sollevate, ed in particolare la deferibilità del giuramento decisorio al curatore, che abbia eccepito la prescrizione presuntiva dei crediti, e la correlata facoltà del curatore di sollevare l’eccezione di prescrizione.
All’esito dell’udienza pubblica, celebratasi l’11 novembre 2022, la Corte, anche su sollecitazione della Procura Generale, ha ritenuto di rimettere il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, ai sensi dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ.
Nello specifico, ribadendo la rilevanza nomofilattica delle questioni poste con i primi quattro motivi di ricorso, ha avvertito che, con riguardo alla ricorribilità del curatore fallimentare all’eccezione di prescrizione presuntiva, nonché, soprattutto, alla deferibilità al medesimo curatore del giuramento decisorio, quanto meno nella forma del giuramento de scientia (o de notitia), sono emersi orientamenti non univoci.
Da ultimo, nella recente ordinanza n. 20602 del 2022, in consapevole contrasto con le precedenti interpretazioni; si è ritenuto che la dichiarazione, con la quale il curatore, all’esito del deferito giuramento, affermi di non essere a conoscenza se il pagamento sia avvenuto o meno, ha gli effetti del mancato giuramento. Il collegio rimettente ha pertanto proposto le seguenti questioni:
«i) se, nell’ambito del giudizio di accertamento del passivo fallimentare, il curatore fallimentare sia legittimato a opporre la prescrizione presuntiva (nel caso di specie ex art. 2956, n. 2, c.p.c.), in quanto parte processuale, ai sensi dell’art. 95, comma 1, L. Fall., o comunque in quanto terzo interessato, ai sensi dell’art. 2939 c.c., tenuto conto della correlazione posta tra tale eccezione e la possibilità per la controparte di deferire giuramento “per accertare se si è verificata l’estinzione del debito” (art. 2960, comma 1, c.p.c.);
ii) se l’art. 2739 e. e l’art. 2737 c.c. (che per la capacità di deferire o riferire il giuramento rinvia all’art. 2731 e.e. in tema di confessione) ostino alla prestazione del giuramento decisorio da parte del curatore fallimentare, in quanto terzo privo della capacità di disporre del diritto (Cass. 1916/1972, 1314/1975, 723/1978, 9881/1997, 4474/1998, 3573/2011, 25286/2013, 15570/2015, 23427/2016, 19418/2017, 12044/2020), oppure ostino solo al suo potere di deferire e riferire il giuramento, ma non di prestarlo, anche in relazione all’inquadramento della prescrizione presuntiva come presunzione legale relativa, con limitazione dei mezzi di prova contraria (Cass. 11195/2017, 17071/2021), ovvero come ipotesi speciale di prescrizione (Cass. 2437/1969, 7527/2012, 15570/2012), superabile solo dall’ammissione in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta (art. 2959 c.c.), o dal particolare valore attribuito dalla legge al giuramento decisorio;
iii) se, in particolare, ove si escluda la deferibilità del giuramento su fatto non “proprio”, ma del fallito (cd. giuramento de veritate), al curatore fallimentare possa essere comunque deferito il giuramento sulla conoscenza che egli ne abbia – tenuto conto delle interlocuzioni tra curatore e fallito imposte dagli 16, comma 1, n. 3), e art. 49 L. Fall., la cui inosservanza è penalmente sanzionata (art. 220 L. Fall.) – e se, in tal caso, si tratti del cd. giuramento de scientia, ex art. 2739 c.c., comma 2, (Cass. 20602/2022), ovvero del cd. giuramento de notitia, ex art. 2960, comma 2, c.c., norma espressamente riferita al coniuge superstite o agli eredi del debitore e ai loro rappresentanti legali, ma in tesi applicabile analogicamente· (Cass: 13298/2018);
iv) se, una volta ammesso il giuramento de scientia o de notitia, la dichiarazione del curatore di non essere a conoscenza dell’avvenuta estinzione del debito equivalga a prestazione favorevole al giurante, lasciando in vita la presunzione di pagamento (Corte 162/1973; Cass. 3353/1968, 3621/1969, 1424/1973, 315/1978, 1033/1980, 1148/1983, 7713/1990, 5163/1993, 6940/2010; in tema di fallimento, Cass. 647/2008, 15570/2015, 13298/2018), o assuma invece gli effetti del rifiuto del giuramento, favorevole al creditore (Cass. 20622/2022) – come avviene nel giuramento de veritate – e se tale conclusione debba valere per tutti i soggetti che prestino giuramento de scientia o de notitia, ovvero solo per il curatore fallimentare».
All’esito dell’udienza pubblica, celebrata con le formalità cartolari previste dall’art. 23, comma 8, del ci.I. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni in I. 18 dicembre 2020, n. 176, la causa è stata riservata e decisa.
Il ricorrente ha depositato tempestivamente e ritualmente memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis.1, cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, rubricato «violazione di legge e in particolare degli artt. 2956 e.e. e 2959 c.c. in relazione al capo afferente l’ammissione circa la non estinzione dell’obbligazione (art. 360 n. 3 c.p.c.)», il ricorrente sostiene che il Tribunale di Brescia abbia erroneamente applicato l’art. 2956 cod. civ., trattando la prescrizione presuntiva alla stregua di quella ordinaria, ritenendo sufficiente il decorso del tempo e l’assenza di atti interruttivi e non dando adeguato valore alle conclusioni del curatore fallimentare nel progetto di stato passivo (“Non compete l’ammissione per l’attività erogata anteriormente al biennio della sentenza dichiarativa di fallimento; attività prescritta ex art. 2596 c.c. non risultando validi atti interruttivi della prescrizione. Escluse spese generali del 12,50% per euro 4.409,51 = ex art. 14 D.M. 124/04 non dovute in riferimento alle nuove disposizioni tariffarie vigenti. Credito non risultante dalla contabilità”).
Con il secondo, rubricato «violazione di legge e in particolare dell’art. 2944 c.c. in relazione al capo afferente l’ammissione circa la mancata interruzione della prescrizione (art. 360 n. 3 c.p.c.)», si sostiene che la dichiarazione del curatore, per cui il credito non risultava dalla contabilità, equivalendo all’affermazione del mancato pagamento, avrebbe dovuto intendersi quantomeno come atto idoneo a interrompere la prescrizione, poiché il riconoscimento dell’altrui diritto è atto di natura non negoziale, non eccedente l’ordinaria amministrazione, che non richiede la piena capacità di agire.
Con il terzo motivo, rubricato «violazione di legge e in particolare dell’art. 2956 c.c. in relazione agli artt. 2959 e 2960 c.c. quanto all’applicabilità dell’istituto della prescrizione presuntiva nelle ipotesi in cui il creditore non sia legittimato a deferire giuramento all’altra parte (art. 360 n. 3 c.p.c.)», si denuncia che il tribunale abbia dato rilievo al mancato deferimento del giuramento decisorio – indicato come «unico strumento processuale» che sarebbe stato idoneo a vincere l’eccezione di prescrizione presuntiva – nonostante la consolidata giurisprudenza di legittimità ne escluda la deferibilità al curatore fallimentare, in quanto soggetto estraneo al fatto estintivo dell’obbligazione e privo del potere di disporre del diritto; rileva inoltre la contraddittorietà della motivazione laddove, per un verso, si nega l’ammissione dell’interpello formale del curatore in quanto privo della conoscenza diretta del fatto estintivo e del potere di disporre del diritto, ma, per altro verso, si indica il giuramento decisorio del curatore quale strumento processuale di cui il creditore avrebbe dovuto avvalersi per superare l’eccezione di prescrizione.
Con il quarto motivo, rubricato «violazione di legge e in particolare dell’art. 2956 c.c. in relazione agli artt. 2959 e 2960 c.c. quanto alla mancata ammissione della prova per testi (art. 360 n. 3 c.p.c.)», si assume che, ove si ritenga applicabile la prescrizione presuntiva, il creditore non dovrebbe essere privato della possibilità di prova contraria, con conseguente illegittimità del diniego di ammissione dell’articolata prova per interrogatorio formale e testi.
Con il quinto motivo, rubricato «violazione di legge e in particolare dell’art. 14 D.M. 124/04 in relazione all’esclusione delle spese generali (art. 360 n. 3 c.p.c.)», è censurato il capo di decisione relativo alle «spese generali della previgente tariffa», nel senso che, trattandosi di attività difensiva svolta ante riforma, spetterebbe ex lege il rimborso f6rfeffa’l-‘fo quantomeno del 12,50%.
Sui primi quattro motivi, che per le censure proposte possono essere trattati congiuntamente, il collegio della prima sezione civile ha rimesso la decisione a queste sezioni unite, rilevando il contrasto interpretativo emerso nella giurisprudenza, unitamente al vivace dibattito dottrinale, e pertanto la rilevanza nomofilattica delle questioni sottoposte al vaglio della Corte di legittimità.
Oggetto del contrasto è l’annosa questione del se, ed in che termini, il curatore fallimentare si ponga dinanzi alla possibilità di eccepire la prescrizione presuntiva prevista per i crediti relativi ai rapporti giuridici richiamati negli artt. 2954, 2955, 2956 cod. civ. (nel caso di specie quello afferente i crediti professionali di cui all’art. 2956, n. 2, cod. civ.), istituto a cui fa da contraltare la possibilità di deferire il giuramento decisorio, che peraltro costituisce l’unico strumento a tutela del creditore, a cui la prescrizione sia opposta.
Questione complessa sul piano della ricerca di una soluzione giuridica soddisfacente, coinvolgendo istituti antichi o antichissimi, quali appunto la prescrizione presuntiva e il giuramento, nei cui confronti non è peraltro casuale che vengano mosse, soprattutto dalla dottrina, critiche severe che dubitano della loro persistente attualità.
Le questioni su cui il collegio remittente sollecita il pronunciamento delle sezioni unite -per le risposte non univoche rese dalle sezioni semplici, o all’interno di una stessa sezione, in merito all’utilizzabilità degli istituti ed alla natura dei medesimi- possono trovare soluzioni che, come l’ordinanza stessa evidenzia, spaziano dalla esclusione del curatore fallimentare dalla facoltà di eccepire la prescrizione presuntiva al riconoscimento in capo al fallito della capacità di prestare il giuramento.
Nel mezzo si pone il diritto del curatore ad eccepire la prescrizione, senza che tuttavia nei suoi confronti sia deferibile il giuramento decisorio, tout court, per essere soggetto estraneo ai fatti estintivi dell’obbligazione e privo di capacità di disporre dei diritti, al pari della confessione (ex artt. 2737 e 2731 c.c.), oppure il riconoscimento della deferibilità del solo giuramento decisorio de scientia (art. 2739, secondo comma, seconda parte, cod. civ.) o de notitia (art. 2960, secondo comma, cod. civ.), non anche di quello de veritate (art. 2739, secondo comma, prima parte, cod. civ).
Quando peraltro riconosciuta la deferibilità del giuramento de scIent1a, o de notitia, si pone soprattutto l’ulteriore problema della sua efficacia, qualora, all’esito della formula pronunciata dal giurante, questi dichiari di non conoscere i fatti. In tale ipotesi, alle conclusioni, cui perviene parte rilevante della dottrina e parte della giurisprudenza -quando se ne riconosce l’ammissibilità-, secondo cui la dichiarazione di mancata conoscenza ha gli effetti del giuramento affermativo, favorevole dunque al giurante, si contrappone l’altro orientamento dottrinale, e una recente pronuncia della Corte di legittimità (Cass., 27 giugno 2022, n. 20602), che ritiene di attribuirne gli effetti del giuramento negativo, favorevole dunque al creditore delante.
Alla prima questione -legittimazione del curatore fallimentare ad opporre la prescrizione presuntiva- deve rispondersi affermativamente. Si tratta di istituto di antica applicazione, pre-napoleonica, con riscontri sin dal XVI secolo, che nonostante l’evoluzione dei meccanismi commerciali e l’utilizzo di strumenti di tracciabilità delle operazioni economiche, sempre più pervasivi, mantiene la sua vitalità rispetto a pratiche in cui l’insorgenza e la gestione del rapporto professionale è improntata a rapidità ed informalità, tanto più nell’area dei rapporti economici.
L’esistenza di obblighi contabili nella gestione di attività economiche o professionali, quand’anche finalizzate al controllo fiscale sul reddito dell’operatore, non possono escludere, ai fini civilistici, rapporti gestiti in via informale, così che la diffusione di strumenti di tracciabilità delle operazioni risulta ininfluente sulle ragioni e sull’esigenza di sopravvivenza della prescrizione presuntiva e sul conseguente utilizzo da parte di qualunque soggetto giuridico.
D’altronde, in termini generali, il ricorso alla prescrizione presuntiva è stato già escluso per quei rapporti di credito regolati per iscritto, che presuppone una disciplina più complessa del contratto (cfr. Cass., 7 aprile 2006, n. 8200; 4 luglio 2102, n. 11145; 22 maggio 2019, n. 13707; 30 aprile 2018, n. 10379; 16 novembre 2021, n. 34639; 12 gennaio 2022, n. 789).
Per i rapporti che si sviluppano invece senza formalità, ed i cui pagamenti avvengono senza dilazione, né rilascio di quietanza, l’applicazione dell’istituto è fuori discussione. Inibirne l’utilizzo al solo curatore fallimentare rappresenterebbe dunque una privazione ingiustificata, come riconosciuto in giurisprudenza e dottrina, di uno strumento nella disponibilità invece di qualunque altro debitore, svantaggiando la massa dei creditori coinvolti nel fallimento, il cui patrimonio è affidato alla sua attività gestoria.
Le conclusioni sono tanto più opportune, laddove si consideri la più ampia autonomia operativa attribuita al curatore a partire dal d.lgs. n. 5 del 2006, e sino alla attuale disciplina regolatrice della crisi d’impresa.
Esaminando quindi le altre questioni, poiché l’eccezione di prescrizione presuntiva ha forza di presunzione legale relativa e poiché il Legislatore, per il suo superamento, ha inteso limitare i mezzi di prova contrari, ex artt. 2959 cod. civ. e 2960, primo comma, cod. civ., questo collegio esclude che al curatore, che eccepisca la prescrizione presuntiva, non possa essere deferito il giuramento decisorio tout court.
Se, per evitare che il curatore soffra una condizione di svantaggio rispetto a ciascun altro debitore, gli si riconosce il diritto di eccepire la prescrizione presuntiva, non può privarsi il creditore dell’unico strumento, con cui, ove assenti ammissioni di mancato adempimento dell’obbligazione, ha ancora possibilità di contrapporsi al debitore, tutelando il suo credito.
Dove c’è la prescrizione presuntiva deve esserci il diritto a deferire il giuramento, nel rispetto dei principi della difesa, ex art. 24 Cost.
Né può ipotizzarsi che il giuramento possa essere deferito al fallito, certamente privo della capacità di prestarlo (sulla questione cfr. Cass., 24 luglio 2015, n. 15570; 14 febbraio 2011, n. 3573; 16 agosto 2006, n. 18175).
In realtà le pronunce che escludono la deferibilità del giuramento al curatore (ad es., Cass., 3573 del 2011, cit.; 24 luglio 2015, n. 15570; 18 ottobre 2016, n. 23427; 3 agosto 2017, n. 19418; 22 giugno 2020, n. 12044), invocando la sua terzietà e denunciando che sia privo di capacità di disporre del diritto, quando non si limitano a rinviare a precedenti, richiamano il giuramento decisorio cd. de veritate, atto a provocare una confessione piena, non anche quello de scientia. Peraltro, proprio una delle pronunce che affermano tale principio (la 15570/2015 cit.), pur negando il deferimento del giuramento decisorio (ed in tal senso è massimata), in realtà sviluppa argomentazioni, esposte come obiter per non essere applicabili al caso nel concreto esaminato, che esplorano la deferibilità del giuramento cd. de notitia (ex art. 2960, secondo comma, cod. civ.) o nella forma cd. de scientia (ex art. 2739, secondo comma, cod. civ.).
La dottrina è in gran parte favorevole alla deferibilità del giuramento. Pur generalmente escludendo quello de veritate -ma con l’eccezione di alcuni autori, secondo i quali andrebbe riconosciuta la deferibilità anche di quest’ultimo-, la dottrina richiama pacificamente quello de scientia o de notitia, riconoscendo che i limiti che potrebbero emergere dalla combinata lettura degli artt. 2737 e 2731 cod. civ., sulla capacità di disporre del diritto, in realtà si pongono per il deferimento e riferimento del giuramento, non invece per l’ipotesi in cui sia il curatore ad essere chiamato a prestarlo.
Non può d’altronde ignorarsi che al curatore sia pacificamente riconosciuta la qualità di parte processuale, che può eccepire fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere dal creditore nel giudizio di accertamento dello stato passivo.
A fronte di uno strumento atto a paralizzare la pretesa del creditore, rappresenterebbe un vero e proprio corto circuito del processo non riconoscere alcuno strumento processuale in capo al creditore a tutela dell’asserito diritto.
Quanto poi alla individuazione della norma da porre a fondamento della deferibilità del giuramento al curatore, taluni interpreti ritengono che l’art. 2960, secondo comma, cod. civ., non richiami un elenco tassativo di soggetti, ma sia analogicamente estensibile, così che risulterebbe pertinente il ricorso a tale norma.
Altri valorizzano invece l’art. 2939 cod. civ. -così inquadrando il curatore tra coloro interessati ad eccepire la prescrizione, per impossibilità del debitore, ormai fallito-, in combinazione con l’art. 2739, secondo comma, seconda parte, cod. civ., con cui il Legislatore ha disposto che il giuramento può essere deferito sulla “conoscenza” che il delato abbia “di un fatto altrui”. In questa ipotesi ricostruttiva, una volta riconosciuto in capo al curatore il potere di avvalersi della prescrizione presuntiva, ad esso il creditore potrebbe deferire quanto meno il giuramento de scientia.
Qualunque sia il parametro normativo ritenuto più idoneo, la copertura giuridica della deferibilità del giuramento, nella forma de notitia o de scientia, è comunque assicurata.
E tuttavia questo collegio reputa più lineare il richiamo agli artt. 2939 e 2739 cod. civ., tenendo conto della limitata perimetrazione dei soggetti richiamati dall’art. 2960 cod. civ. e soprattutto in ragione di una non scontata sovrapponibilità delle due fattispecie normative, con riferimento agli effetti di una dichiarazione di non conoscenza dell’avvenuto pagamento del debito, come sarà meglio chiarito nel prosieguo.
Le questioni cui si è fatto sinora cenno sono state già sostanzialmente dibattute dalla giurisprudenza come dalla dottrina. Il riconoscimento del potere del curatore di avvalersi della prescrizione presuntiva, la deferibilità al medesimo del giuramento decisorio, quanto meno nella forma del giuramento de scientia (o de notitia), con il superamento delle perplessità pur nel passato emerse, costituirebbero una messa a punto degli istituti ancora poco utile, soprattutto sul piano pratico.
Invece, la questione più delicata, che questo collegio è chiamato ad esaminare, posto che al curatore, terzo rispetto all’imprenditore fallito, non può deferirsi il giuramento de veritate, è indicare quali effetti siano riconducibili alla pronuncia della formula di giuramento, qualora il delato dichiari di non conoscere i fatti.
Se la risposta resta quella timidamente elaborata sinora, cioè che la dichiarazione di non conoscenza equivale a dichiarazione favorevole al giurante, le perplessità evidenziate dalla parte più attenta della dottrina e, in giurisprudenza, dalla recente pronuncia n. 20602/2022, resteranno inappagate.
È certo infatti che, qualora non si ritenga di riconoscere un’interpretazione diversa, il curatore potrà agevolmente eccepire la prescrizione presuntiva e poi, in sede di giuramento, trincerarsi dietro la non conoscenza dei fatti, così rendendo del tutto inutile l’unico strumento accordato al creditore per contrastare l’eccezione.
Si tratterebbe nel concreto di svuotare un rapporto d’equilibrio, già precario, tra diritti del curatore e diritti delcredito, la cui difesa è fortemente limitata in sede processuale, come ormai da tempo ampiamente evidenzia la dottrina.
La valenza restrittiva delle conseguenze della dichiarazione di non conoscenza dei fatti, con vittoria della curatela fallimentare, è certamente riconducibile ad una prospettazione della natura degli istituti della prescrizione presuntiva e del giuramento, rivolta a riconoscerne carattere e natura sostanziale. Ciò induce a restringere i limiti di utilizzo, quando ne è coinvolto il curatore, che non dispone dei diritti.
Sennonché, quanto alla natura della prescrizione presuntiva, può anche concordarsi con l’opinione secondo cui essa, al pari della prescrizione estintiva, non è un mezzo di prova, ma incide direttamente sul diritto sostanziale, limitandone la protezione giuridica (secondo la classica ricostruzione resa da Cass., 15 maggio 2012, n. 7527).
Tuttavia va tenuto conto che, ancorché di natura sostanziale, la prescrizione presuntiva è istituto regolante una fattispecie ben distinta dalla prescrizione estintiva (cfr. già Cass., 31 ottobre 2011, n. 22649, che ne rileva la diversità ontologica; inoltre cfr. Cass. 26 agosto 2013, n. 19545; 18 gennaio 2017, n. 1203; 5 luglio 2017, n. 16486; 18 novembre 2019, n. 29822).
Questa è conformata da due elementi obiettivi, l’inutile decorso del tempo e l’inerzia del titolare del diritto (di credito, per stare al caso di specie). Si tratta di elementi che esistono o non esistono, ontologicamente, e che, una volta consacrati nel processo, segnano l’estinzione del diritto.
La prescrizione presuntiva si fonda sull’esatto contrario, cioè sulla “presunzione” che il creditore si sia attivato celermente ed abbia già soddisfatto il proprio diritto di credito. Non c’è nulla di obiettivo, ma addirittura una presunzione, costruita per “facilitare” il debitore nella prova dell’estinzione dell’obbligazione, consacrata dall’istituto elaborato nella realtà socio-economica del commercio o di determinati rapporti giuridici.
L’istituto allora inciderà senz’altro sul diritto sostanziale, ma la valenza probatoria dei suoi presupposti, l’essere cioè solo fondato sulla presunzione che il debitore abbia già adempiuto l’obbligazione, ne colora fortemente la struttura (si parla anche di prescrizione che ha effetti processuali ma natura sostanziale).
E quanto ciò sia ben diverso dalla prescrizione ordinaria (e quanto a volte lontano dalla realtà, proprio se si tiene conto dei rapporti tra professionista e cliente in difficoltà economica, che poi diventa insolvente e fallisce), è un dato non trascurabile, almeno ai fini di una più corretta perimetrazione delle conseguenze riconducibili alla concreta risposta resa dal giurante.
È per questo diverso ruolo e diversa “struttura” che si afferma, a proposito delle prescrizioni presuntive di cui agli artt. 2954 e segg. cod. civ., che, a differenza della prescrizione ordinaria, esse sono fenomeni di natura probatoria, sostanziandosi in presunzioni di “avvenuto pagamento” (Cass., 14 giugno 2019, n. 16123; 22 giugno 2020, n. 12044; cfr. anche 16 giugno 2021, n. 17071).
Parimenti va chiarito che sulla natura del giuramento, riportato, secondo teorie emerse nell’evoluzione interpretativa dell’istituto, nell’alveo della natura negoziale, negandone quella processuale, possono formularsi dubbi.
Anche a voler trascurare la diversa ricostruzione dell’istituto, emergente in parte della più autorevole dottrina, non può ignorarsi che gli esiti del giuramento siano decisivi per la definizione del processo, ma da questo ad affermare che il giuramento sia privo di valenza probatoria e che l’esito del giudizio sia nella disponibilità negoziale delle parti in causa e non invece riconducibile, anche per la valenza di prova legale del giuramento, alla sentenza pronunciata dal giudice, si rischia di provare troppo.
Se non altro si rischia di ignorare, come sottolinea attenta dottrina, che gli effetti del giuramento non hanno per fondamento un “accordo” tra le parti, ma l’efficacia probatoria predeterminata dalla legge.
Ciò spiega i limiti soggettivi dell’accesso al giuramento, e giustifica il riconoscimento della delazione del giuramento al curatore fallimentare nei limiti del giuramento de scientia, ma non svilisce la rilevanza processuale e l’incidenza probatoria dell’istituto, che pertanto non può esulare dalle regole di equilibrio e parità processuale delle parti.
Prescindendo comunque dagli aspetti più complessi della natura giuridica degli istituti della prescrizione presuntiva e del giuramento, risulta allora utile soffermarsi sulla valenza probatoria dei medesimi ed a tal fine è opportuno valorizzare il rapporto “eccezione di prescrizione presuntiva/deferimento del giuramento/effetti della dichiarazione del giurante”, che si prospetta come peculiare quando l’attenzione sia rivolta alla fattispecie del giuramento pronunciato dal curatore fallimentare.
Rispetto alla presunzione di “adempimento” il deferito è “provocato” con l’unica arma che il legislatore riconosce al creditore, il deferimento del giuramento, appunto.
D’altronde ci si aspetta che il curatore/terzo, nel momento in cui eccepisce la prescrizione presuntiva, che “presuppone” il verificarsi del fatto estintivo dell’obbligazione, deve pur essere stato in grado, rispetto all’eccezione stessa, di affermare che quel fatto, il pagamento, si è verificato.
E poiché non ne ha conoscenza diretta, deve pur aver preventivamente acquisito elementi da cui trarre la conoscenza. Non la percezione diretta; ma la “conoscenza sull’adempimento di quella obbligazione”.
In tale attività non vi è disposizione del diritto da parte del curatore, ma solo l’ordinario dovere di controllo, tra gli elementi disponibili al “gestore” della massa fallimentare, di quali riscontri abbia potuto acquisire, a fondamento di quella conoscenza di fatti, che hanno permesso di sollevare la prescrizione presuntiva.
Si tratta di un’attività addirittura doverosa, collocabile nelle dovute interlocuzioni con il fallito e più in generale nell’esame della documentazione dell’impresa, nella disponibilità del curatore fallimentare ai fini della attività gestoria.
Ebbene, se il curatore è soggetto terzo, tenuto però ad acquisire informazioni sui pregressi rapporti commerciali ed economici in senso lato, non può pretendere di eccepire la prescrizione presuntiva, così come se si tratti di una prescrizione estintiva (fondata su elementi obiettivi), se non dopo aver acquisito elementi per affermare che quell’obbligazione si sia estinta. Egli è d’altronde consapevole che il creditore può deferirgli il giuramento, quanto meno nella forma de scientia, ed alla formula del giuramento, cui è obbligato a rispondere, deve “prepararsi”.
Nell’esplicazione del proprio ufficio si tratta di un soggetto ancora più coinvolto, atecnicamente potrebbe affermarsi che è ancora più “prossimo”, negli affari del debitore, rispetto al coniuge o agli eredi richiamati dall’art. 2960, secondo comma, cod. civ.
Nei confronti di questi ultimi opportunamente il Legislatore ha infatti previsto il deferimento del giuramento in ordine a “notizie” sull’estinzione del debito, e che pertanto ben possono ignorare qualunque fatto, senza che tale ignoranza si rivolti a proprio danno.
Diverso invece è il ruolo del curatore fallimentare, come di un qualunque terzo interessato, la cui posizione è infatti più idoneamente riconducibile nella fattispecie evincibile dal combinato disposto degli artt. 2739, secondo comma e 2939, cod. civ.
E allora la dichiarazione di non conoscere il fatto estintivo dell’obbligazione non può ritenersi equivalente al giuramento affermativo, favorevole al giurante. Al contrario essa deve equivalere agli esiti di un giuramento negativo o al rifiuto di giurare, favorevole al deferente-creditore.
Diversamente opinando, e cioè ponendo sul medesimo piano una esplicita dichiarazione di adempimento ed una manifestazione di ignoranza del medesimo, di cui con il ricorso alla prescrizione presuntiva si eccepisce il suo effettivo avveramento, vi sarebbe un “salto logico”, e con esso non solo un mancato rispetto dell’art. 24 Cost., ma anche degli artt. 111 Cost. e 6 CEDU, come già evidenziato da questa Corte nella sent. n. 20602/2022.
L’accoglimento di questo recente e più consapevole orientamento, certo minoritario nella giurisprudenza di legittimità, garantisce un rapporto più equilibrato tra le parti, in una chiave interpretativa che restituisce modernità ad istituti per molti aspetti ampiamente criticati.
Va dunque affermato il principio di diritto, secondo cui «in tema di accertamento del passivo fallimentare, qualora, in sede di controversia insorta per il rigetto della ammissione di un credito, maturato in forza di un rapporto riconducibile alla previsione dell’articolo 2956, primo comma, n. 2, cod. civ., sia eccepita dal curatore la prescrizione presuntiva del credito e il creditore deferisca giuramento decisorio, la dichiarazione del curatore di non sapere se il pagamento sia avvenuto o meno produce gli effetti del mancato giuramento».
Venendo ora all’esame del ricorso del (omissis), esso è infondato.
Risulta pacifico che il (omissis), a fronte della eccezione di prescrizione presuntiva del suo credito professionale, sollevata dal curatore del fallimento (omissis) srl, non ha deferito il giuramento decisorio in alcuna forma.
Va da se, allora, che il terzo motivo del ricorso è da rigettare, per quanto già esposto nelle pagine che precedono.
Le critiche elevate sulla ammissibilità dell’eccezione di prescrizione da parte del curatore fallimentare, con conseguente squilibrio tra debitore (società fallita) e creditore, impossibilitato a deferire il giuramento, sono superate dalle conclusioni cui questo collegio è pervenuto sulle questioni rimesse alle sezioni unite dal collegio della prima sezione civile e dal dato obiettivo che il ha omesso di deferire il giuramento al curatore.
Altrettanto infondato è poi il quarto motivo, con cui il ricorrente, a fronte della eccezione di prescrizione presuntiva opposta al suo credito, ha denunciato il mancato riconoscimento del diritto alla prova contraria.
Riconosciuto il diritto a deferire il giuramento, quale unica prova che il Legislatore accorda al creditore, è priva di pregio l’invocazione della prova per interpello o per testimoni.
È infondato anche il primo motivo, con il quale il (omissis) ha censurato il provvedimento impugnato per l’erronea applicazione della prescrizione regolata dall’art. 2956 cod. civ., e nello specifico della prescrizione del credito del professionista (n. 2), trattato, secondo la prospettazione difensiva, come una prescrizione ordinaria, nonché per non aver tenuto conto che dalle dichiarazioni del curatore del fallimento si evinceva l’implicita ammissione del mancato pagamento del professionista.
Mentre la denunciata confusione nel governo delle due forme di prescrizione è del tutto irrilevante e incomprensibile, non emergendo affatto nel provvedimento impugnato l’applicazione dei principi della prescrizione ordinaria alla prescrizione presuntiva, in ordine alla seconda critica, sebbene sia corretto affermare che il debitore che neghi l’esistenza del credito, ovvero l’esecuzione delle prestazioni sulle quali si basa la relativa pretesa, non può avvalersi dell’eccezione di prescrizione presuntiva (cfr. Cass., 28 giugno 2019, n. 17595; 5 giugno 2023, n. 15665), ciò implicando una quanto meno implicita ammissione del mancato adempimento, ai sensi dell’art. 2959 cod. civ., nel caso di specie il tribunale ha anche preso in considerazione le difese articolate in merito dal (omissis), escludendo che il curatore avesse ammesso il mancato pagamento o contestato il rapporto professionale, peraltro emergente “da atti e procedimenti giudiziari”.
Si tratta con evidenza di un accertamento in fatto, rispetto al quale le argomentazioni del ricorrente sottendono il tentativo di un riesame nel merito della questione, inammissibile in sede di legittimità, ove assenti errori logici o materiali commessi dal giudice del provvedimento impugnato, errori che non trovano riscontro nel caso di specie.
Il rigetto del primo motivo assorbe il secondo, con il quale si assume che la dichiarazione di mancato pagamento doveva essere considerata dal Tribunale almeno atto idoneo ad interrompere la prescrizione.
Mancando il riconoscimento processuale di una quanto meno implicita dichiarazione di mancato pagamento, le conseguenze rappresentate con il secondo motivo sono prive di pregio.
Inammissibile infine è il quinto motivo, con il quale il ricorrente si duole del mancato riconoscimento quanto meno del rimborso forfettario delle spese nella misura ex lege del 12,50%. Dal testo del decreto impugnato emerge che la domanda non era compresa nel ricorso, né oggetto della “domanda subordinata riferita all’importo comunque riconosciuto nello stato passivo impugnato”.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Stante la complessità delle questioni trattate, si ritiene corretta la compensazione integrale delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, il 18 aprile 2023
Il Consigliere est.
Dott. Francesco FEDERICI
Il Presidente
Dott.ssa Adelaide AMENDOLA
Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2023.