Danno da attività discriminatorie. Integra gli estremi della molestia discriminatoria il post infamante su Fb … (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 26 maggio 2023, n. 14836).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Giacomo TRAVAGLINO – Presidente –

Dott. Lina RUBINO – Consigliere Rel. –

Dott. Enzo VINCENTI – Consigliere –

Dott. Paolo PORRECA – Consigliere –

Dott. Carmelo Carlo ROSSELLO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5405/2021 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) in persona del (OMISSIS);

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) (OMISSIS) domiciliata ex lege in (OMISSIS);

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 1236/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 24/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/01/2023 dal cons. dott.ssa Lina RUBINO;

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ex 702 bis c.p.c. la (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) (OMISSIS) sostenendo che la stessa avesse posto in essere un comportamento discriminatorio nei confronti dell’etnia (OMISSIS) rilevante ai sensi della direttiva 2000/43/CE, del d.lgs. n. 215 del 2003 e dell’art. 44 del d.lgs. n. 286 del 1998, per aver pubblicato sul suo profilo (OMISSIS) a distanza di quattro mesi l’uno dall’altro, due post dal contenuto discriminatorio e ingiurioso, e ne chiedeva la condanna al risarcimento del danno non  patrimoniale subito (OMISSIS) quale ente esponenziale dei diritti collettivi in materia di contrasto alla discriminazione, chiedendo altresì che fosse data adeguata pubblicità dell’emanando provvedimento, anche mediante la pubblicazione del provvedimento stesso o di un suo estratto su di un quotidiano a tiratura nazionale, e che fosse assunto ogni ulteriore provvedimento, ivi compreso un piano di rimozione volto ad evitare il ripetersi della discriminazione.

Evidenziava ancora che la convenuta, pochi mesi dopo la pubblicazione dei post, aveva intrapreso la carriera politica nel partito della (OMISSIS) ed era stata nominata  assessore del Comune di (OMISSIS) con delega alle politiche giovanili, pari opportunità, politiche sociali, sistemi educativi e diritto allo (OMISSIS).

2. La domanda veniva rigettata sia in primo che in secondo grado.

3. Il tribunale evidenziava come dalla lettura dei due post, che riteneva tra loro collegati, il primo dei quali immediatamente successivo ad un furto subito dal fidanzato della convenuta, il secondo pubblicato in occasione della giornata mondiale dei (OMISSIS) emergesse un attacco e non mirato nei confronti dell’etnia (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS).

4. Il giudice d’appello rigettava l’articolato appello (OMISSIS), confermando la decisione di prime cure sebbene attraverso un percorso motivazionale in parte diverso.

La Corte d’Appello di Torino dapprima escludeva, diversamente dal giudice di primo grado, l’esistenza di un collegamento tra i due post, perché pubblicati in periodi distinti e in contesti diversi, il primo in conseguenza del sentimento di ira e sdegno suscitato nella (OMISSIS) dal furto aggravato subito dal fidanzato, il secondo con il quale la donna esternava le sue personali convinzioni in occasione della giornata internazionale dei (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS).

Rigettava però ugualmente l’appello, ritenendo non provato l’elemento oggettivo dell’illecito, ovvero escludeva che i suddetti post potessero assurgere a comportamenti integranti una molestia nei confronti dell’etnia (OMISSIS) ai sensi e per gli effetti della normativa antidiscriminatoria.

Quanto al primo post (del seguente testuale tenore: “(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS))  riteneva che si traducesse, benché con linguaggio inappropriato, inopportuno e violento, in una feroce invettiva contro tutti gli individui presenti nel nostro paese, vuoi zingari vuoi connazionali, comunque “non (OMISSIS) dediti ad azioni criminali, e dunque non collocabili, secondo l’autrice del post, tra i soggetti più bisognosi ma, in quanto dediti ad azioni delittuose, meritevoli di incappare in una serie di disgrazie e punizioni assai cruente.

Osservava che l’appello non contrastava efficacemente la ratio portante della decisione impugnata, secondo cui quel post non fosse diretto contro l’etnia (OMISSIS) sé bensì nei confronti di coloro che delinquono per vivere, alla luce dell’esclusione specifica dal post della categoria dei (OMISSIS) non diversamente spiegata da parte appellante.

Rigettava l’impugnazione anche in relazione al secondo post, pubblicato in concomitanza con la giornata internazionale dei (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (post del seguente testuale tenore: (OMISSIS)) che, per quanto anch’esso ispirato a trivialità di linguaggio e ad un eccesso espressivo, rappresentava, a giudizio della Corte, semplicemente l’estrinsecazione della libertà di espressione, condivisibile o meno, ma pur sempre manifestazione del diritto tutelato dall’articolo 21 della Costituzione e corrispondente alla linea politica di taluni gruppi politici e partiti.

Il giudice d’appello riteneva che, con questo secondo post, fosse stigmatizzato uno stile di vita consistente nello stazionare abusivamente e a tempo indeterminato in accampamenti non autorizzati, ma non venisse attaccata l’intera popolazione nomade in quanto tale. Al contrario, si stigmatizzerebbe l’anomalia data dalla perdita del carattere di nomadismo, che storicamente aveva caratterizzato le etnie menzionate, non considerato negativamente in sé e per sé. Sulla base di tale interpretazione ricostruttiva, la corte d’appello escludeva che il secondo post integrasse una molestia posta in essere per motivi di razza o di origine etnica.

5. L'(OMISSIS) ricorrente sviluppa sette motivi di ricorso, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino del 14.12.2020 n. 1236, notificata a mezzo pec il 16.12.2020, illustrati da memoria.

Il ricorso è stato notificato tempestivamente il 15.2.2021. E’ in atti la copia notificata della sentenza.

(OMISSIS) (OMISSIS) regolarmente intimata, resiste con controricorso.

Il Procuratore generale non ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (OMISSIS) ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2, terzo comma, del decreto legislativo n. 215 del 2003 e dell’articolo 2, terzo comma, della direttiva 2000/43/CE, nonché dell’articolo 12, primo comma, delle disposizioni preliminari al codice civile e dell’articolo 117, primo comma, Cost.

Dà atto che la sentenza impugnata, in riferimento al primo post, descrive le esternazioni della signora  (OMISSIS) (OMISSIS) come connotate da (OMISSIS) (OMISSIS).

Contesta l’interpretazione successivamente data dal giudice d’appello sia alla norma sia alle esternazioni della (OMISSIS) laddove ha ritenuto che quelle espressioni – pacificamente lesive della dignità dei destinatari – non ascendessero al livello di molestie, perché il primo post avrebbe una connotazione personale e privatistica, e perché le espressioni usate non erano indirizzate contro l’etnia (OMISSIS) (che anzi sarebbe stata espressamente esclusa) bensì nei confronti di tutti coloro che delinquono per vivere, siano essi zingari o connazionali.

2. Con il secondo motivo, riferito al primo post e al punto 5 della sentenza impugnata, (OMISSIS) denuncia la violazione dell’articolo 132, secondo comma, numero 4, c.p.c. e la nullità della sentenza per assoluta assenza di motivazione o per motivazione meramente apparente, denunciando la totale mancanza di motivazione atta a spiegare perché l’espressione (OMISSIS) (OMISSIS) appartenenti all’etnia non costituirebbe offesa alla dignità degli (OMISSIS) zingari e quindi non integrasse la molestia prevista dalla legge come fonte dell’obbligo risarcitorio.

3. Con il terzo motivo, riferito anch’esso al primo post e al punto 5 della motivazione del provvedimento impugnato, (OMISSIS) denuncia la violazione di legge, in riferimento sempre all’art. 2, comma 3, del d.lgs. 215 del 2003 e all’art. 2, coma 3, della direttiva 2000/43/CE ma sotto un diverso profilo: per aver dato delle suddette norme una interpretazione errata, avendo la corte d’appello ritenuto le espressioni – pur oggettivamente offensive – di rilievo prettamente personale e privatistico e pertanto collocate al di fuori della nozione di molestie presa in considerazione dalle norme citate, senza considerare che la fattispecie ha solo due elementi costitutivi:

a) la violazione della dignità e b) la idoneità alla creazione di un clima intimidatorio ostile, degradante, umiliante ed offensivo.

La motivazione personale della esternazione resta irrilevante, qualora l’espressione sia idonea al contempo a ledere la dignità degli appartenenti all’etnia, e a creare nei loro confronti un clima ostile.

4. Il quarto motivo, anch’esso riferito al primo post e al punto 5 della sentenza, denuncia la violazione degli articoli 2, terzo comma, del decreto legislativo 215 del 2003 e dell’articolo 2, terzo comma, della direttiva 2043/00/CE, nonché dell’art. 1 CDFUE, dell’art. 28, comma 4, d.lgs. n.150 del 2011 e dell’art. 8 della citata direttiva, là dove la Corte ha ritenuto che il divieto si applichi alle sole offese recate al gruppo etnico in quanto tale o per le sue qualità generali e non ai casi in cui il gruppo etnico viene ricollegato a un comportamento delittuoso e laddove ha ritenuto costituisca requisito della molestia che essa abbia un significato offensivo inevitabile anziché un significato offensivo meramente probabile secondo la percezione pubblica.

Denuncia quindi la violazione degli articoli citati laddove la sentenza impugnata ha ritenuto che non rientrino nella nozione di molestie l’offesa alla dignità recata ad un gruppo etnico (nella specie gli “zingari”) per il fatto che detta offesa è accompagnata dal riferimento a comportamenti delittuosi che in ipotesi gli appartenenti a detto gruppo etnico potrebbero aver commesso, omettendo di considerare che l’indicazione del gruppo etnico a fianco del comportamento delittuoso è comunque idonea a violare la dignità degli appartenenti a detto gruppo e a trasmettere la percezione che gli stessi “sono considerati, nel complesso, come potenziali autori di tali comportamenti illegali”.

Sottolinea che la sentenza sia incorsa in violazione di legge anche perché ha ritenuto che costituisca molestia soltanto un messaggio da cui emerge in modo inevitabile il disprezzo per il gruppo etnico, senza considerare che al fine di configurare la discriminazione è sufficiente che il messaggio determini con elevata probabilità nella percezione del suo pubblico un giudizio negativo sugli appartenenti al gruppo etnico.

5. Con il quinto motivo, in riferimento ad entrambi i post, denuncia che l’interpretazione delle norme, interne e comunitarie, fatta propria dalla Corte d’Appello di Torino, integra anche una specifica violazione dell’articolo 14 Cedu come interpretato dalla stessa Corte Edu, che riconosce il diritto ad una particolare protezione proprio agli appartenenti all’etnia (OMISSIS) in quanto gruppo di speciale vulnerabilità.

6. Con il sesto motivo, che si riferisce al secondo post e al punto 6 della sentenza, (OMISSIS) ricorrente denuncia in particolare la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21 della Costituzione, oltre che dell’art. 1 CDFUE e dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 215 del 2003 là dove la sentenza configura il diritto di esternazione del proprio pensiero come un diritto assoluto, senza confini, senza operare alcun bilanciamento con i diritti che il contenuto delle esternazioni può ledere, ed in particolare con il divieto di discriminazione e con il rispetto della dignità sociale imposto dall’articolo 3 della Costituzione e della dignità umana ex articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali.

7. Infine, con il settimo motivo, denuncia la violazione dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 215 del 2003 e dell’art. 2 della direttiva in riferimento al secondo post e al punto 6 della sentenza, per ragioni analoghe a quelle illustrate all’interno del quarto motivo.

Segnala però che dal tenore del secondo post emerge con maggiore evidenza l’identificazione tra il comportamento abusivo e oggetto di riprovazione (lo stanziamento a tempo indeterminato e parassitario in campi abusivi, comportamento contrastante con le caratteristiche nomadi  dell’etnia) e l’appartenenza etnica.

Quindi, segnala (OMISSIS) ricorrente che nella valutazione di irrilevanza del comportamento posto in essere dalla (OMISSIS) con il secondo post manca ogni considerazione, da parte della corte d’appello, di riprovevolezza del comportamento, e manca ogni scissione, anche sfumata, tra comportamento ed etnia: il comportamento deprecato dalla (OMISSIS) (lo stazionamento nei campi abusivi),  attribuito a tutta l’etnia e stigmatizzato con espressioni offensive proprio perché posto in essere da quel gruppo etnico è stato ritenuto – erroneamente – irrilevante dalla corte d’appello.

8. Il ricorso è fondato e va accolto, nei termini di cui in motivazione.

Esso ha ad oggetto la proposizione, da parte di una (OMISSIS) di categoria iscritta nell’apposito elenco e a ciò legittimata dall’art. 4 del d.lgs. n. 215 del 2003, di una azione per il risarcimento del danno non patrimoniale subito collettivamente da una etnia a causa di un comportamento discriminatorio rientrante nella previsione di cui all’art. 3 del predetto decreto, e per ottenere le altre tutele indicate dalla legge, volte ad evitare il perpetuarsi della condotta discriminatoria.

Il citato decreto legislativo è stato adottato per dare concreta realizzazione in Italia alla direttiva 2000/43/CE, “che attua il principio di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica,, che, a sua volta, costituisce uno degli strumenti attraverso i quali il legislatore comunitario si è preoccupato di dare piena attuazione alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, combattendo ogni forma di razzismo e di discriminazione in Europa.

8.1. In particolare, (OMISSIS) di categoria (OMISSIS) ha agito nei confronti della (OMISSIS) assumendo che questa, con due post pubblicati sul suo sito (OMISSIS) avesse posto in essere comportamenti atti ad integrare molestie nei confronti dell’etnia (OMISSIS).

In via generale si osserva che la nozione di discriminazione si ricava dalle disposizioni contenute negli art. 43 del D.Lgs. 286/1998 e 2 del D.Lgs. 215/2003.

La prima disposizione introduce, in attuazione dei precetti costituzionali, una sorta di clausola generale di non discriminazione e definisce discriminatorio qualunque comportamento che – direttamente od indirettamente – abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di (OMISSIS) il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.

L’art. 2 del D.Lgs. 215/2003 definisce, poi, la nozione di discriminazione, stabilendo che “ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica” (facendo salva, al secondo comma, la più ampia nozione di discriminazione per nazionalità, prevista dal citato D.Lgs. 286/1998).

La definizione di discriminazione (artt. 43 del D.Lgs. 286/1998 e art. 2 del D.Lgs. 215/2003) – nella parte in cui si definisce discriminatorio quel comportamento che, direttamente o indirettamente, abbia l’effetto (solo l’effetto e quindi non anche lo scopo) di vulnerare (distruggendolo o (OMISSIS) il godimento, in condizioni di  parità, dei diritti umani – porta a ritenere che l’imputazione della responsabilità non possa essere ancorata solo al tradizionale criterio della colpa (in questo senso la giurisprudenza comunitaria e, in particolare, la sentenza della Corte di Giustizia, 8.11.1990, Dekker c. Stichting Vormings centrum voor Jong Volwas-senen Plus, causa C- 177/88).

Secondo la disposizione legislativa, infatti, costituisce condotta discriminatoria anche quella che, pur senza essere animata da uno “scopo,, di discriminazione, produca comunque un “effetto” di ingiustificata pretermissione per motivi razziali, etnici ecc.

Le molestie, ai sensi dell’art. 2, terzo comma, del d.lgs. n. 215 del 2003 (che riprende testualmente la dizione dell’art. 2 della direttiva), sono assimilate agli atti di discriminazione, diretta o indiretta, e consistono in “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo”.

Le norme indicate sanzionano quindi quei comportamenti, non necessariamente volti deliberatamente ad offendere, che constino di due elementi:

a) l’idoneità anche solo potenziale (“lo scopo o l’effetto”) a ledere la dignità delle persone in relazione alla origine etnica o di razza (e la direttiva si preoccupa di puntualizzare che l’uso del termine “razza,, non implica l’accettazione delle teorie che tentano di dimostrare l’esistenza di razze umane distinte ma ad evitare le discriminazioni fondate su tali supposte distinzioni);

b) la potenziale capacità espansiva di tale comportamento, lesivo della dignità delle persone, ovvero l’idoneità di esso a diffondere l’effetto discriminatorio, a creare o incrementare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo.

La Corte di giustizia ha precisato, in proposito, che la nozione di origine etnica deriva dall’idea che i gruppi sociali siano caratterizzati «da una comunanza di nazionalità, fede religiosa, lingua, origine culturale e tradizionale e ambiente di vita» (CGUE 16 luglio 2015, C-83/14, Chez, 46).

Il carattere meramente esemplificativo di tali criteri comporta che il Paese di nascita di una persona rappresenta «uno dei fattori specifici che consentono di concludere che una persona appartiene ad un gruppo etnico» ma non è, «sotto tale profilo, in alcun modo determinante» (CGUE 6 aprile 2017, C668/15, Jyske Finans, § 18).

Lo stesso Giudice sovranazionale ha altresì ricordato che la Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale include, fra queste ultime, anche la discriminazione fondata sull’origine etnica (CGUE 16 luglio 2015, C-83/14, Chez, cit., § 73; in senso analogo v. CEDU 22 dicembre 2009, Sejdié e Finci c. Bosnia Erzegovina, nn. 27996/06 e 34836/06, § 43).

8.2. La decisione impugnata non rispetta, sotto i diversi profili che si andranno ad illustrare seguendo l’ordine e il contenuto dei motivi, le norme che si denunciano violate e si caratterizza per un complessivo fraintendimento e una totale sottovalutazione dei valori da esse tutelati e dell’accertamento da compiere per verificare se tale violazione sia effettivamente avvenuta, oltre che per una motivazione totalmente illogica e contrastante con il significato comune delle parole, in riferimento alle espressioni linguistiche utilizzate dalla all’interno dei suoi  post, in particolare del primo di essi.

9. In relazione al primo post, e in accoglimento del primo e del secondo motivo, la Corte di merito incorre sia in una radicale illogicità della motivazione, sia in una erronea interpretazione ed errata applicazione di legge, in riferimento alla nozione di “molestie,, per ragioni etniche contenuta nella disciplina nazionale e euronunitaria e, in forza di detta erronea interpretazione ed applicazione, conclude che l’utilizzo di un “linguaggio aggressivo e violento ed evocante scenari truculenti” esuli da tale nozione, anche se riferito al gruppo sociale degli “zingari” e non – con precisazione tanto strumentale quanto ininfluente, da parte della (OMISSIS) per le ragioni che seguono – a quello dei (OMISSIS).

Sotto il profilo del vizio di motivazione, la sentenza non si fa carico di spiegare in modo intellegibile perché la prolungata invettiva, oggettivamente offensiva, non sarebbe rivolta contro i (omissis) per i quali la dichiarante ritiene più appropriato il sostantivo, che nell’uso comune non soltanto identifica univocamente gli appartenenti alla etnia (omissis)ma vi aggiunge anche un’accezione dispregiativa di “zingari”, da solo o dotato di specificazione: “zingari di merda”, indicando gli stessi come categoria (unificata proprio dalla comune appartenenza etnica) dedita abitualmente alla delinquenza in generale, e ritenuta responsabile, nella persona di uno dei suoi componenti, dell’illecito ai danni del suo fidanzato (i cui responsabili, peraltro, non risulta fossero mai stati identificati) e per questo meritevole, l’intera categoria, degli insulti più sguaiati e degli auspici di subire i più atroci tormenti.

Neppure la sentenza spiega con ragionamento logico perché l’espressione (OMISSIS) (OMISSIS) che indica gli stessi come categoria (accomunata proprio dalla comune appartenenza etnica) dedita abitualmente, per vivere, alle attività delinquenziali, e ritenuta responsabile, nella persona di uno dei suoi componenti, dell’illecito ai danni del fidanzato della donna (e per questo meritevole, l’intera categoria, della invettiva sopra riportata), non costituisca offesa alla dignità degli appartenenti all’etnia (OMISSIS) zingari e quindi non integri la molestia prevista dalla legge come fonte dell’obbligo risarcitorio.

La corte d’appello esclude che l’esternazione si situi nell’ambito di applicabilità del decreto legislativo antidiscriminazione perché ritiene che l’invettiva della signora sia rivolta non ai (OMISSIS) ma agli zingari ed in particolare a coloro che delinquono, a prescindere dall’etnia e dalla nazionalità.

E tuttavia, né il primo passaggio, secondo il quale gli zingari individuerebbero una categoria diversa dai (OMISSIS) né il secondo  passaggio, secondo il quale la (OMISSIS) con la parola “zingari intendesse dire soltanto delinquenti, come se i due termini fossero usati e come sinonimi e ciò fosse sostanzialmente accettabile, rimane privo di alcuna giustificazione dotata del minimo fondamento logico.

Va, di converso, osservato che non soltanto nel linguaggio comune i due termini hanno un significato equivalente (salvo che il termine prediletto dalla (omissis) zingari, ha un’accezione dispregiativa), ma anche che in numerose pronunce della Corte Edu ( tra le altre, nella sentenza Sampanis ed altri c. Grecia, n.23526\05, 5 settembre 2008) le due espressioni, (omissis) e zingari, sono accomunate, usate in modo sovrapponibile, e soprattutto, per quanto qui importa, identificano una medesima categoria di persone, caratterizzata dall’appartenenza ad una etnia per ragioni storiche particolarmente vulnerabile, in passato sottoposta a persecuzioni, e come tale protetta normativamente dai comportamenti discriminatori.

10. Ugualmente in violazione di legge incorre il provvedimento impugnato laddove ritiene le dichiarazioni della controricorrente prive di offensività idonea ad integrare la nozione di molestie tutelata dalla disciplina antidiscriminatoria, perché determinate da una motivazione esclusivamente personale (in riferimento al primo post, che sarebbe stato originato o persino provocato da una – per quanto sopra le righe – reazione della donna al furto subito dal compagno da parte di un soggetto sconosciuto, eppure immotivatamente identificato in uno zingaro nell’equazione, elaborata dalla (OMISSIS) ed avallata dalla corte d’appello, zingari = ladri) e destinate ad una diffusione meramente privatistica in quanto inserite nel sito (OMISSIS) della (OMISSIS)  futura assessora alle politiche giovanili, pari opportunità, politiche sociali, sistemi educativi e diritto allo (OMISSIS).

Vanno accolte a questo proposito le censure contenute nel primo e nel terzo motivo che individuano due diversi errori contenuti nella sentenza impugnata.

10.1. Da un lato, la motivazione personale della (OMISSIS) non ha alcuna rilevanza, perché la motivazione della condotta non risulta oggetto di previsione legislativa e non integra gli estremi di alcuno degli elementi costitutivi della fattispecie normativa (che non richiede il dolo, l’offesa consapevole e deliberata) e non è idonea a scriminare o rendere scusabile l’illecito ove esso consti degli elementi oggettivi presi in considerazione dalla legge (idoneità a ledere l’altrui dignità, idoneità a creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo).

Dall’altro, l’offesa alla dignità del gruppo etnico (se accompagnata dalla potenziale idoneità a diffondere un clima ostile) è rilevante nella sua portata contenutistico-espansiva, a nulla rilevando che derivi da un momento di ira piuttosto che da una personale e costante avversione verso una categoria di persone spregiativamente apostrofata come “zingari,,.

10.2. Merita una ulteriore e non meno pregnante considerazione la immotivata svalutazione della potenzialità lesiva del comportamento, ovvero della sua anche solo potenziale idoneità a creare un clima ostile verso l’etnia, in sé considerata, sol perché rivolta solo al gruppo privato degli “amici che la signora vantava su (OMISSIS).

Non soltanto tale affermazione si pone aperto contrasto con la disposizione dii legge perché non considera che la norma non punisce l’accertata creazione di un clima ostile, ma mira a prevenire il suo sorgere, e dunque sanziona chi pone in essere comportamenti che siano anche solo potenzialmente idonei a determinare l’accrescersi del livello di ostilità sociale per ragioni etniche.

Essa trascura anche, completamente, di considerare che la potenzialità offensiva della propalazione di notizie o di dichiarazioni proprio a mezzo dei cd. social in generale, e di (OMISSIS) in particolare, sia più volte stata affermata dalla giurisprudenza sia civile che penale di questa Corte, che ha posto in rilievo l’idoneità del messaggio, una volta immesso sul web, anche su un social ad accesso circoscritto, di sfuggire al controllo del suo autore per essere veicolato e rimbalzato verso un pubblico indeterminato, tanto che l’immissione di un post di contenuto denigratorio è stato ritenuto più volte idoneo ad integrare gli estremi della diffamazione (Cass. civ. n. 10280 del 2018 – in tema di licenziamento disciplinare, costituisce giusta causa di recesso, in quanto idonea a ledere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo, la diffusione su (omissis) di un commento offensivo nei confronti della società datrice di lavoro, integrando tale condotta gli estremi della diffamazione, per la attitudine del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone.,,; Cass. pen. n. 13979 del  25.1.2021: “La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca (omissis) integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone”. v. anche, da ultimo, Cass. pen. n. 2251 del 2023).

Si è ritenuto che tale comportamento possa perfino integrare il reato di istigazione all’odio razziale, di cui all’art. 604-bis, comma secondo, cod. pen. (propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa): Cass. pen. n. 4534 del 6.12.2021 ha affermato, in proposito, l’idoneità in tal senso anche dell’inserimento di un like o il rilancio di un post dalla bacheca della propria piattaforma social, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei social network, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti.

10.3 Inoltre, la sentenza impugnata non considera affatto, ai fini di valutare la potenziale diffusività e idoneità lesiva della esternazione, il dato, confermato dalla stessa controricorrente, secondo il quale la stessa, i cui post oggetto di causa non risulta siano mai stati rimossi, abbia intrapreso pochi mesi dopo una carriera politica che l’ha portata a ricoprire l’incarico di assessore nel Comune di appartenenza, e pertanto che la potenzialità diffusiva di quei post, ed anche la loro idoneità ad influenzare il pubblico dei lettori, sia plausibilmente cresciuta conformemente alla maggior visibilità pubblica della signora.

11. Anche il quarto motivo va accolto.

Come sottolineato nell’esposizione della censura, la sentenza travisa, sottovalutandole, le ragioni della tutela antidiscriminatoria, là dove afferma che nei post contestati non sarebbe denigrata l’etnia in quanto tale, ma solo i suoi componenti che tengono comportamenti illeciti.

La denigrazione, la molestia lesiva della dignità della persona, che le norme comunitarie e nazionali vogliono prevenire ed evitare, non coincide solo con comportamenti razzisti, di disprezzo verso l’appartenenza ad una etnia in quanto tale, ma comprende e tutela anche le ipotesi in cui si ipotizzi che tutti gli appartenenti ad una determinata etnia, in quanto tali, siano più inclini a commettere reati, o a tenere altri comportamenti a cui si associa il disvalore sociale, in relazione alle quali ancora maggiore è la possibilità che il contenuto denigratorio venga percepito e condiviso, con conseguente incremento di un clima ostile verso una determinata etnia (la Corte di giustizia ha altresì chiarito che, laddove una condotta svantaggiosa sia fondata (anche, ma non solo) su stereotipi o pregiudizi connessi al fattore protetto, come nel caso in esame, siamo di fronte a una discriminazione diretta: CGUE 16 luglio 2015, Chez, cit., C-83/14, § 82).

Nel caso di specie, la molestia è caratterizzata proprio dalla (OMISSIS) di una intera etnia allo svolgimento abituale di attività delinquenziali per vivere, in ragione delle quali si augura a tutti gli “zingari di merda” di patire i più atroci tormenti.

12. La sentenza impugnata incorre in violazione di legge anche per un diverso profilo, segnalato dal sesto motivo: dopo aver svalutato la potenzialità lesiva delle dichiarazioni perché inserite in altrettanti post su (OMISSIS) e quindi rivolte ad un pubblico asseritamente circoscritto di conoscenti, le ha ritenute “libera estrinsecazione della libertà di espressione” senza considerare minimamente che la libertà di espressione deve essere esercitata nel rispetto degli altri diritti costituzionalmente e comunitariamente tutelati (primo fra tutti la dignità personale) che rischiano di essere vulnerati da un suo indiscriminato esercizio, trascurando la necessità che, in presenza di esternazioni delle quali si contesti l’offensività, deve essere comunque operata una verifica di bilanciamento tra i contrapposti diritti, e che la libertà di espressione deve comunque soggiacere al limite della continenza (nelle sentenze civilistiche che affermano la tutela del diritto di critica, è costante il richiamo al rispetto del limite della continenza formale: v. Cass. civ. n.38215 del 2021, n.11767 del 2022, n. 9799 del 2019; Cass. pen. n. 13979 del 2021e n. 15089 del 2019).

Anche la Corte Edu, in relazione al caso Budinova & Chaprazov v. Bulgaria – 12567/13, deciso con sentenza del 16.2. 2021, in cui era in discussione la portata discriminatoria delle dichiarazioni rese da un membro del parlamento bulgaro nei confronti della etnia (OMISSIS) ha richiamato al rispetto della continenza, affermando che “Violano l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e l’art. 14 CEDU (divieto di discriminazione) le dichiarazioni denigratorie nei confronti dei (OMISSIS) rilasciate da un membro del Parlamento e che non possono ricondursi nell’alveo della libertà di espressione tutte quelle forme di opinione che, superando il limite della continenza, risultano denigratorie di una specifica origine etnica, in quanto dall’art. 14 CEDU deriva un obbligo positivo di perseguire tutte quelle manifestazioni lesive del diritto a non essere discriminati, anche qualora non sussista una ricaduta diretta sul ricorrente che si ritenesse parte lesa.

13. Ugualmente va accolto il settimo motivo, che censura la sentenza impugnata in relazione al secondo post, sottolineando che in quel caso le offese, inserite sul sito proprio in coincidenza con la giornata  dedicata ai (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) meno oscene nei toni, hanno forse un ancor più elevato contenuto discriminatorio, in quanto volto a fomentare l’odio verso il diverso per motivi di etnia, perché non sono neppure occasionate da un fatto privato ma sono direttamente rivolte contro le attitudini di vita del gruppo etnico, del quale si irride la perdita della connotazione nomade, e si lamenta l’acquisizione di abitudini stanziali, in quanto parassitarie, con stanziamento in campi abusivi, a carico della collettività “normale.

14. Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza è cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione, che si atterrà ai seguenti principi di diritto:

Integra molestia per ragioni di razza o di etnia, equiparata alle ipotesi di discriminazione diretta e indiretta e tutelata dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 215 del 2003, qualsiasi comportamento che sia lesivo della dignità della persona e sia potenzialmente idoneo a creare o incrementare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo nei confronti della predetta etnia, al di e a prescindere da qualsiasi motivazione soggettiva”;

“Può integrare gli estremi della molestia rilevante ai sensi dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 215 del 2003 sia la denigrazione diretta delle caratteristiche di una etnia in quanto tale, sia (OMISSIS) etnia a comportamenti delittuosi”;

“La manifestazione del proprio pensiero sui social network, anche se inizialmente indirizzata ad una cerchia limitata di persone (gli “amici” su (OMISSIS) deve comunque avvenire nel rispetto del criterio formale della continenza e, ove sia accertato che abbia contenuti lesivi dell’altrui dignità, può integrare gli estremi della molestia discriminatoria se rivolta verso un determinato gruppo etnico, in quanto è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 31 gennaio 2023.

Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.