Detenuto ha violato il divieto di comunicare con gli altri detenuti ristretti nella “Sezione 41-bis” (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 29 ottobre 2020, n. 30039).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Rel. Consigliere

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Corso Gioacchino, nato a Palermo il 16/3/1967;

avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Torino in data 16/10/2019;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Carlo Renoldi;

letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Olga Mignolo, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con rapporto disciplinare del 14/10/2017, Gioacchino Corso, detenuto attualmente presso Casa circondariale di Novara, era stato sanzionato con l’esclusione dalle attività comune per la durata di 2 giorni per avere violato il divieto di comunicare con gli altri detenuti ristretti nella “Sezione 41-bis” di quell’istituto penitenziario.

Avverso tale sanzione il detenuto aveva proposto reclamo, che era stato però respinto con ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Novara in data 5/2/2019.

1.1. Con ordinanza in data 16/10/2019, il Tribunale di sorveglianza di Torino dichiarò inammissibile il reclamo proposto nell’interesse dello stesso Corso, con il quale il detenuto lamentava, da un lato, il mancato rispetto della procedura disciplinare, svoltasi senza che gli fosse stato contestato l’addebito prima della celebrazione dell’udienza davanti al Consiglio di disciplina; e, dall’altro lato, di essersi limitato a salutare, per correttezza, un compagno di detenzione, tenendo una condotta ammessa in altri istituti penitenziari e senza sapere del divieto vigente nella Casa circondariale di Novara.

Secondo il Collegio, infatti, il reclamo costituiva una mera riproposizione di quelli già sottoposti all’attenzione del Magistrato di sorveglianza, il quale, nel provvedimento impugnato, aveva adeguatamente motivato il rigetto, affrontando tutte le doglianze del detenuto all’udienza del 5/2/2019, sicché difettavano precise ragioni di critica o di dissenso rispetto all’atto impugnato.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Corso, per mezzo del difensore di fiducia, avv. Roberta Formica, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla declaratoria di inammissibilità, avendo il Tribunale di sorveglianza enunciato principi generali in materia di specificità dei motivi, del tutto scollegati rispetto al reclamo avanzato, che avrebbe indicato con precisione i passaggi contestati e i motivi posti a fondamento del reclamo.

Inoltre, per addivenire a una dichiarazione di inammissibilità sarebbe necessario che non risultino esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata (cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268882), nel caso di specie puntualmente esposti in sede di reclamo, seppure in linee essenziali. Fermo restando che l’identità delle censure deriverebbe, nel caso in esame, che i provvedimenti sarebbero affetti dagli stessi vizi.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 38 Ord. pen. e 81, Reg. esec., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Dopo avere richiamato le disposizioni in materia di procedimento disciplinare dei detenuti e avere ricordato che tale modello procedimentale è informato ai «principi fondamentali di garanzia» e contraddittorio (Sez. 1 n. 42420 del 16/9/2013, Barretta, Rv. 256981), essendo l’Amministrazione penitenziaria tenuta alla contestazione in forma chiara e specifica del fatto addebitato (Sez. 1, n. 48828 del 12/11/2009, Mele, Rv. 245904) e al rispetto dei suddetti termini (Sez. 1, n. 24180 del 23/6/2010, Maltese, Rv. 247987; Sez. 1, n. 13685 del 1/4/2008, Prata, Rv. 239569; Sez. 1, n. 36246 del 3/10/2007, Cortese, Rv. 237688), dovendo il detenuto poter contare su un ragionevole lasso di tempo per predisporre un’adeguata difesa, secondo la previsione dell’art. 59 delle Regole penitenziarie europee, in base alla quale i detenuti accusati di aver compiuto un’infrazione disciplinare devono «aver tempo e mezzi adeguati per la preparazione della loro difesa».

3. In data 8/4/2020, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. L’art. 81, d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, scandisce i tempi e i modi del procedimento disciplinare nei confronti dei detenuti o internati, stabilendo:

1) la constatazione diretta o indiretta di una infrazione da parte dell’operatore penitenziario e la redazione di un rapporto, che deve essere trasmesso al direttore dell’istituto;

2) la contestazione formale al detenuto da parte del direttore dell’infrazione, che deve avvenire «… sollecitamente e non oltre dieci giorni dal rapporto …» (comma 2);

3) gli eventuali accertamenti ulteriori, svolti dal direttore o dai suoi delegati;

4) la convocazione diretta del detenuto o la convocazione del consiglio di disciplina, entro dieci giorni dalla contestazione (comma 4).

Tale scansione, anche temporale, del procedimento mira a salvaguardare le esigenze di difesa dell’incolpato che deve avere il tempo materiale per articolare una eventuale difesa, in aderenza alle Regole Penitenziarie Europee del 2006 (Raccomandazione 2006/2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle regole penitenziarie europee), le quali, alla regola n. 59, così stabiliscono:

«i detenuti accusati di un’infrazione disciplinare devono:

1. essere prontamente informati, in dettaglio e in una lingua che comprendono, in merito alla natura delle accuse rivolte contro di loro;

2. avere tempo e mezzi adeguati per la preparazione della loro difesa;

3. avere il permesso di difendersi da soli o per mezzo di un assistente legale qualora ciò sia necessario nell’interesse della giustizia;

4. avere il permesso di ottenere la presenza di testimoni e di interrogarli o farli interrogare;

5. avere l’assistenza gratuita di un interprete qualora non comprendano o non parlino la lingua usata nel procedimento».

Secondo la giurisprudenza di legittimità, «in tema di provvedimenti disciplinari dell’amministrazione penitenziaria, l’omissione della previa contestazione dell’addebito al detenuto nelle forme previste dalla normativa regolamentare ha effetti sulla validità del provvedimento adottato, dovendo intercorrere tra il momento della contestazione e quello dell’udienza disciplinare un ragionevole lasso temporale in modo da consentire all’incolpato di predisporre adeguata difesa» (cfr. ex plurimis Sez. 1, n. 16914 del 21/12/2017, dep. 2018, Palunnbo, Rv. 272786).

Tale approdo ermeneutico consegue alla estensione al procedimento disciplinare delle norme in materia di nullità degli atti processuali (attesa la pacifica connessione funzionale tra il medesimo e il procedimento giurisdizionale di reclamo); estensione che ovviamente, come appresso si dirà, non può essere circoscritta ai soli aspetti strutturali (ovvero ai presupposti di legittimità del procedimento e di validità dell’atto avente natura decisoria che lo conclude), ma deve essere estesa, per ragioni di complessiva tenuta sistematica, anche agli aspetti funzionali che attengono alle regole generali in materia di deducibilità del vizio (in proposito v. infra § 3).

3. Tanto premesso, osserva il Collegio che l’odierna impugnazione è del tutto generica.

Infatti, se può condividersi, in termini astratti, il rilievo secondo il quale al detenuto deve essere consentito disporre di un congruo termine per preparare le proprie difese, chiedendo, se del caso, l’esibizione o la produzione di documenti, l’audizione di terzi soggetti ecc., deve nondimeno osservarsi, come già puntualizzato, che dall’applicazione, al procedimento disciplinare, delle disposizioni in materia di nullità processuale, deriva la sottoposizione del medesimo alle regole generali dettate in materia di deducibilità delle nullità, tra le quali vanno ricordate le disposizioni dettate dall’art. 182, commi 2 e 3, cod. proc. pen., secondo cui la violazione deve essere eccepita dalla parte che abbia patito una lesione delle sue facoltà prima del compimento dell’attività processuale cui essa si riferiva.

Nel caso di specie, dunque, la nullità avrebbe dovuto essere dedotta al momento dell’apertura dell’udienza davanti al Consiglio di disciplina, posto che proprio in quella fase il detenuto avrebbe dovuto lamentare di essere stato condotto davanti all’organo disciplinare senza prima conoscere le accuse che gli venivano rivolte.

Una siffatta deduzione, tuttavia, non è stata in alcun modo articolata nell’odierna impugnazione, donde la genericità della stessa.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.

PER QUESTI MOTIVI

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in data 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.