Di Domenica alcuni ex dipendenti si offrono per dei lavori all’interno della Ditta; uno di loro subisce un infortunio. Condannato il titolare (Corte di Cassazione, Sezione Feriale Penale, Sentenza 14 agosto 2020, n. 23947).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONI Monica – Presidente –

Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BASSI Alessandra – Rel. Consigliere –

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Peluffo Francesco, nato a Vercelli il 22/01/1958;

avverso la sentenza del 09/12/2019 della Corte d’appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alessandra Bassi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;

udito il difensore, avv. Claudia Del Pozzo in sostituzione dell’avv. Gavino Spiga, che si è riportato ai motivi di ricorso introduttivi insistendo per l’accoglimento delle conclusioni degli stessi;

in subordine, ha eccepito l’estinzione del reato per prescrizione non trovando applicazione, al caso di specie, la sospensione del procedimento e dei termini di prescrizione di cui all’art. 83 d.l. n. 18/2020 convertito con modificazioni dalla I. n. 24/2020;

in via di ulteriore subordine, ha chiesto che il procedimento sia differito ad altra udienza in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulle disposizioni di cui all’art. 83 predetto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la sentenza dell’Il aprile 2018, con la quale il Tribunale di Venezia ha condannato alla pena pecuniaria di legge Francesco Peluffo in relazione al reato di cui agli artt. 40 e 590, commi primo e terzo, cod. pen., per avere, quale legale rappresentante della Fun Village s.r.I., cagionato per colpa – generica e specifica ex artt. 28, comma 2, 36, comma 1 lett. a), e 37, comma 1 lett. a), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 – al dipendente di fatto Robertas Zubrickas lesioni personali gravi, da cui derivava una malattia o comunque un’incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni.

Secondo la contestazione, Robertas Zubrickas si infortunava nel mentre era intento ad eseguire delle operazioni di spostamento di una saldatrice, compiute unitamente a Antonas Rekstys (dipendente della Fun Village s.r.I.), tramite un trattore muletto marca Manitoum, condotto da Igor Semanyk (dipendente di fatto della Fun Village s.r.I.), laddove perdeva l’equilibrio e cadeva a terra, venendo investito dal predetto mezzo.

2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, Francesco Peluffo chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione al d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per avere la Corte d’appello confermato il giudizio di penale responsabilità a carico di Francesco Peluffo sebbene l’infortunio sia stato cagionato mediante un mezzo – il trattore Manitou – di proprietà, non della Fun Village s.r.l. di cui egli era legale rappresentante, bensì della Nettuno s.r.I., in relazione al quale non era pertanto imputabile al medesimo l’omessa formazione per la prevenzione antinfortunistica (informazioni sull’uso, formazione del personale e indicazioni sul DVR relative all’uso).

Il ricorrente aggiunge, inoltre, che non risulta provata la circostanza – data invece per acquisita dai giudici di merito – circa l’impiego abituale di detto mezzo da parte dei dipendenti della Fun Village s.r.l.

2.2. Vizio di motivazione per travisamento della prova e per omessa acquisizione di prova decisiva, per avere il Collegio del gravame confermato la condanna dell’imputato sulla scorta di una erronea ricostruzione storico fattuale , frutto dell’omessa valutazione della testimonianza di Antonas Rekstys e della non corretta lettura delle dichiarazioni di Igor Semanyk.

Evidenzia la difesa come il fatto avvenne la mattina di domenica – dunque di un giorno festivo – e come Peluffo avesse dato indicazioni al dipendente della ditta Fun Village s.r.l. Antonas Rekstys di effettuare la riparazione di una cancellata mediante una saldatrice — fra l’altro munita di ruote -, ordinando a questi di riportarla nel ricovero attrezzi a fine lavoro, senza fare alcuna menzione all’impiego del muletto Manitou, né avvedersi della presenza sul posto di tale mezzo, nè dello Zubrickas; rimarca altresì che fu quest’ultimo ad offrirsi spontaneamente di dare una mano al Rekstys nelle operazioni di spostamento della saldatrice e che fu un’idea di Igor Semanyk di utilizzare il muletto Manitou della Nettuno s.r.l.

Ad avviso del ricorrente, i giudici di merito avrebbero inoltre errato nella ricostruzione dei fatti quanto a diverse circostanze, segnatamente:

a) quanto al fatto che l’area dello stabilimento balneare fosse chiusa al pubblico per lavori di manutenzione, quando invece era aperta, trovandosi la cancellata oggetto di riparazione su di un camminamento che conduce al mare , costeggiando la spiaggia e consente di raggiungere la sala bingo aperta tutto l’anno;

b) quanto alla ritenuta presenza sul luogo del fatto del Peluffo ed alla circostanza che questi avesse visto sul posto tutte e tre le persone coinvolte (il dipendente Rekstys e gli ex dipendenti Zubrickas e Semanyk), sulla scorta dell’erroneo presupposto che il luogo fosse chiuso al pubblico per lavori di manutenzione;

c) quanto alla circostanza che era stato lo stesso Peluffo a portare sul luogo del fatto il muletto Manitou, avendo Rekstys riferito che la saldatrice era stata trasportata a mano dallo stesso e dall’imputato, testimonianza invece radicalmente omessa da parte del Collegio veneziano;

d) quanto alla presenza delle chiavi del muletto infilate nel quadro del mezzo, in effetti non riferita dal teste Semanyk.

2.3. Vizio di motivazione in ordine alla valutazione della condotta tenuta da Zubrickas, Semanyk e Rekstys nella causazione dell’infortunio ed all’omesso riconoscimento dell’abnormità della condotta tenuta dalla persona offesa.

La difesa sottolinea come la Corte d’appello abbia escluso l’eccentricità del comportamento della persona offesa e degli altri due operai sulla scorta dell’erroneo presupposto di fatto che analogo comportamento fosse stato tenuto dallo stesso Peluffo per portare la saldatrice sul luogo del fatto, circostanza invece smentita da quanto dichiarato da Rekstys.

Il ricorrente ribadisce che il trattore Manitou era di proprietà della Nettuno s.r.l. e che Peluffo non era a conoscenza del fatto che sarebbe stato utilizzato da Zubrickas, Semanyk e Rekstys per riportare la saldatrice nel deposito attrezzi, in quanto frutto di una decisione autonoma – ed abnorme – di essi, e non era stato dunque messo in grado di impartire le necessarie informazioni antinfortunistiche.

Aggiunge che lo stesso teste dello SPISAL ha dichiarato che costituisce fatto notorio che salire sulle forche del cofano del muletto è condotta imprudente, pericolosa e quindi vietata e che pertanto la condotta tenuta di Zubrickas, Semanyk e Rekstys deve ritenersi abnorme.

Sottolinea, inoltre, come la Corte lagunare abbia omesso di valutare se la condotta tenuta dalla persona offesa fosse di per sé sola idonea e sufficiente a cagionare l’evento lesivo, incorrendo in un’evidente mancanza di motivazione sul punto.

Rimarca che il comportamento di Zubrickas era imprevedibile e dunque inevitabile da parte del datore di lavoro, essendosi egli volontariamente esposto al pericolo nel momento in cui si era offerto sua sponte di dare un aiuto a Rekstys per riportare la saldatrice nel rimessaggio attrezzi.

2.4. Vizio di motivazione in ordine all’individuazione dell’area di rischio governata dalle norme a tutela contro gli infortuni ed erronea delimitazione del luogo del sinistro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni illustrate nel prosieguo.

2. In linea generale, non può non essere rilevato come, con il ricorso dinanzi a questa Corte, il ricorrente abbia riproposto censure già sottoposte al vaglio del Collegio territoriale confrontandosi soltanto in parte con i passaggi argomentativi sviluppati in risposta nella sentenza impugnata. Il che rende aspecifiche le doglianze e conseguentemente inammissibile il ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).

2.1. D’altra parte, il ricorso risulta generico laddove viola il principio di autosufficienza, nella parte in cui, nel denunciare il vizio di travisamento delle prove testimoniali assunte nel processo (in particolare di quelle di Antonas Rekstys e Igor Semanyk), omette di allegare la trascrizione delle testimonianze medesime (o delle parti ritenute d’interesse), in modo da consentire l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto da parte di questo Giudice di legittimità.

Giova invero ribadire che, in forza della regola della “autosufficienza” del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto. (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023; Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016 – dep. 27/04/2017, Saccomanno, Rv. 269801).

3. Ad ogni buon conto, l’impugnazione si appalesa all’evidenza destituita di fondamento, laddove – tenuto conto del discorso giustificativo svolto dalla Corte d’appello come integrato dal corredo motivazionale della richiamata decisione di primo grado (v. da ultimo Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) – i Giudici di merito risultano avere bene argomentato, con considerazioni aderenti alle emergenze dell’incartamento processuale, lineari e conformi a logica – pertanto incensurabili nella sede di legittimità -, le ragioni per le quali abbiano ritenuto provata al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità di Francesco Peluffo per le lesioni personali colpose cagionate a Robertas Zubrickas, dipendente di fatto dell’azienda di cui l’imputato era legale rappresentante.

3.1. Nel confermare il giudizio di penale responsabilità a carico del ricorrente, la Corte d’appello lagunare ha convincentemente argomentato:

che deve ritenersi pacificamente acquisito che il muletto Manitou, sebbene di proprietà della Nettuno s.r.I., fosse utilizzato nella pratica in maniera promiscua dalla Fun Village s.r.l. e dalla Nettuno s.r.l. (v. pagina 3 della sentenza impugnata);

che la Nettuno s.r.l. non ha intentato alcuna azione avverso la Fun Village s.r.l. per lamentare l’indebito utilizzo del mezzo da parte dei dipendenti della stessa;

che, come dato atto dal primo giudice, detto muletto era stato d’altronde incluso nel corso di aggiornamento, imposto da SPISAL ed effettuato nel maggio 2013 (v. pagina 3 della motivazione della sentenza di primo grado);

che, il giorno del fatto, il mezzo era immediatamente reperibile sul luogo dell’infortunio con disponibilità delle chiavi;

che il teste Semanyk ha riferito di essere stato richiesto da Rekstis di condurre il muletto Manitou per averlo guidato più volte, aggiungendo che “Manitou guidato tutti”;

che rientrava pertanto nella responsabilità datoriale del Peluffo l’obbligo di impartire le dovute istruzioni ai propri dipendenti dirette ad assicurare che l’uso del mezzo, normalmente utilizzato nell’ambito aziendale, avvenisse in modo tale da garantire, in ogni evenienza, la sicurezza sul luogo di lavoro (v. pagina 3 della sentenza impugnata);

che, il giorno degli occorsi, lo stabilimento balneare era chiuso al pubblico, l’area ove era avvenuto il fatto era interdetta alla generalità delle persone e Zubrickas e Semanyk si trovavano sul posto, non per bere un caffè – come sostenuto dalla difesa -, ma per eseguire assieme a Rekstys dei lavori di manutenzione;

che risulta non credibile che Peluffo – presente sull’area del cantiere come riferito dal Semanyk – non sapesse della presenza, oltre che di Rekstys, anche degli stessi ex dipendenti Zubrickas e Semanyk, come confermato anche dal fatto che, subito dopo l’infortunio, il ricorrente aveva provveduto all’immediata regolarizzazione degli ex dipendenti Zubrickas e Sennanyk (v. pagine 4 e 5 della sentenza impugnata);

che, quanto alle modalità dell’incidente, Semanyk ha riferito che, quella mattina, era stato lo stesso Peluffo ad utilizzare il muletto per portare la saldatrice sul posto, lasciando le chiavi sul quadro del mezzo;

che, sebbene non vi sia prova del fatto che l’imputato abbia dato l’ordine di utilizzare quel mezzo per riportare la saldatrice a posto, la circostanza che Peluffo potesse confidare sulla collaborazione di Zubrickas e Semanyk presenti sul posto si desume in via logica, in primo luogo, dal fatto che il ricorrente aveva lasciato sul posto il muletto e, in secondo luogo, dalla circostanza che egli non poteva fare affidamento sul fatto che la saldatrice potesse essere spostata dal solo Rekstys, atteso che il trattore Manitou e la pedana non potevano essere movimentati da una sola persona (v. pagina 5 della sentenza impugnata).

3.2. Non può omettersi di porre in rilievo come, ai fini della valutazione dell’accertamento della responsabilità colposa del Peluffo per l’infortunio occorso sul luogo di lavoro, poco rilevi la circostanza che l’area nella quale si verificava l’incidente fosse chiusa o aperta al pubblico.

Ed invero, secondo quanto non irragionevolmente ricostruito dai Giudici di merito, Peluffo era consapevole del fatto che Rekstis sarebbe stato aiutato nelle operazioni di movimentazione della saldatrice da Semyak e dalla persona offesa – non potendo (come già evidenziato) detta operazione essere eseguita da un solo operaio – ed era pertanto tenuto – in quanto datore di lavoro tenuto al controllo dei fattori di rischio anche nei riguardi di terzi non dipendenti e nonostante i comportamenti imprudenti di costoro – ad attuare le misure antinfortunistiche, ad assicurare la necessaria formazione professionale sull’utilizzo dei macchinari impiegati nelle lavorazioni (segnatamente del muletto Manitou) e sulle misure precauzionali da adottare (compreso il divieto di salire sui pallet per il rischio caduta e di investimento), a garantirne la loro rigorosa osservanza da parte del proprio dipendente Rekstis nonché ad inibire a Semanyk e Zubrikas di fare accesso al luogo e di prendere parte alle lavorazioni affidate a Rekstys.

3.3. Nel riconoscere la responsabilità colposa dell’imputato, i Giudici di merito hanno fatto ineccepibile applicazione dei consolidati principi di diritto in materia, secondo cui il datore di lavoro – quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro – è tenuto a dare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, fornendo specifiche informazioni sulle modalità di svolgimento delle attività lavorative e sull’uso dei macchinari e quindi ad eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti, e risponde pertanto dell’infortunio occorso al dipendente a causa della mancanza di tali requisiti (Sez. 4, n. 5441 del 11/01/2019, Lanfranchi, Rv. 275020).

3.4. A fronte della precisione, completezza e intima coerenza dell’iter argomentativo sviluppato nonché della correttezza in diritto del ragionamento svolto dal Giudice del gravame in sentenza, le censure mosse dal ricorrente quanto alla valutazione delle prove acquisite al processo, alla ricostruzione della vicenda sotto il profilo storico-fattuale ed al conseguente inquadramento giuridico della fattispecie – con specifico riguardo alla ritenuta sussistenza dei profili di colpa generica e specifica in relazione alla normativa volta alla prevenzione degli infortuni sul lavoro – si risolvono, nella sostanza, nella sollecitazione ad una rilettura delle emergenze processuali in un senso ritenuto più plausibile e, dunque, ad una valutazione di aspetti squisitamente di merito, non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu loculi percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

4. Immune da vizi di ordine logico o giuridico è pure la ritenuta assenza dei presupposti dell’eccentricità o abnormità della condotta tenuta dai tre cittadini lituani tale da renderla imprevedibile e pertanto esulante dall’orizzonte del rischio prevedibile e governabile dal datore di lavoro.

4.1. Al riguardo, la Corte distrettuale ha ineccepibilmente notato come l’abnormità del comportamento sia esclusa dal fatto che i tre operai si limitavano a replicare la condotta tenuta dal Peluffo per portare la saldatrice sul luogo dei lavori nonché ad utilizzare un mezzo di cui avevano in quel momento la disponibilità e l’uso e che avevano anche in precedenza utilizzato per eseguire i lavori nell’area, senza peraltro ricevere la formazione antinfortunistica necessaria (v. pagine 5 e 6 della sentenza impugnata).

L’assunto difensivo contrario, che pretende non essere stato fatto uso del muletto da parte del ricorrente per il trasferimento della saldatrice prima dell’infortunio, non è ritualmente supportato dai necessari riscontri probatori perché possa essere apprezzato da questo Giudice di legittimità, risultando il ricorso privo di autosufficienza nei termini già sopra esposti.

4.2. Il ragionamento del Giudice del gravame risulta perfettamente allineato alla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia, secondo cui l’abnormità della condotta del lavoratore tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro non coincide con la mera imprudenza o disattenzione nello svolgimento delle lavorazioni, ma postula che il comportamento si svolga al di fuori dell’ambito delle mansioni assegnate ovvero che, pur collocandosi nell’alveo di esse, risulti radicalmente avulso da un’avventatezza prevedibile – e dunque evitabile – nelle operazioni.

Si è, in particolare, affermato che il comportamento del lavoratore può ritenersi “abnorme”, e come tale non suscettibile di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, allorchè provochi l’infortunio ponendo in essere, colposamente, un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento “esorbitante” rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro, come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un’altra macchina o ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva ad altro lavoratore (v. di recente Sez. 4 del 21/10/2008, n. 40821, Petrillo; Sez, 4 del 16/02/2012, n. 10712, Mastropietro).

Tale comportamento è “interruttivo” non perché eccezionale, ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a “governare” (v. Sez. 4, del 23/11/2012, n. 49821, Lovison ed altri).

D’altra parte, si è giudicata abnorme quella condotta che, pur rientrando nelle mansioni lavorative proprie del lavoratore o comunque in attività con esse connesse, sia consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro.

In un caso assimilabile a quello di specie, questa Corte ha escluso che presenti le caratteristiche dell’abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l’osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore, trattandosi di comportamento “connesso” all’attività lavorativa o da essa non esorbitante e, pertanto, non imprevedibile (v. ex plurimis, Sez. 4, del 16/02/2012, n. 10712, Mastropietro; Sez. 4, n. 43846 del 26/06/2014, Colella).

5. La rilevata inammissibilità del ricorso rende irrilevante la questione – dedotta dalla difesa in udienza – circa la non applicabilità nel caso de quo della sospensione dei termini di prescrizione di cui all’art. 83 d.l. n. 18 del 17 marzo 2020 convertito con modificazioni dalla I. n. 24 aprile 2020, n. 27.

Costituisce difatti principio acquisito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso) (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266).

6. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 6 agosto 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.