REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. LUCA PISTORELLI – Presidente –
Dott. RENATA SESSA – Consigliere –
Dott. MATILDE BRANCACCIO – Consigliere –
Dott. PIERANGELO CIRILLO – Consigliere –
Dott. ELENA CARUSILLO – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il giorno xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza emessa il 30/01/2023 dal Giudice per le indagini preliminari di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere, dott.ssa Elena Carusillo;
preso atto delle conclusioni del Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Orsi che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di (omissis) (omissis), avv. (omissis) (omissis), ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del 30 gennaio 2023 con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia, all’esito dell’udienza camerale fissata a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione, ha disposto, ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., l’archiviazione per particolare tenuità del fatto del procedimento nel quale il ricorrente era indagato per il delitto di cui all’art. 595 cod. pen.
2. La difesa articola tre motivi ricorso.
2.1 Con il primo motivo, proposto per erronea applicazione della legge penale, lamenta che il Giudice per le indagini preliminari ha omesso di rilevare l’improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela, in quanto l’atto di querela era stato proposto dal Comandante della Polizia Municipale di Jesolo, e non dai due verbalizzanti asseritamente ingiuriati, in assenza di delega a rappresentare il Corpo di polizia, prodotta solo in occasione della celebrazione dell’udienza camerale, fissata all’esito dell’opposizione.
2.2 Con il secondo motivo, proposto per vizio di motivazione, lamenta che il giudice ha ritenuta valida la querela, nonostante la genericità della stessa e l’assenza di qualsiasi indicazione del contenuto delle scritte incriminate riportate a commento di un articolo della testata giornalistica “Il Gazzettino”, pubblicato sul social network “Facebook”, la cui individuazione – in uno a quella degli autori delle stesse – era avvenuta non a mezzo di un’integrazione di querela, ma solo a seguito di attività investigativa svolta dal Corpo di Polizia Locale di Jesolo oltre il termine dei novanta giorni dalla conoscenza del commento asseritamente diffamatorio.
2.3 Con il terzo motivo, proposto per erronea applicazione di legge, lamenta che il giudice ha proceduto ad archiviare il procedimento per tenuità del fatto, senza considerare che la frase «che carogne» si profilava come manifestazione di solidarietà per la persona sanzionata dai verbalizzanti e, dunque, come mera espressione del diritto di critica rivolta all’operato professionale della Polizia Municipale e non ai singoli operatori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente va affrontato il tema della ricorribilità per cessazione del provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, a seguito di opposizione, dispone l’archiviazione per particolare tenuità del fatto, trattandosi di un provvedimento che non solo presuppone l’accertamento di un fatto di reato, ma che deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fatta salva la non menzione nei certificati rilasciati a uso di terzi (Sez. U, n. 38954 del 30/05/2019, De Martino, Rv. 276463).
2. La ricorribilità in cassazione del provvedimento di archiviazione non può essere ravvisata sul rilievo che – in base al combinato disposto degli artt. 409, comma 1, 410, comma 3, e 411, comma 1, cod. proc. pen. – il giudizio di opposizione «si svolge nelle forme previste dall’articolo 127», in quanto il rinvio all’art. 127 cod. proc. pen., operato in altre norme del codice di rito con la formula «secondo le forme previste» o con altre equivalenti, riguarda le regole di svolgimento dell’udienza camerale, ma non implica, ex se, la ricezione completa del modello procedimentale descritto in questa norma, ivi compreso il ricorso in sede di legittimità, atteso che per diverse disposizioni contenenti tale rinvio il legislatore ha previsto espressamente quel rimedio (Sez. U, n. 17 del 06/11/1992, Bernini, Rv. 191786 – 01).
Ne consegue che, in tema di ricorribilità per cassazione avverso il provvedimento emesso all’esito della camera di consiglio ex art. 127 cod. proc. pen., è necessaria una esplicita previsione di impugnabilità, tutte le volte in cui il richiamo al rito camerale sia espresso con riferimento alle forme previste dall’art. 127, o attraverso termini equipollenti come «secondo le forme», «con le forme», «osservando le forme», mentre a diversa soluzione si deve pervenire quando il legislatore adotta il termine «a norma dell’art. 127», perché tale terminologia è da considerare comprensiva anche del ricorso in cassazione (Sez. 3, n. 5454 del 27/10/2022, dep. 2023, Pandolfi, Rv. 284139), in ossequio al principio di tassatività delle impugnazioni secondo cui nessun gravame è ammesso, in quanto non espressamente previsto.
3. Ciò posto, giova evidenziare che, sebbene non espressamente impugnabili, i provvedimenti che incidono sulla libertà personale sono ricorribili per cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., sicché anche le ordinanze e i decreti motivati, pur non avendo la forma della sentenza, risultano impugnabili tutte le volte in cui assumono, in concreto, natura decisoria e, dunque, quando, indipendentemente dal nomen iuris, accertano l’esistenza di un fatto-reato, dovendosi intendere per “sentenza” non solo il provvedimento giurisdizionale avente detta forma, ma anche ogni altro provvedimento che, pur diversamente nominato, abbia “carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti e […] non sia soggetto ad alcun altro mezzo di impugnazione (Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224610).
3.1 E’ il caso dell’ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto, pronunciata ai sensi dell’art. 411, comma 1-bis, cod. proc. pen., con la quale il legislatore ha realizzato un modello che “si distacca dall’iter tipo e questa particolarità giustifica, diversamente dagli altri epiloghi, la legittimazione attribuita alla persona sottoposta alle indagini di attivare il mezzo di impugnazione” (Sez. 3, Pandolfi, in motivazione).
L’ordinanza di archiviazione ex art. 131-bis cod. pen., invero, pur non avendo la forma della sentenza, di questa ha i caratteri costitutivi in quanto decide, in maniera definitiva, su questioni di diritto soggettivo.
Infatti, l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ha natura sostanziale in quanto, richiedendo l’analisi e la considerazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado della colpevolezza, presuppone “ponderazioni che sono parte ineliminabile del giudizio di merito” (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593, in motivazione).
Dunque, sulla base di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina che regola la materia dell’archiviazione per particolare tenuità del fatto, il giudice di legittimità è nella condizione di esperire il giudizio che gli è proprio, afferente all’applicazione della legge e, dunque, di accertare se la fattispecie concreta si colloca nel modello legale espresso dall’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen.
3.2 Ne deriva che l’ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto è impugnabile con il ricorso in sede di legittimità per violazione di legge e per motivazione mancante o meramente apparente e, dunque, per violazione della norma che impone l’obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
4. Ciò premesso, le censure formulate sono manifestamente infondate.
5. Con il primo motivo il ricorrente eccepisce l’improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela, in quanto proposta da soggetto non legittimato.
Agli atti del fascicolo — la cui consultazione è ammissibile in ragione della natura processuale della questione sollevata — risulta la delega a sporgere querela e alla rappresentanza in giudizio, rilasciata dal Sindaco del Comune di Jesolo in favore del Comandante del Corpo di Polizia Locale, dott. (omissis) (omissis), in data 19 gennaio 2018 e, dunque, in epoca antecedente ai fatti contestati, risalenti al 04 aprile 2020.
Ciò posto, poiché i documenti necessari alla verifica sulla procedibilità dell’azione penale possono essere acquisiti in qualunque momento del giudizio, allorché sorga questione sull’accertamento della proposizione della querela (Sez. 5, n. 11429 del 04/02/2015, Bruno, Rv. 263040), non rileva la circostanza che, nel caso di specie, l’atto di querela sia stato acquisito solo in occasione della celebrazione dell’udienza camerale, fissata all’esito dell’opposizione.
6. Privo di pregio è anche il secondo motivo che involge l’assenza, nel corpo della querela, di una compiuta e analitica descrizione dei fatti denunciati, specificamente individuati solo a seguito di attività investigativa svolta dal Corpo di Polizia Locale di Jesolo.
Premesso che la querela deve contenere gli elementi di fatto essenziali, oltre che la manifestazione inequivoca della volontà di punire il colpevole, in quanto la sua funzione è quella di consentire all’autorità giudiziaria l’esatta individuazione del fatto oggetto della querela e, in relazione ad esso, la tempestività della stessa, nel caso di specie l’atto di querela risulta sufficientemente specifico e idoneo non solo ad assolvere alla sua funzione di condizione di procedibilità dell’azione, ma anche a consentire la formulazione di un capo di imputazione chiaro e preciso.
Invero, nel corpo dell’atto, il querelante riferiva di «commenti diffamatori» rivolti all’indirizzo della Polizia Locale, pubblicati sul social network “Facebook” a seguito della diffusione di un articolo della testata giornalistica “Il Gazzettino”, avente a oggetto la sanzione amministrativa elevata nei confronti di una cittadina per violazione delle prescrizioni volte al contenimento del contagio da Covid-19.
7. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo con il quale il ricorrente censura la decisione impugnata, evidenziando che la locuzione incriminata («che carogne») si profilava, in realtà, come manifestazione di solidarietà nei confronti della cittadina sanzionata e, dunque, come mera critica all’operato professionale della Polizia Municipale e non dei singoli verbalizzanti.
In tema di diffamazione, il giudice di legittimità può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è suo compito considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, la portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie. (Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Dernofonti, Rv. 26128401), compito che deve svolgere anche con riferimento al profilo del dolo e della sussistenza della scriminante del diritto di critica, allorquando gli stessi elementi evidenziati nella sentenza impugnata depongono per il difetto della componente soggettiva del reato (Sez. 5, Sentenza n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145).
7.1 Nel caso di specie, il fatto ascritto all’imputato non può ritenersi scriminato dall’esercizio del diritto di critica.
Invero la locuzione «che carogne», collocata nel contesto cui inerisce, assume un valore nettamente offensivo nei confronti della funzione svolta dal Corpo della Polizia Locale non sostanziandosi in una semplice descrizione della situazione dalla quale era scaturita la sanzione inflitta alla cittadina, né in una legittima valutazione critica sull’operato dei verbalizzanti, ma spingendosi a una denigrazione gratuita, esplicitamente lesiva non solo della dignità, ma anche delle prerogative lavorative dei destinatari, difettando la correlazione tra il comportamento assunto dai verbalizzanti e il commento pubblicato.
Nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto in cui si realizza la condotta e verificare che i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione.
Nel caso di specie, l’espressione incriminata si profila gratuitamente offensiva e non riferibile al comportamento, peraltro legittimo e non lesivo della dignità e dei diritti della cittadina, assunto dal Corpo della Polizia Locale nei confronti della stessa.
Il commento pubblicato, gratuito e offensivo, si rivela tutt’altro che funzionale alla denuncia dell’episodio e, pertanto, non può ritenersi compreso nei limiti di una continenza espressiva, sia pur aspra e pungente.
5. Le considerazioni svolte impongono la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 31 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2023.