Diffamazione a mezzo stampa: il giornalista deve provare la verità della notizia (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 26 aprile 2022, n. 12985).

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE TERZA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Rel. Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15302/2019 proposto da:

(OMISSIS) Adriano, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Maria (OMISSIS), presso il quale è elettivamente domiciliato in via (OMISSIS) s.n.c., (OMISSIS) (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) Tommaso, elettivamente domiciliato in Roma, via (OMISSIS) 75, presso lo studio dell’avvocato Giovanni (OMISSIS) e rappresentato e difeso dall’avvocato Marco (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1144/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 23/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/02/2022 dal cons. Dott. DANILO SESTINI.

Rilevato che:

Adriano (OMISSIS) convenne in giudizio Tommaso (OMISSIS), direttore responsabile del quotidiano Cronache del Mezzogiorno, per ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della pubblicazione di un articolo dal contenuto diffamatorio, assumendo che lo stesso riportava fatti non corrispondenti al vero e utilizzava espressioni non continenti;

in particolare, l’articolo riferiva dell’arresto del (OMISSIS) e di un’altra persona, precisando che i due “bulletti” compivano “atti osceni ed importunavano alcune persone presenti nella piazza che, infastidite dal loro atteggiamento e soprattutto dopo aver chiesto invano di mettere fine al loro comportamento inqualificabile, chiedevano l’intervento dei Carabinieri, i quali, giunti sul posto, venivano aggrediti dagli esagitati”;

il Tribunale rigettò la domanda, condannando l’attore al pagamento delle spese processuali;

sul gravame del (OMISSIS), la Corte di Appello ha confermato la sentenza impugnata, affermando che: «correttamente, il giudice di prime cure ha rilevato la mancanza di prova circa la non corrispondenza della notizia contenuta nel quotidiano con la verità dei fatti e con la conseguente lesione dell’immagine dell’attore»;

«l’articolo […] risulta espressione di legittimo esercizio del diritto di cronaca;

i fatti narrati rappresentano la ricostruzione di un episodio di cronaca accaduto, di rilevanza sociale», la cui notizia «traeva origine da un comunicato stampa effettuato dalla polizia giudiziaria»;

«l’attore, odierno appellante, non ha assolto all’onere, sullo stesso gravante, di prova circa la non corrispondenza al vero dei fatti riportati nel giornale. Spettava allo stesso provare la falsità di quanto narrato dal giornale»;

«il sig. (OMISSIS) si è limitato a contestare l’articolo, senza fornire alcun supporto probatorio in merito.

Il fatto storico riportato dal quotidiano Cronache del Mezzogiorno, con fonte in un documento della polizia giudiziaria, è risultato fondato, in quanto non contestato.

Effettivamente l’appellante era stato tratto in arresto in flagranza di reato, posto agli arresti domiciliari e condannato per i fatti, la cui qualificazione giuridica spettava all’Autorità Giudiziaria»;

«alcuna prova è stata fornita dall’attore circa il danno dallo stesso subito, né la riconducibilità ad eventuali responsabilità del convenuto»;

ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), affidandosi a cinque motivi;

ha resistito il (OMISSIS), con controricorso;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis.l. c.p.c.;

il ricorrente ha depositato memoria.

Considerato che:

col primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e censura la sentenza impugnata nella parte in cui onera l’attore della prova della non corrispondenza al vero della notizia di stampa: assume il ricorrente che «è pacificamente il giornalista, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno da diffamazione, a dover dimostrare la verità (o almeno la verità putativa, di quanto proveniente da fonte pienamente attendibile) dei fatti narrati, e solo una volta fornita tale prova, diventa onere dell’attore dimostrare l’inattendibilità della fonte da cui il giornalista ha tratto la notizia»;

evidenzia, in altri termini, che, a fronte della chiara contestazione della verità dei fatti narrati, compiuta dall’attore con l’atto di citazione, «l’onere della prova circa la veridicità degli stessi si ribaltava sul convenuto»;

il secondo motivo deduce «violazione dell’art. 115 c.p.c. ed erronea applicazione del principio di non contestazione, in relazione al vizio di cui all’art. 360 n. 3, e omesso esame di un fatto decisivo, in relazione al vizio di cui all’art. 360 n. 5, con vizio di motivazione per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili»;

il ricorrente rileva che, dopo aver dato atto che il (OMISSIS) aveva contestato l’articolo, la Corte aveva affermato in maniera del tutto contraddittoria che “il fatto riportato dal quotidiano Cronache del Mezzogiorno, con fonte in un comunicato della polizia giudiziaria, è rimasto provato in quanto non contestato»;

aggiunge -riportando ampi stralci dell’atto di citazione introduttivo del giudizio- di avere sempre affermato la non corrispondenza al vero dei fatti narrati dal giornale;

il terzo motivo denuncia «violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. in quanto la decisione [è] fondata su documenti non presenti nel giudizio, in relazione all’art. 360 n. 3 – Motivazione solo apparente, anche in violazione dell’art. 132 c.p.c. e nullità della sentenza in relazione al vizio di cui all’art. 360 n. 4», evidenziando che non vi è traccia in atti del documento (il comunicato della polizia giudiziaria) che la Corte ha indicato come fonte della notizia;

col quarto motivo, viene dedotto l’«omesso esame circa la portata diffamatoria per il mancato rispetto dei requisiti per esercitare il diritto di cronaca, decisivo per la risoluzione della controversia, in relazione all’art. 360, n. 3, per violazione dell’art. 112, e n. 5»;

il ricorrente lamenta che l’utilizzo dei termini “bulletto”, “inqualificabile” e “atti osceni” descriveva al lettore il (OMISSIS) come «un “bulletto” che “importuna le persone” e si “esibisce” in atti osceni in luogo pubblico», con ciò riportando un fatto «assolutamente falso […] come realmente accaduto mediante l’uso di espressioni obiettivamente travalicanti il diritto di cronaca»;

aggiunge di aver prodotto copia di decisioni – emesse, per gli stessi fatti, nei confronti di altre testate giornalistiche – che avevano accolto la domanda risarcitoria del (OMISSIS);

il quinto motivo censura, sotto il profilo della violazione e della non corretta applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., la ritenuta insussistenza della prova dei danni;

il ricorrente assume che, «se pure il danno non dovesse ritenersi in re ipsa, è evidente che l’onere a carico del danneggiato debba essere assolto, in caso di diffamazione a mezzo stampa, soprattutto per presunzioni, allegando, come è stato fatto, la potenzialità lesiva del testo in relazione alla personalità dell’attore e a tutte le circostanze dedotte»;

i primi tre motivi -che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tutti vertenti sulla non veridicità della notizia di stampa- risultano fondati, in quanto: la Corte ha erroneamente posto a carico dell’attore l’onere di provare che i fatti narrati non rispondevano al vero, così invertendo la regola probatoria secondo cui «la responsabilità del giornalista per lesione dell’altrui onore o reputazione è esclusa dal legittimo esercizio del diritto di cronaca e tale esercizio è legittimo sia quando il giornalista riferisce fatti veri, sia quando riferisce fatti che apparivano veri al momento in cui furono riferiti (in virtù del principio della c.d. verità putativa).

Ne consegue che al giornalista, convenuto nel giudizio di risarcimento del danno da diffamazione, per andare esente da responsabilità basta dimostrare non la verità storica dei fatti narrati, ma anche soltanto la loro verosimiglianza;

fornita tale prova, è onere di chi afferma di essere stato diffamato dimostrare che la fonte da cui il giornalista ha tratto la notizia, al momento in cui questa venne diffusa, non poteva ritenersi attendibile» (Cass. n. 9458/2013);

più specificamente, in punto di verità della notizia, deve ritenersi che, vertendosi in ambito di responsabilità aquiliana, la distribuzione degli oneri probatori resti disciplinata dall’art. 2697 c.c., cosicché l’attore che assume di essere stato leso da una notizia di stampa deve provare il fatto della pubblicazione di una notizia di natura diffamatoria e, a fronte di ciò, spetta al convenuto dimostrare, a fondamento dell’eccezione di esercizio del diritto di cronaca (e della sussistenza della relativa esimente), la verità della notizia, che può atteggiarsi anche in termini di verità putativa, laddove sussista verosimiglianza dei fatti in relazione all’attendibilità della fonte, nel qual caso competerà all’attore l’eventuale dimostrazione della non attendibilità della fonte medesima;

nel caso di specie, a fronte di una pubblicazione di contenuto obiettivamente idoneo a ledere la reputazione del (OMISSIS), il convenuto avrebbe dovuto dimostrare almeno la verità putativa dei fatti riferiti, sulla base della attendibilità della fonte: rispetto a ciò, tuttavia, la sentenza si limita a indicare come fonte un comunicato della polizia giudiziaria, senza dare conto dell’esatto contenuto di tale documento al fine di consentire di apprezzare se sussistesse il requisito della verità (assoluta o putativa) in relazione ad ogni profilo della notizia (segnatamente in relazione al fatto degli atti osceni in luogo pubblico, che il ricorrente esclude categoricamente);

la Corte ha invece ritenuto sufficiente a provare la verità del fatto storico la circostanza che lo stesso non fosse stato contestato dal (OMISSIS), incorrendo tuttavia in un duplice errore, atteso che: ha ritenuto non contestati i fatti pur a fronte dell’espresso rilievo che l’attore aveva contestato l’articolo (rilievo corroborato, in ricorso, dai passaggi dell’atto di citazione che denunciano a più riprese la non corrispondenza al vero dei fatti narrati); ha applicato impropriamente all’attore il meccanismo probatorio della non contestazione, che (per come delineato dall’art. 115, 1° co. c.p.c.) è strutturalmente riferito alla posizione assunta dal convenuto ed è finalizzato ad individuare “i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”, che non abbisognano di ulteriore prova da parte dell’attore;

i primi tre motivi debbono pertanto essere accolti, con cassazione della sentenza e rinvio alla Corte territoriale che dovrà accertare se sia stata fornita (in relazione all’intero contenuto della notizia di stampa) la prova della verità dei fatti, ancorché putativa ove basata su fonte attendibile;

il quarto motivo (attinente alla continenza espositiva, da valutare anche in relazione alla natura dei fatti che dovessero risultare accertati come veri o verosimili) resta assorbito;

egualmente assorbito rimane il quinto motivo, giacché ogni valutazione sul quantum (e sulla possibilità di ritenere accertato il danno in via presuntiva) presuppone che venga accertato l’an debeatur;

la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi, dichiarando assorbiti gli altri;

cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Salerno, in diversa composizione.

Roma, 10/02/2022.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.