Diffamazione: se c’è la provocazione, non è reato (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 11 giugno 2020, n. 17958).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere –

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –

Dott. SCORDAMIGLIA Irene – Consigliere –

Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto dalla parte civile:

PUDDU CRISTINA nata a UDINE il 08/12/1964;

nel procedimento a carico di:

CIANCI ROBERTO nato a UDINE il 23/12/1964;

avverso la sentenza del 05/02/2019 del TRIBUNALE di UDINE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Elisabetta Maria Morosini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Luigi Orsi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore della parte civile, avv. Lina Caputo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e depositando conclusioni scritte e nota spese;

udito il difensore dell’imputato, avv. Emanuela Vergine, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso della parte civile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Udine, investito dell’appello proposto dalla parte civile Puddu Cristina, ha confermato la sentenza con cui il giudice di pace aveva assolto Cianci Roberto dal reato di diffamazione, perché “non punibile per la ritenuta provocazione”.

Il fatto consisteva nell’avere l’imputato, di professione avvocato, inviato in data 28 marzo 2014 un fax all’avv. Federica Tosel – legale della Puddu che rivendicava nei confronti del primo il pagamento delle prestazioni rese dal proprio negozio dì lavanderia – del seguente tenore: “su quanto riferitole, v’è ben poco da replicare se non che tali vaneggiamenti si attagliano appieno alla veste lavorativa della Sua assistita”.

I giudici di merito hanno riconosciuto la valenza diffamatoria dello scritto, ma hanno ritenuto che il fatto fosse stato commesso nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.

Il fax dal contenuto diffamatorio era stato preceduto da un fax trasmesso in data 27 marzo 2014 dagli avvocati Federica Tosel e Alessandro Tosel, che, per conto della Puddu, contestavano al Cianci di aver in precedenza lanciato al volto della donna, per tacitarne le pretese, una banconota da 500 euro all’interno di un locale pubblico.

Questa accusa sarebbe ingiusta perché non veritiera, in quanto sarebbe stata Puddu Cristina a lanciare la banconota, ricevuta dal Cianci, al Cianci stesso e non viceversa, come dichiarato dai testimoni Zorzutti e Barba presenti all’episodio svoltosi all’interno del bar.

2. Avverso la pronuncia ricorre la parte civile Puddu Cristina, tramite il difensore e procuratore speciale, articolando un unico motivo con il quale denuncia violazione di legge.

Dopo aver premesso che il giudice di secondo grado, a differenza del giudice di pace, ravvisava il fatto ingiusto non in una condotta scomposta della persona offesa (lancio della banconota) bensì nell’invio di una missiva da parte dei legali di quest’ultima.

Sostiene la ricorrente che, su tali basi, difetterebbero i presupposti della esimente della provocazione, in quanto: – il fax trasmesso il 27 marzo 2014 dagli avvocati Federica Tosel e Alessandro Tosel all’avv. Cianci (collega e parte in causa) era misurato nei toni e nei contenuti; – esso non può integrare gli estremi del “fatto ingiusto” di cui all’art. 599 cod. pen., sì da giustificare la reazione scomposta del destinatario che, in replica ai propri colleghi, ha insultato la persona dagli stessi rappresentata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. È pacifico che non costituisce “fatto ingiusto” lo scambio di corrispondenza tra avvocati in relazione a una contesa. Il caso di specie però è diverso.

La missiva degli avvocati Tosel, recante in calce la firma della Puddu, è diretta all’avv. Cianci, che viene direttamente chiamato in causa essendo parte della controversia afferente il pagamento di prestazioni fornite in suo favore dal negozio di lavanderia della Puddu.

Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, insindacabile in questa sede, la missiva degli avvocati Tosel rivolge al Cianci un’accusa non rispondente al vero: quella di aver tenuto un comportamento censurabile ai danni della Puddu, quando invece era stato il Cianci a patire quella condotta per mano della Puddu.

Non è quindi la forma dell’atto a costituire fatto ingiusto, ma il contenuto della lettera di contestazione laddove attribuisce al Cianci un fatto deprecabile non commesso, ma subìto.

Con un apprezzamento in fatto, incensurabile nel giudizio di legittimità, il Tribunale ha ravvisato il carattere dell’ingiustizia obiettiva nelle “false accuse” di cui al fax del 27 marzo 2014 che hanno scatenato la reazione irosa del Cianci con il fax del 28 marzo, certamente diffamatorio, ma ritenuto non punibile ai sensi dell’art. 599 cod. pen.

Il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui «ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione occorrono:

a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”;

b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale;

c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta» (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894).

3. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 05/03/2020.

Depositato in Cancelleria l’11 giugno 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.