Differenza tra “sequestro di persona a scopo di estorsione” e “esercizio arbitrario delle proprie ragioni” (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 22 luglio 2021. n. 28639).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. MOROSINI Maria Elisabetta – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) BRUNO nato a (OMISSIS) (OMISSIS) il 08/05/19xx;

avverso l’ordinanza del 19/03/2021 del TRIB. LIBERTA’ di GENOVA;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa ALESSANDRINA TUDINO;

lette le conclusioni del PG, Dott.ssa KATE TASSONE, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, depositata il 22 marzo 2021, il Tribunale di Genova ha rigettato l’appello proposto avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari che aveva respinto l’istanza, con la quale era stato prospettato il decorso del termine di durata della misura cautelare della custodia in carcere – applicata a Bruno (OMISSIS) in riferimento ai reati di tentato sequestro di persona a scopo di estorsione e detenzione di arma clandestina in concorso, aggravati ai sensi dell’art. 61 n. 2 cod. pen. – per essere i fatti, invece, ascrivibili agli artt. 81, 56, 605 e 393 cod. pen..

Dal testo dell’ordinanza impugnata, risulta che i fatti, oggetto di provvisoria incolpazione, riguardano il tentativo di sequestro di Daniele (OMISSIS), attirato con la fraudolenta prospettazione di una commessa presso l’Hotel (OMISSIS) di (OMISSIS), dove ne era stata predisposta la segregazione, finalizzata al pagamento di un riscatto quale prezzo della liberazione, oltre alla detenzione di una pistola semiautomatica, calibro 9, clandestina, impugnata da uno degli agenti all’atto dell’intervento della polizia giudiziaria, che aveva scongiurato l’esecuzione dei programmati delitti.

2. Avverso l’ordinanza ricorre l’indagato per mezzo del difensore, Avv. Paolo (OMISSIS), articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..

Con unica censura, il ricorrente deduce violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. e vizio della motivazione in riferimento al rigetto della prospettata qualificazione giuridica dei fatti, in presenza di una mera azione intimidatoria, finalizzata all’adempimento di un debito pregresso, come risulta dalle modalità della convocazione della persona offesa; dalla documentata esistenza di un credito di cui era stata delegata l’esazione; dalla mancata predisposizione di un luogo atto a trattenere la persona offesa in prigionia; rilievi invece trascurati dal Tribunale, che si è limitato a ripercorrere la motivazione già emessa per il rigetto dell’istanza di riesame avanzata da altro indagato, senza indagine alcuna sul dolo specifico richiesto dall’art. 630 cod. pen., non risultando dagli elementi in atti un accordo finalizzato al rilascio previo pagamento di un riscatto, né all’ottenimento di un compenso.

3. Con requisitoria scritta ex art. 23 d.l. n. 137 del 21 dicembre 2020, il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. Sono inammissibilmente formulate e, comunque, manifestamente infondate le censure articolate nel ricorso in relazione alla qualificazione del fatto sub a).

1.1. Già sotto il profilo dell’interesse all’impugnazione, il ricorso si connota di assoluta genericità, non rappresentando il ricorrente quale concreta utilità consegua alla richiesta qualificazione giuridica (Sez. 6, n. 10941 del 15/02/2017, Leocata, Rv. 269783), evincibile solo indirettamente dalla lettura del provvedimento impugnato.

1.2. Nel resto, il ricorso – che formula la doglianza evocando espressamente l’art. 606, lett. E), cod. proc. pen. – si risolve nella mera critica dell’ordinanza impugnata, con la cui ampia motivazione il ricorrente omette di confrontarsi (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).

Va premesso come, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari sia ammissibile soltanto ove denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, dep. 2017, Di Iasi, Rv. 269884).

Il sindacato sui presupposti cautelari consente alla Corte solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e delle esigenze di cautela a carico dell’indagato e di verificare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (sez. 4, n. 26992 del 29.5.2013, Tiana, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6.7.2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475); ed è stato ulteriormente affermato come la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva sia censurabile in sede di legittimità solo ove carente dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo ed altro, Rv. 265244).

Spetta, dunque, a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato rispetto alla qualificazione giuridica dei fatti, scrutinando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indiziari rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze investigative (Sez. U, n.11 de122/03/2000, Audino, Rv. 215828).

Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indiziari o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.

In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese siano congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato, alla stregua dei parametri, giustapposti, dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda il provvedimento e dell’assenza di illogicità evidenti, risultanti prima facie dal testo del provvedimento impugnato.

2. Così delineato l’ambito del sindacato devoluto alla Corte nella presente fase, le doglianze con le quali si contesta la gravità indiziaria in riferimento alla provvisoria contestazione sub a) evidenziano molteplici profili di inammissibilità.

2.1. Va, innanzitutto, rilevato come il ricorso prospetti il vizio di cui all’art. 606 lett. e) in riferimento alla valutazione di gravità indiziaria in ordine al reato di tentato sequestro di persona a scopo di estorsione che, come tale, non è deducibile con il ricorso di legittimità in materia cautelare, potendo devolversi al sindacato della Corte di cassazione solo il difetto assoluto di motivazione, sub specie di violazione di legge in riferimento all’art. 125 cod. proc. pen..

Ed in tale prospettiva – solo formalmente evocata nel ricorso – il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza emessa in sede di appello in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 2, n.56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251761).

2.2. Quanto alle censure rivolte alla definizione giuridica del fatto, il ricorso deduce l’omessa disamina di argomentazioni difensive — solo accennate nel ricorso, senza trarne alcuna implicazione giuridica – omettendo di confrontarsi con l’ordinanza impugnata che, nel confermare la sussistenza dei gravi indizi del reato oggetto di contestazione, ha ampiamente analizzato le allegazioni difensive, ritenendole del tutto irrilevanti ai fini della diversa qualificazione prospettata.

Oltre ad aver dato atto della pretestuosa convocazione del (OMISSIS) presso l’Hotel “(OMISSIS)”, nonché della predisposizione di una stanza per la prigionia, come peraltro reso evidente dai reperti sequestrati e dalle azioni coordinate dei coindagati apprezzate dagli operanti all’atto dell’irruzione (punti nn. 1 e 3 del ricorso), in tal modo giustificando l’idoneità e la inequivocità degli atti alla segregazione del (OMISSIS), sotto il profilo soggettivo il Tribunale ha rappresentato la finalizzazione della condotta al versamento di somme, alle quali sarebbe stato, peraltro, obbligato il socio della persona offesa, facendo corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte.

2.3. Alla luce della complessiva ricostruzione sistematica resa da questa Corte, nella sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027), il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione si distingue da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona, posto in essere in concorso con il sequestro di persona, non già in base alla intensità della violenza o della minaccia che connota la condotta, bensì in ragione del fine perseguito dal suo autore che, nel primo caso, è volta al conseguimento di un profitto ingiusto, e, nell’altro, alla realizzazione, con modi arbitrari, di una pretesa giuridicamente azionabile.

Nella delineata prospettiva, è configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando ad un’iniziale pretesa di adempimento di un credito, effettuata con minaccia o violenza nei riguardi del debitore, seguano ulteriori violenze e minacce di terzi estranei verso soggetti diversi dal debitore, sicché l’iniziale pretesa arbitraria si trasforma in richiesta estorsiva, sia a causa delle modalità e della diversità dei soggetti autori delle violenze, che per l’estraneità dei soggetti minacciati alla pretesa azionata (Sez. 2, n. 5092 del 20/12/2017, dep. 2018, Gatto, Rv. 272017).

Nel delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, infine, l’ingiusto profitto cui deve essere finalizzata la condotta dell’agente si identifica in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale, che costituisca un vantaggio per il soggetto attivo del reato o per il terzo nel cui interesse egli abbia agito, rimanendo irrilevante, nel caso di concorso di persone nel reato, che lo scopo perseguito, ancorché comunque tipico, non sia identico per tutti i correi (Sez. 5, n. 8352 del 13/01/2016, Halilav, Rv. 266066), in quanto risponde di concorso ex art. 110 cod. pen. in un reato a dolo specifico anche il soggetto che apporti un contributo che non sia soggettivamente animato dalla particolare finalità richiesta dalla norma incriminatrice, a condizione che almeno uno degli altri concorrenti, non necessariamente l’esecutore materiale, agisca con tale intenzione e che della stessa il primo sia consapevole (Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954).

2.4. Con alcuno dei predetti tratti differenziali il ricorrente si confronta, finendo per postulare, del tutto assertivamente, l’esistenza di un credito di cui non circostanzia la natura, il titolo, le parti obbligate.

In ogni caso, anche l’esistenza di un debito, riconducibile ad un soggetto obbligato diverso da quello sul quale è ricaduta l’azione antigiuridica preclude, in radice, la plausibilità della diversa qualificazione del fatto nei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona, in concorso con il tentativo di sequestro di persona.

Va, pertanto, qui riaffermato come è configurabile il delitto di sequestro a scopo di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in concorso con il reato di cui all’art. 605 cod. pen., quando la pretesa di adempimento di un credito sia effettuata con minaccia o violenza non nei riguardi del debitore, bensì di un terzo, ed a tale condotta seguano ulteriori violenze e minacce di terzi estranei verso soggetti diversi dal debitore, sicché la pretesa arbitraria si trasforma in richiesta estorsiva, sia a causa delle modalità e della diversità dei soggetti autori delle violenze, che per l’estraneità dei soggetti minacciati alla pretesa azionata.

Di guisa che dal testo dell’ordinanza impugnata non è dato ravvisare alcuna disarticolazione del ragionamento probatorio, con il quale il ricorrente omette di confrontarsi (Sez. un. n.8825 del 27/10/2016 – dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822), proponendo una lettura frammentaria delle prove e sostanzialmente richiedendo, in questa sede, una inammissibile rivalutazione dei fatti e dei dati dimostrativi (ex multis Sez. 5, n.51604 del 19/09/2017, D’Ippedico, Rv. 271623).

3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima equo determinare in Euro 3.000, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro Tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 25/05/201.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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