Dipendente ministeriale beccato fuori dall’ufficio e ritrovato a giocare con una videolottery: condannato per truffa (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 13 giugno 2022, n. 22946).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

Dott. BELTRANI Sergio – Rel. Consigliere –

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) CLAUDIO nato a TARANTO il 12/10/1960;

avverso la sentenza del 27/11/2020 della CORTE di APPELLO di LECCE, sez. TARANTO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa DELIA CARDIA, che ha concluso per il rigetto del ricorso, riportandosi alle conclusioni scritte già prodotte e trasmesse alla difesa;

udito, per l’imputato, l’avv. RICCARDO (OMISSIS), che si è riportato ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Claudio (OMISSIS) ricorre contro la sentenza indicata in epigrafe (con la quale la Corte di appello di Lecce, sez. Taranto, ha confermato la dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di truffa aggravata ascritto all’imputato, rideterminando in termini più favorevoli la pena per effetto del riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen. con giudizio di equivalenza alle circostanze aggravanti concorrenti), deducendo i motivi che saranno di seguito riepilogati nei limiti strettamente necessari per la redazione della motivazione (art. 173, comma 1, disp att. cod. proc. pen.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, presentato per motivi in parte non consentiti, in parte privi della specificità necessaria, ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., perché meramente reiterativi di doglianze già correttamente disattese dalla Corte di appello, con argomentazioni con le quali il ricorrente in concreto non si confronta, è inammissibile.

1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di leggi e vizi di motivazione quanto alla qualificazione giuridica dei fatti contestati ed accertati in riferimento all’art. 429, comma 2, cod. proc. pen. (la contestazione non indicherebbe «quali reati dovevano essere ritenuti in continuazione, limitandosi ad affermare “in più occasioni”», né il danno arrecato – per carenza della prova della remunerazione dell’imputato – ed il profitto procuratosi), che afferma avere eccepito in udienza preliminare.

1.1. Il motivo non è consentito, essendo pacifico che l’eccezione non è stata formulata nel corso del giudizio di primo grado.

1.1.1. Questa Corte (Sez. 3, n. 19649 del 27/02/2019, Si., Rv. 275749 – 01) ha già chiarito che la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza e genericità dell’imputazione ha natura relativa e, in quanto tale, è non rilevabile d’ufficio e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 491 cod. proc. pen. La Corte di appello si è, quindi, correttamente conformata a questo orientamento.

1.1.2. Non attinente alla fattispecie dedotta è, al contrario, il precedente citato dalla difesa (Sez. 6, n. 9659 del 03/02/2015, Sarno, Rv. 262500 – 01), riguardante un caso di omessa enunciazione del fatto in relazione alla condotta tipica del reato (fattispecie in cui è stata annullata senza rinvio la sentenza di condanna, emessa nell’ambito di giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, quale conseguenza della nullità della richiesta di rinvio a giudizio per omessa indicazione dei fatti storici rispetto ai quali era stata promossa l’azione penale).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 81 cod. pen. (per essere stati accertati episodi riferibili a due sole mensilità).

2.1. Il motivo, dedotto per la prima volta in questa sede, ma non anche in appello, pur essendo in ipotesi già deducibile, non è consentito.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 131-bis cod. pen., per il diniego della relativa causa di non punibilità.

3.1. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 62-bis cod. pen., per il diniego delle circostanze attenuanti generiche.

3.2. Entrambi i motivi reiterano doglianze già correttamente disattese dalla Corte di appello, con argomentazioni con le quali la ricorrente in concreto non si confronta.

3.2.1. Accogliendo l’orientamento più favorevole al ricorrente, la Corte di appello ha ritenuto la continuazione di reati non ostativa di per sé al riconoscimento della sollecitata causa di non punibilità, rilevando, peraltro, con riferimento al caso concreto, che la “sistematica ripetizione continuativa della stessa condotta in un arco di tempo assai breve, vieppiù per soddisfare un’esigenza assolutamente voluttuaria, come quelle di recarsi in una video lottery, tenuto conto del danno in ogni caso prodotto all’amministrazione” evidenziava la particolare gravità delle condotte accertate, poste in essere da Claudio (OMISSIS) in assoluto disprezzo per il rispetto dei propri doveri funzionai.

3.2.2. Sempre valorizzando la premessa gravità dei fatti accertati, in assenza di elementi decisivamente sintomatici, in senso contrario, della necessaria meritevolezza, la Corte di appello ha anche negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, peraltro, nel complesso, pervenendo all’irrogazione di una pena estremamente mite, perché ben lontana dai possibili limiti edittali massimi, ed anzi prossima a quelli minimi.

4. In considerazione della declaratoria d’inammissibilità totale del ricorso, il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali oltre che – apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando le cause dell’inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) -, di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende che, tenuto conto della significativa entità della predetta colpa, appare equo quantificare nella somma di euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 10/03/2022.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.