Diritto bancario. In che sede può essere avanzata la domanda risarcitoria da “esecuzione illegittima”? (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 8 settembre 2022, n. 26438)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al nr. R.G. 6259-2020 proposto da:

(OMISSIS) GAIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) n. 2/B, presso lo studio dell’avvocato CORRADO (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

-ricorrente-

contro

TREVI FINANCE 3 SRL, volontariamente rappresentata dalla mandataria UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) 39, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

nonché

UNICREDIT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) 39, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

-controricorrenti-

nonché contro

DO VALUE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) 108, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 6600/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/05/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2009 Gaia (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Roma:

-) la Unicredit s.p.a.;

-) la Trevi Finance 3 s.r.l.;

-) la Unicredit Credit Management Bank s.p.a.,

chiedendone la condanna al risarcimento del danno.

2. A fondamento della pretesa espose che:

-) era debitrice della Banca di Roma s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale dapprima in Capitalia s.p.a., e quindi in Unicredit s.p.a.);

-) il credito vantato in origine dalla Banca di Roma era stato da questa ceduto alla Trevi Finance n. 3 s.r.l.; quest’ultima aveva conferito mandato per l’incasso alla Capitalia s.p.a., e questa a sua volta aveva “affidato le operazioni di incasso” dapprima alla Capitalia Service J.V. s.r.l., e quindi ad altra società, la UGC Banca s.p.a., che in seguito muterà ragione sociale dapprima in Unicredit Credit Management s.p.a., e quindi in DoBank s.p.a. (oggi doValue s.p.a.);

-) la Banca di Roma (poi Capitalia) per l’esazione dei propri crediti iniziò due distinte esecuzioni forzate, nella forma dell’espropriazione immobiliare, la prima nel 1993, la seconda dieci anni dopo;

-) in questa seconda procedura esecutiva intervennero dapprima la Capitalia Service J.V. s.r.l., quale mandataria di Unicredit s.p.a.; e poi la Trevi Finance 3 s.r.l., vantando crediti taluni dei quali erano insussistenti, mentre altri non erano che la duplicazione dei crediti vantati a suo tempo dalla Banca di Roma, e poi ceduti alla Trevi Finance;

-) la condotta delle tre società convenute era illecita perché esse avevano abusato dei propri diritti, iniziando l’esecuzione, coltivandola od intervenendovi per crediti inesistenti o duplicati;

-) tale condotta illecita aveva causato all’attrice danni patrimoniali e non patrimoniali: i primi erano consistiti nella vanificazione di un accordo in itinere con terze parti, recedute dall’affare supponendo che l’esposizione debitoria di Gaia (OMISSIS) verso le banche fosse maggiore di quella effettiva; i secondi nel turbamento provocato dalla condotta delle convenute.

3. Infine, l’attrice dedusse che la Unicredit aveva segnalato alla Centrale Rischi una esposizione debitoria della odierna ricorrente quasi doppia rispetto a quella effettiva, causandole anche per tal via ulteriori danni all’immagine commerciale.

4. Si costituirono tutte e tre le convenute, negando sia l’esistenza dell’illecito, sia quella del danno.

5. Il Tribunale di Roma con sentenza 12 marzo 2014 n. 5879 rigettò la domanda, ritenendo insussistente il nesso di causa fra la condotta delle convenute ed i danni lamentati dall’attrice.

Osservò, in particolare, che in caso di cessione del credito la circostanza che il cedente ed il cessionario coltivino congiuntamente l’esecuzione iniziata dal primo è tanto improduttiva di danno per il debitore, quanto inidonea a trarre in inganno eventuali controparti in affari di quest’ultimo.

Infine, il Tribunale ritenne che la segnalazione alla Centrale Rischi da parte della Capitalia fu legittima e comunque anch’essa inidonea a provocare un danno alla debitrice.

6. La sentenza venne appellata dalla parte soccombente.

La Corte d’appello di Roma con sentenza 31 ottobre 2019 n. 6600 dichiarò inammissibile il gravame, ai sensi dell’articolo 342 c.p.c..

Ritenne la Corte capitolina che l’atto d’appello si era limitato a reiterare le deduzioni già svolte in primo grado, senza sottoporre “ad uno specifico vaglio critico i passaggi motivazionali” su cui era fondata la sentenza di primo grado.

7. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Gaia (OMISSIS) con ricorso fondato su undici motivi ed illustrato da memoria.

Hanno resistito con controricorso la Trevi Finance 3 s.r.l. (per il tramite della propria mandataria Unicredit s.p.a.), la Unicredit s.p.a. e la doValue s.p.a..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi otto motivi la ricorrente censura, sotto vari aspetti, la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto inammissibile per aspecificità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., i motivi d’appello intesi a censurare la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto non illegittime, né foriere di danni, le condotte tenute dalle società convenute e consistite nell’iniziare, e poi nel coltivare, l’espropriazione forzata in suo danno.

1.1. E’ superfluo dar conto dello specifico contenuto di tali doglianze, in quanto sul punto la sentenza d’appello va cassata senza rinvio, perché la domanda non poteva essere proposta, né il giudizio proseguito.

1.2. Gaia (OMISSIS), infatti, in primo grado ha domandato – tra l’altro – una condanna delle società convenute per avere tenuto una condotta illecita, consistita in ciò: avere iniziato una procedura esecutiva, ed averla coltivata, senza la ordinaria diligenza. Si tratta, dunque, della condotta espressamente prevista dall’art. 96, secondo comma, c.p.c..

1.3. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 25478 del 21/09/2021, componendo i precedenti contrasti hanno stabilito che la domanda di risarcimento del danno da “esecuzione illegittima” va proposta dinanzi al giudice dell’opposizione all’esecuzione, e ne è consentita l’introduzione in un autonomo giudizio solo quando sia impossibile, per ragioni di fatto o di diritto, introdurre la domanda risarcitoria in quella sede.

1.4. Nel caso oggi in esame, come anticipato, la domanda proposta dall’attrice in primo grado, nella parte in cui ascriveva alle tre società convenute di avere coltivato illegittimamente l’esecuzione, ovvero di essere intervenute in essa senza titolo, era una domanda chiaramente volta a far valere una responsabilità aggravata ex articolo 96, secondo comma, c.p.c..

Quella domanda dunque non poteva essere proposta in un autonomo giudizio, ma doveva essere fatta valere in sede di opposizione all’esecuzione.

Né risulta mai dedotta dall’odierna ricorrente una ragione di impossibilità giuridica o di fatto, ostativa alla proponibilità della domanda di danno nella suddetta sede.

1.4. Ne consegue che, poiché la domanda di cui si discorre non poteva essere proposta in un autonomo giudizio, in applicazione del principio stabilito dalle Sezioni Unite nella decisione sopra ricordata, la sentenza d’appello va cassata senza rinvio sulla questione della responsabilità per illegittimi od abusivi inizio e prosecuzione dell’esecuzione forzata, ferme restando le restanti parti.

3. Col nono motivo la ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto “inammissibile per genericità”, ex articolo 342 c.p.c., il motivo d’appello concernente il rigetto della domanda di risarcimento del danno per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi.

Deduce la ricorrente che il suddetto motivo d’appello era sufficientemente specifico, in quanto in esso si era sostenuto, da un lato, che non fu conforme a correttezza e buona fede, da parte della banca creditrice, effettuare una segnalazione alla Centrale Rischi a distanza di dodici anni dall’insorgenza del debito; e dall’altro che la sofferenza reale era pari alla metà di quella segnalata dalla banca alla Centrale Rischi, e che il segnalare alla Centrale Rischi una sofferenza “pari al doppio del reale è comunque fonte di discredito, e quindi di danni”.

3.1. Il motivo è infondato, per quanto la motivazione della sentenza impugnata debba essere integrata.

3.2. In primo grado, infatti, il Tribunale accertò che la Unicredit (banca creditrice) segnalò nel 2007 alla Centrale Rischi un debito di Gaia (OMISSIS) per 2,5 milioni di euro, nonostante l’esposizione debitoria – sorta nel 1995 – fosse pari soltanto a 1,6 milioni di euro.

Aggiunse tuttavia il Tribunale:

-) quanto alla data della segnalazione, che era facoltà della banca creditrice provvedervi anche dopo l’insorgenza del debito;

-) quanto all’importo della segnalazione, che lo scarto tra debito reale e debito segnalato alla Centrale Rischi era di per sé inidoneo ad arrecare danni ad un soggetto non imprenditore, in quanto “nel sentimento comune dire che un soggetto è debitore per 1,5 milioni, ovvero per 2,5 milioni, non costituisce significativo aumento del discredito”.

3.3. Il Tribunale, dunque, ritenne insussistente il fatto illecito sia per mancanza dell’illiceità della condotta, sia per la mancanza di nesso causale tra essa e il preteso danno.

Tale statuizione venne impugnata da Gaia (OMISSIS), per quanto riferito nel ricorso, con le seguenti parole:

-) una segnalazione “realizzata dodici anni dopo l’insorgere del debito (…) non risponde ai canoni della correttezza e buona fede”;

-) “un ‘iscrizione per un credito indicato in una misura pari al doppio del reale è comunque fonte di discredito, e quindi di danni”.

3.4. L’appellante, pertanto, con la propria impugnazione contrappose all’affermazione del Tribunale (“la segnalazione alla Centrale Rischi di un importo eccedente quello reale non crea discredito, quando il debito sia comunque elevato”) una affermazione opposta (“la tardiva segnalazione alla Centrale Rischi di un debito in misura eccedente quella reale costituisce di per sé un danno per il debitore”).

Una impugnazione così concepita correttamente fu ritenuta dalla Corte d’appello inammissibile ex art. 342 c.p.c., in quanto essa consisteva in una mera petitio principii, che si limitava a negare il giudizio compiuto dal Tribunale contrapponendovi un giudizio opposto, ma senza illustrarne le ragioni.

3.4.1. In ogni caso – lo si rileva ad abundantiam – con il passo dell’atto d’appello sopra richiamato Gaia (OMISSIS) mostrò di ritenere che, provata l’illiceità della condotta, resti di per sé provata l’esistenza del danno.

Una simile concezione del fatto illecito è stata tuttavia da tempo ripudiata da questa Corte, dal momento che non esistono danni in re ipsa, e che la lesione d’un diritto è il presupposto del danno, ma non il danno.

Pertanto chi invoca il risarcimento del danno aquiliano ha l’onere di allegare e provare non solo la lesione del diritto, ma anche il pregiudizio che ne sia derivato.

Nel caso di specie, però, l’appello proposto da Gaia (OMISSIS) avverso il capo di sentenza reiettivo della domanda fondata sulla asserita illegittimità della segnalazione di sofferenza alla Centrale Rischi trascurò di esporre se, come e perché quella sola segnalazione ebbe l’effetto di causare o concausare il danno di cui chiedeva il ristoro.

Allegazione necessaria, in quanto per accogliere una domanda di danno non è sufficiente allegare la lesione d’un diritto, ma è necessario almeno esporre quale concreto pregiudizio sia derivato da quella lesione.

Sicché, se quel motivo d’appello fosse stato esaminato nel merito, non avrebbe potuto avere nemmeno in questo caso miglior sorte che l’inammissibilità, a causa del difetto di esposizione delle ragioni per le quali la censura con esso proposta doveva ritenersi “decisiva”.

4. Col decimo motivo la ricorrente lamenta il vizio di omessa pronuncia.

Sostiene che la Corte d’appello ha trascurato di esaminare la domanda, proposta in primo grado e non esaminata dal Tribunale, con cui invocava l’illegittimità della notifica e della trascrizione del pignoramento eseguito dalla Capitalia nel 2003.

4.1. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, infatti, il vizio di omessa pronuncia su una questione di merito non è nemmeno concepibile, allorché il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile il gravame ai sensi dell’articolo 342 c.p.c..

In ogni caso qualsiasi vizio della notifica del pignoramento o della trascrizione di esso non può che essere fatta valere attraverso gli strumenti della opposizione agli atti.

5. Anche con l’undicesimo motivo la ricorrente prospetta il vizio di omessa pronuncia.

Deduce di avere formulato, in via subordinata al rigetto della domanda di risarcimento del danno per lucro cessante, una domanda di risarcimento del danno per perdita di chances, sulla quale la Corte d’appello omise di pronunciarsi.

5.1. Il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni.

In primo luogo è inammissibile perché la domanda di risarcimento del danno da perdita di chances non risulta essere stata formulata in primo grado, né la ricorrente chiarisce nel proprio ricorso se e in quali termini tale domanda venne formulata in primo grado. Tale omissione comporta, giusta la previsione di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c., l’inammissibilità del motivo.

In secondo luogo il motivo è inammissibile perché anche in questo caso la ritenuta inammissibilità del gravame esonerava la Corte d’appello dal dovere esaminare il merito delle censure con esso proposte..

6. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo, tenuto conto della circostanza che Unicredit s.p.a. e Trevi Finance 3 hanno depositato controricorsi in larga parte coincidenti, e redatti dal medesimo difensore.

P.q.m.

(-) cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle questioni investite dai motivi di ricorso dal primo all’ottavo, in quanto vertenti su domanda che non poteva essere proposta, ferme restando le restanti statuizioni, ivi comprese quelle sulle spese;

(-) rigetta il nono motivo di ricorso;

(-) dichiara inammissibili il decimo e l’undicesimo ricorso;

(-) condanna Gaia (OMISSIS) alla rifusione in favore della società Trevi Finance n. 3 s.r.l., come in epigrafe rappresentata, e della società Unicredit s.p.a., in solido, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 6.400, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

(-) condanna Gaia (OMISSIS) alla rifusione in favore della società doValue s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 5.600, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 4 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria, il giorno 8 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.