Disconoscimento di paternità: la non contestazione può salvare dalla decadenza dell’azione.

(Corte di Cassazione Civile, sez. I, sentenza 30 giugno 2016, n. 13436)

SENTENZA

 

sul ricorso 21825-2015 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso l’avvocato SIMONA BASTONI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI LIBERTI, giusta procura a margine del ricorso: – ricorrente –

contro

L.L., nella qualità di Curatore speciale della minore G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso l’avvocato VITO NANNA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA VIOLANTE, giusta procura a margine del controricorso; – controricorrente –

contro

LA.VI.; – intimata –

avverso la sentenza n. 179/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 12/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/06/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato LIBERTI LUIGI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato VIOLANTE UMBERTO, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Bari con sentenza del 12 febbraio 2015 ha respinto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale della stessa città del 10 ottobre 2013, con la quale è stata dichiarata inammissibile l’azione di disconoscimento di paternità, proposta da G.A. nei confronti di La.Vi. e della minore G.R..

La corte territoriale ha confermato il giudizio di tardività dell’azione, non avendo l’attore provato di averla intrapresa entro un anno dalla scoperta dell’adulterio della moglie: infatti, egli ha affermato, nell’atto di citazione, che solo “recentemente la convenuta ha confessato l’attore di aver concepito la minore con un altro uomo”, ma non è possibile fissare tale data al momento della valutazione di compatibilità genetica dell’8 novembre 2011, in quanto l’attore ha utilizzato la medesima espressione anche nell’istanza di nomina di un curatore speciale alla minore presentata il 20 dicembre 2011, e la notifica dell’atto di citazione è avvenuta il 16 luglio 2012.

Correttamente, inoltre, il tribunale ha disatteso l’istanza di rimessione in termini allo scopo di offrire tale prova, istanza fondata sull’assunto che il dato non era stato contestato sino all’eccezione sollevata al riguardo dal curatore speciale, posto che l’onere della relativa prova spetta all’attore indipendentemente da qualunque eccezione, nè al riguardo vi è alcun obbligo di un’indagine d’ufficio. Infine, ha dichiarato assorbito il motivo vertente su “ulteriori conferme documentali”.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso il soccombente, affidato a sei motivi, cui ha resistito con controricorso il curatore speciale della minore.

Fissata l’adunanza in camera di consiglio e depositata la relazione, nonchè la memoria dal ricorrente, con ordinanza interlocutoria del 17 febbraio 2016, la Sottosezione Sesta, presso cui la causa era stata incardinata, ha rimesso la medesima alla pubblica udienza.

Motivi della decisione

1. – Il ricorrente propone sei motivi di ricorso, che possono essere come segue riassunti:

1) violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, e art. 111 Cost., comma 6, per avere la corte del merito reso una motivazione solo apparente circa il momento cronologico esposto dall’attore con l’avverbio “recentemente”, laddove l’attore aveva ricollegato la confessione della moglie proprio al ritiro del test genetico;

2) omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti, posto che, nell’atto di citazione, l’avverbio predetto e la confessione erano stati collegati al momento di ricezione del certificato delle analisi in data 8 novembre 2011, fatto del tutto trascurato dalla sentenza impugnata;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 153 e 167 c.p.c., in quanto sia la madre, sia il curatore avevano contestato unicamente l’attendibilità della relazione del laboratorio, non la sua idoneità a porsi come fonte della conoscenza dell’adulterio, onde non erano più consentite contestazioni successive, come avvenuto solo all’udienza di precisazione delle conclusioni del 6 marzo 2013; in caso contrario, l’attore avrebbe almeno dovuto essere rimesso in termini per provare di non essere decaduto dall’azione;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. ed omessa motivazione su fatti decisivi discussi tra le parti, non avendo motivato circa l’indispensabilità di documenti prodotti in appello ed a ciò necessari, dunque non esaminati, essendosi la corte del merito limitata a ritenere assorbito il relativo motivo d’appello;

5) violazione dell’art. 345 c.p.c. ed omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti, posto che la moglie gli aveva inviato una lettera confessoria del 27 ottobre 2011, riferendosi alla non paternità del solo secondogenito, onde unicamente dalle analisi di laboratorio sul genoma il ricorrente poteva avere appreso della non paternità anche della primogenita, il successivo 8 novembre 2011: ma la corte del merito ha ignorato l’indispensabilità di quella lettera;

6) violazione e falsa applicazione dei principi di diritto circa le indagini probatorie d’ufficio anche in materia di diritti indisponibili, posto che il giudice avrebbe dovuto indagare d’ufficio il reale status.

2. – I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente per la loro intima connessione, sono fondati.

2.1. – Nella vicenda in esame, l’attore ha chiesto il disconoscimento di paternità indicando, in citazione, le due circostanze di avere ricevuto confessione dell’adulterio dalla moglie e di avere ricevuto le analisi genetiche, da cui risulta la non paternità rispetto alla figlia, in data 8 novembre 2011. L’atto di citazione è stato notificato il 16 luglio 2012.

A fronte di tale assunto, i convenuti non hanno contestato alcunchè circa la data di conoscenza esposta dall’attore, o su altro possibile dies a quo del termine precisa della effettiva discendenza genetica della minore.

Il processo, quindi, è proseguito sino all’udienza di precisazione delle conclusioni, durante la quale per la prima volta è stata dal curatore della minore sollevata la questione della decadenza dall’azione, senza che però da tale momento sia stato più permesso all’attore, sebbene egli anche in appello avesse insistito in tal senso, di provare la tempestività dell’azione proposta.

La sentenza impugnata, come sopra ricordato, ha ritenuto l’attore decaduto dalla domanda, perchè egli nell’atto di citazione ha dichiarato “che recentemente la convenuta ha confessato all’attore di aver concepito la minore con un altro uomo- e l’identica espressione è contenuta nell’istanza di nomina del curatore speciale alla minore, presentata il 20 dicembre 2011, laddove l’atto di citazione è stato notificato il 16 luglio 2012, onde non può avere rilievo la data indicata come quella di ritiro delle analisi genetiche dell’8 novembre 2011, invece indicata dall’attore come di scoperta della falsa paternità.

2.2. – Nell’azione di disconoscimento di paternità, a seguito delle pronunce della Corte costituzionale (Corte cost. 6 maggio 1985, n. 134), il termine annuale di decadenza dell’azione, di cui all’art. 244 c.c., nel testo anteriore al D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 18, decorre dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie.

Questa Corte (cfr. Cass. 26 giugno 2014, n. 14556) ha sancito il principio che la regola posta dall’art. 244 c.c., comma 2, novellato dal D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 18 predetto – secondo cui il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno, che decorre, nel caso in cui egli provi di aver ignorato l’adulterio della moglie al momento del concepimento, dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza si applica anche ai giudizi pendenti al momento dell’entrata in vigore della riforma.

La norma, peraltro, ha recepito un principio costituente ormai “diritto vivente” (sin da Cass. 30 maggio 2013, n. 13638).

Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la scoperta dell’adulterio commesso all’epoca del concepimento va intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto – non riducibile, perciò, a mera infatuazione, o a mera relazione sentimentale, o a mera frequentazione della moglie con un altro – rappresentato o da una e propria uomo vera relazione, o da un incontro idoneo a determinare il concepimento del figlio: il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione è correlato alla scoperta in maniera certa dell’adulterio (Cass. 26 giugno 2014, n. 14556; 23 aprile 2003, n. 6477).

In definitiva, anche nel giudizio in esame è onere dell’attore provare il momento in cui sia venuto a conoscenza dell’adulterio, quale fatto idoneo a generare, da parte della moglie, che si pone come dies a quo dell’azione di disconoscimento.

2.3. – E, però, al riguardo, vigono le usuali norme che regolano l’onere della prova, ivi compreso il principio di non contestazione.

Com’è noto, nel nostro ordinamento la non contestazione dei fatti allegati da controparte può assumere una duplice valenza ai fini della prova dei medesimi: in forza del principio previsto dall’art. 115 c.p.c., comma 1, la non contestazione specifica di un fatto dedotto è comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione del thema probandum; ove, invece, detto principio non possa operare, ad esempio in relazione ai fatti costitutivi dei diritti non disponibili, la mancata contestazione è comunque valutabile, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2.

In particolare, già l’art. 167 c.p.c., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti (cfr., e multis, Cass. 25 maggio 2004, n. 10031).

Pertanto, in materia di diritti indisponibili, come quelli implicati nella causa in esame, il principio di non contestazione, se non può operare ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’azione (in particolare, l’essere il disconoscendo figlio naturale del genitore), tuttavia resta efficace con riguardo al fatto assunto in citazione come rilevante ai fini della tempestività dell’azione medesima per non essere decorso il termine di decadenza.

Tale profilo, invero, integra un fatto mero l’episodio della vita che si pone quale momento iniziale della decorrenza del termine di decadenza – che ricade nell’ambito applicativo dell’art. 115 c.p.c..

Che non possa parlarsi tout court di “materia indisponibile” con riguardo a qualsiasi elemento oggetto di prova in giudizio, invero, è stato già chiarito da questa Corte, la quale ha precisato che, se è vero che l’azione di disconoscimento della paternità verte in materia di diritti indisponibili in relazione ai quali non è ammesso alcun tipo di negoziazione o di rinunzia, nondimeno “l’indagine sull’epoca della conoscenza dell’adulterio, ai fini della prova della tempestività dell’azione di disconoscimento della paternità fondata sull’adulterio della moglie, inerisce a un dato cronologico ed oggettivamente neutro che va autonomamente provato con ogni mezzo di prova consentito dall’ordinamento, quale evento condizionante l’ammissibilità dell’azione e quindi estraneo alla materia attinente allo status” (così, in motivazione, Cass. 26 giugno 2014, n. 14556).

Inoltre, si è già chiarito che, in tema di azione di disconoscimento di paternità, trova applicazione, ai fini dell’individuazione del thema probandum, il principio di non contestazione, dovendosi ritenere tale condotta idonea ad escludere, in via immediata, i fatti non contestati dal novero di quelli bisognosi di prova, anche se “l’effetto della non contestazione non può essere lo stesso che essa produce in presenza di situazioni giuridiche di cui le parti possono liberamente disporre: l’interesse pubblico che sta alla base dell’indisponibilità della situazione giuridica dedotta in giudizio, se da un lato non impedisce al giudice di avvalersi di tutti gli elementi e degli argomenti di prova di cui dispone ai fini dell’accertamento dei fatti, ivi compresi quelli desumibili dalla condotta processuale delle parti, dall’altro però esclude che egli possa ritenersi vincolato a ritenere sussistenti o insussistenti determinati fatti in virtù di dichiarazioni o ammissioni delle stesse, la cui valutazione resta pertanto devoluta al suo prudente apprezzamento” (Cass. 11 giugno 2014, n. 13217).

Ciò conduce al parziale superamento di un orientamento meno recente, secondo cui “l’attore deve dare la prova che l’azione è stata promossa entro il termine senza che alcun rilievo possa avere in proposito la circostanza che nessuna parte abbia eccepito il decorso del termine” (Cass. 11 febbraio 2000, n. 1512), posto che non era stato all’epoca ancora sancito il principio di cui all’art. 115 c.p.c.; mentre, come subito si dirà, non si pone qui in discussione la regola del rilievo d’ufficio della decadenza, che non è soggetta invero ad eccezione di parte.

Con riguardo al termine di decadenza dall’azione di disconoscimento della filiazione, invero, occorre ora operare alcune precisazioni.

L’efficacia del principio di non contestazione, pure da affermarsi al riguardo, non vuol dire però che sul punto la regola divenga assimilabile a quella dell’eccezione di parte, restando, invece, la decadenza sempre rilevabile d’ufficio, ove emerga dagli atti (nota essendo la differenza concettuale tra eccezione in senso stretto e principio di non contestazione, posti su piani diversi), in ragione della preminenza dell’interesse pubblico nelle questioni di stato delle persone.

Il principio di non contestazione non esclude, pertanto, che il giudice possa e debba esaminare gli atti e i documenti del giudizio prodotti dalle parti, per rilevare d’ufficio, se del caso, la decadenza dall’azione.

Il principio di non contestazione mira a selezionare i fatti pacifici e a separarli da quelli controversi, per i quali soltanto si pone l’esigenza dell’istruzione probatoria. Ciò non implica, però, che ad essere disponibile sia la verità storica e che, dunque, sia sottratto al giudice ogni potere di verificarla (per alcuni spunti in tal senso, cfr. Cass. 5 maggio 2015, n. 8969).

In particolare, il principio di non contestazione opera in maniera più attenuata nell’ambito delle questioni rilevabili d’ufficio, come nel presente caso, concernente l’eventuale inammissibilità dell’azione di disconoscimento del figlio: questione che, attenendo all’ingresso della causa innanzi al giudice e dovendo essere verificata anche d’ufficio, non impedisce il rilievo ex actis (termine che, secondo questo Ufficio, è soggetto alla sospensione feriale: Cass. 11 febbraio 2000, n. 1512; 13 maggio 1999, n. 6874).

Sull’epoca della scoperta dell’adulterio, quindi, opera il principio di non contestazione, che espunge tale fatto dall’ambito del thema probandum; ma, a fronte della condotta acquiescente dei convenuti circa la data esposta in citazione come dies a quo della proponibilità della domanda, la quale la renda tempestiva, il giudice può e deve ancora rilevare ex actis un eventuale anteriore termine di decorrenza, il quale renda l’azione inammissibile; mentre resta che, in mancanza di altri elementi, acquisiti al processo, che palesino detta decadenza, egli non potrà porre in non cale gli effetti della non contestazione del momento di decorrenza del termine decadenziale, onde dovrà considerare senz’altro l’azione ammissibile, senza imputare all’attore le conseguenze del non avere egli stesso offerto mezzi di prova al riguardo.

3. – I rimanenti motivi restano assorbiti.

4. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bari per nuovo esame, in particolare perchè essa valuti se sia integrata la non contestazione circa la scoperta dell’adulterio con l’effettuazione di analisi genetiche in data 8 novembre 2011, e verifichi, secondo il suo prudente apprezzamento, se risulti ex actis la dimostrazione di un’epoca anteriore di conoscenza dell’adulterio della moglie da parte del marito, tale da implicare il decorso del termine annuale; in mancanza, proceda alla trattazione nel merito.

Alla corte territoriale si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi primo, secondo e terzo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1° giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2016.