Distanze nelle costruzioni: si applicano i piani regolatori e i regolamenti comunali che devono essere acquisiti d’ufficio dal giudice (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 21 dicembre 2021, n. 40984).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3794-2017 proposto da:

(OMISSIS) GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE (OMISSIS) 5, presso lo studio dell’avvocato ENRICO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) RACHELE, (OMISSIS) MARIA GRAZIA, (OMISSIS) LUIGI, (OMISSIS) ANGELA, (OMISSIS) PIETRO, elettivamente domiciliati in Diamante (CS) via (OMISSIS) n. 14, presso lo studio dell’avv.to MARINA (OMISSIS) che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1892/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito l’Avvocato;

FATTI DI CAUSA

1. I signori Angela (OMISSIS), Rachele (OMISSIS), Mariagrazia (OMISSIS), Pietro (OMISSIS), Luigi (OMISSIS), premesso di essere comproprietari di un immobile ubicato in Cirella di Diamante, deducevano che Giovanni (OMISSIS), tra la fine del 1996 e il 1997, aveva realizzato un edificio sul confine col fondo di loro proprietà, senza il rispetto della distanza prescritta dal piano regolatore.

In particolare, asserivano che l’area interessata dalla ricostruzione ricadeva secondo il programma di fabbricazione vigente all’epoca del rilascio della concessione edilizia, in zona B3 caratterizzata dall’obbligo di osservare una distanza minima dai confini di cinque metri.

Giovanni (OMISSIS) aveva edificato sul confine in violazione della normativa locale oltre ad aver commesso un illecito urbanistico.

Gli attori chiedevano, dunque, la condanna del convenuto alla demolizione di quanto realizzato, con ripristino dello stato dei luoghi.

1.1 Si costituiva l'(OMISSIS) che sosteneva la legittimità della costruzione edificata nel rispetto delle prescrizioni del programma di fabbricazione vigente all’epoca.

2. Il Tribunale di Paola, sezione distaccata di Scalea, accoglieva la domanda proposta dagli attori e condannava il convenuto alla demolizione del fabbricato, oltre al risarcimento del danno.

3. Avverso la suddetta sentenza Giovanni (OMISSIS) proponeva appello.

4. La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione.

In particolare, rigettava il motivo di appello relativo alla violazione del litisconsorzio necessario.

L’appellante aveva dedotto, infatti, che anche l’usufruttuario dell’immobile era parte necessaria del giudizio.

Secondo la Corte d’Appello, invece, la legittimazione spettava al proprietario e, solo eventualmente, all’usufruttuario.

In particolare la legittimazione passiva rispetto all’azione di demolizione di opere edilizie eseguite in violazione delle distanze legali competeva unicamente al proprietario del manufatto e, in caso di immobili con diritto di usufrutto, la legittimazione passiva in ordine all’azione di riduzione in pristino conseguente all’esecuzione di opere edilizie illegittime perché realizzate in violazione delle distanze legali spettava al nudo proprietario, potendosi riconoscere all’usufruttuario solo interesse a spiegare intervento volontario.

In tal caso, la sentenza di accoglimento della domanda proposta contro il solo nudo proprietario e di condanna alla rimozione delle opere illegittimamente realizzate non era inutiliter data, essendo eseguibile nei confronti del proprietario una volta estinto l’usufrutto.

2.1 Anche il secondo motivo in rito doveva essere rigettato.

Il giudice istruttore si era riservato sull’ammissione dei mezzi istruttori e aveva disposto una consulenza tecnica d’ufficio.

Dopo il deposito della relazione, a fronte della richiesta di convocare a chiarimenti il CTU da parte dell’avvocato di parte attrice, l’avvocato di parte convenuta aveva prodotto una perizia di parte e richiesto il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni.

Il comportamento processuale della parte, dunque, doveva interpretarsi come una rinuncia tacita alla richiesta di ammissione della prova per testi, in quanto la richiesta di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni era del tutto incompatibile con la volontà di proseguire nella fase istruttoria del procedimento, dimostrando al contrario l’intenzione di passare alla fase deliberativa o conclusiva.

Quanto al merito la Corte d’Appello evidenziava il fatto, non contestato, che i primi ad edificare sui fondi oggetto di causa erano stati i (OMISSIS) che avevano posto la loro costruzione a 10 metri di distanza dal confine. In tal modo avevano indicato che non era possibile edificare sul confine e bisognava farlo a distanza legale.

Come evidenziato dalle sezioni unite nel caso di costruzione con distacco dal confine nel rispetto della distanza minima imposto dal codice civile o quella dei regolamenti locali il vicino che costruisce successivamente deve rispettare la distanza prescritta.

Il piano di fabbricazione del Comune di Diamante applicabile ratione temporis prevedeva la possibilità di edificare alternativamente sul confine, con distanza dal confine pari alla metà dell’altezza del fabbricato, ovvero ancora ad una distanza pari a sei metri.

Tuttavia, la scelta poteva essere fatta da chi costruiva per primo sulla base del principio della prevenzione.

Il vicino che intendeva edificare successivamente doveva adeguarsi al rispetto della regola imposta.

Nella specie la prima costruzione era posta a distanza di 10 metri dal confine sicché l'(OMISSIS) avrebbe dovuto rispettare la distanza minima imposta dalla normativa locale pari ad un minimo di metri 6.

Egli non poteva costruire neanche in appoggio o in aderenza al muro eretto dagli appellati solo successivamente alla realizzazione del proprio edificio e alla richiesta di concessione edilizia da parte degli (OMISSIS).

Pertanto, il muro suddetto doveva ritenersi tamquam non esset ai fini del computo delle distanze ex articolo 878 c.c.

La sentenza di primo grado doveva essere confermata anche sulla tutela risarcitoria della riduzione in pristino.

L’inosservanza delle distanze legali nelle costruzioni costituiva per il vicino una limitazione al godimento del bene, quindi, all’esercizio di una delle facoltà riconnesse al diritto di proprietà, pertanto, il danno era in re ipsa.

La liquidazione del danno doveva farsi in via equitativa tenuto conto delle dimensioni del manufatto tali da limitare il godimento del fondo in termini di amenità, luminosità, panoramicità nella misura di euro 2500 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali calcolati anno per anno sulla somma indicata, via via rivalutata fino all’effettivo soddisfo.

3. Giovanni (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi di ricorso.

4. Pietro (OMISSIS), Mariagrazia (OMISSIS), Angela (OMISSIS), Luigi (OMISSIS), Rachele (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: carenza di legittimazione attiva degli attori (OMISSIS)-(OMISSIS), violazione dell’articolo 100 c.p.c., avendo ad oggetto il giudizio una causa di accertamento delle distanze tra fabbricati l’attore aveva il dovere giuridico di dimostrare che il suo fabbricato era in regola con le norme urbanistiche al fine di pretendere la demolizione del fabbricato frontistante.

Nel caso di specie, dunque, vi era carenza di legittimazione attiva in quanto il fabbricato degli attori era abusivo e gli stessi non potevano provare di essere legittimi proprietari del suddetto.

Secondo il ricorrente, pertanto, l’omissione della licenza di costruire per dimostrare la regolarità urbanistica del proprio fabbricato configura un’ipotesi di carenza di legittimazione attiva e determina la nullità della sentenza.

1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La questione proposta circa l’irregolarità urbanistica del fabbricato degli attori è del tutto nuova e presuppone accertamenti in fatto, sicché la stessa non può essere sollevata con il ricorso per cassazione anche se il motivo attiene alla legittimazione attiva che comunque deve essere vagliata di ufficio dal giudice.

Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito, né rilevabili di ufficio» (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass.11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).

Tale ultimo principio è applicabile anche quando la questione sollevata è rilevabile di ufficio ogni qualvolta la stessa non può essere accertata sulla base di una “nuda” eccezione sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione e basata su contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte della quale l’intimato sarebbe costretto a subire il vulnus delle maturate preclusioni processuali (vedi Sez. 3, Ord. n. 4175 del 2020).

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e omessa applicazione dell’articolo 102 c.p.c., nullità della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’usufruttuario Luigi (OMISSIS).

Secondo il ricorrente, l’usufruttuario deve considerarsi litisconsorte necessario.

Questi, infatti, è titolare di un diritto autonomo e, a pena di nullità della sentenza, deve essere convenuto in giudizio in una causa, come quella di specie, intentata nei confronti del nudo proprietario nella quale si controversie della distanza di due fabbricati limitrofi.

2.1 II secondo motivo di ricorso è infondato.

In relazione alla posizione dell’usufruttuario rispetto all’azione volta ad ottenere il rispetto delle distanze legali, specificamente l’arretramento del fabbricato eretto dal vicino a distanza irregolare, azione modellata sullo schema della actio negatoria servitutis (giacché finalizzata a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù: cfr. Cass.23.1.2012, n. 871; Cass. 26.11.1973, n. 3196), questa Corte non può che ribadire il proprio insegnamento secondo cui la legittimazione passiva spetta al nudo proprietario, potendosi riconoscere all’usufruttuario il solo interesse a spiegare nel giudizio intervento volontario ad adiuvandum, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., comma 2, volto a sostenere le ragioni del nudo proprietario alla conservazione del suo immobile.

Il collegio, pertanto, intende dare continuità al seguente principio di diritto: In tema di riduzione in pristino di opere illegittime per violazione delle distanze legali, la domanda di arretramento della costruzione realizzata dall’usufruttuario dell’immobile deve essere proposta nei soli confronti del nudo proprietario, potendo il titolare del diritto reale di godimento, al più, intervenire in giudizio, in via adesiva, ai sensi dell’art. 105, comma 2, c.p.c.

Pertanto, l’attore, rimasto soccombente per avere agito contro l’usufruttuario, non può dolersi della mancata chiamata in causa del nudo proprietario da parte del giudice, poiché, da un lato, non sussiste litisconsorzio necessario tra l’usufruttuario e il nudo proprietario e, dall’altro, l’ordine di intervento ex art. 107 c.p.c. è espressione di un potere discrezionale, incensurabile sia in appello sia in sede di legittimità (Sez. 2, Ord. n. 5147 del 2019).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: difetto di istruttoria mancata pronuncia su istanze istruttorie decisive fini della decisione, violazione del diritto di difesa.

La censura attiene alla parte della sentenza nella quale si è ritenuto che la richiesta dell’udienza di precisazione delle conclusioni costituisse una rinuncia implicita alle istanze probatorie formulate.

A parere del ricorrente il giudice che omette di pronunciarsi sull’ammissibilità di una prova sul presupposto che i comportamenti inequivoci dei rispettivi legali fanno presumere logicamente la rinuncia all’audizione del testimone configura un difetto di istruttoria e una violazione del diritto di difesa.

3.1 II terzo motivo di ricorso è infondato.

Nel caso di specie il Giudice di primo grado aveva disposto una consulenza tecnica, riservandosi di decidere in ordine alle restanti richieste istruttorie.

Dopo il deposito della relazione peritale il convenuto, oggi ricorrente, aveva “chiesto rinvio per precisazione conclusioni” e aveva concluso nel merito per “il rigetto della domanda” (vedi pag. 10 della sentenza impugnata nonché pagg. 12, 13 e 3 del ricorso).

Anche gli attori avevano rassegnato conclusioni solo di merito e, quindi, avevano inequivocabilmente aderito alla rimessione al Collegio.

Ne consegue che la Corte d’Appello ha correttamente ravvisato una rinuncia tacita alla richiesta di ammissione della prova per testi.

Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: «Qualora la parte che abbia indicato un teste richieda la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, tale inequivoco comportamento ne manifesta la volontà di rinunciare all’audizione del teste stesso e se la controparte aderisce alla richiesta di remissione della causa al collegio anch’essa pone in essere una condotta adesiva alla rinuncia al teste.

Tale rinuncia acquista efficacia per effetto del consenso del giudice implicitamente espresso con il provvedimento di chiusura dell’istruttoria e di remissione della causa in decisione, per cui compete solo al collegio, con giudizio non sindacabile in sede di legittimità, ordinare la riapertura della istruttoria, revocando l’ordinanza del giudice istruttore (Sez. 1, Ord. n. 10797 del 2018).

Peraltro, il ricorrente non ha reiterato la richiesta istruttorie nelle conclusioni mentre aveva l’onere di farlo e, dunque, le stesse devono ritenersi ulteriormente rinunciate.

Infine, giova ribadirsi che in ogni caso spetta al giudice di merito valutare la rilevanza della prova ed escluderla anche implicitamente ritenendo la causa “matura per la decisione” (cfr. 13485/2014; 16499/2009; 9942/1998; 10719/2000).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 871, 872, 873 c.c. inesistenza dei presupposti dell’azione relativa alle distanze tra fabbricati.

La censura attiene al fatto che nella fattispecie non risultava provata l’epoca di costruzione del fabbricato di parte attrice, elemento fondamentale per affermare il diritto di prevenzione.

Pertanto, tutte le argomentazioni in base alle quali gli attori avevano costruito per primi risultano fondate su mere asserzioni senza prova.

Inoltre, il ricorrente aveva costruito nel pieno rispetto delle regole urbanistiche vigenti al tempo della realizzazione delle opere.

L’ordinanza sindacale del 1995 includeva il terreno nel piano di fabbricazione in zona B-1 nella quale era permesso di costruire sul confine, come accertato nella consulenza tecnica di ufficio.

Nel 1996 c’era stata la realizzazione della costruzione e nel 1997 domanda di concessione in sanatoria, mentre l’11 maggio 1998 era stato approvato il piano regolatore generale del Comune di Diamante che aveva fatto ricadere il terreno in zona B3.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che ha affermato che la nuova disciplina delle distanze può applicarsi solo quando la costruzione non sia completa ma abbia raggiunto almeno uno sviluppo tale da doversi considerare di fatto come ultimata, altrimenti in caso di successione di norme il giudizio deve compiersi in base alla disciplina vigente al momento di costruzione dell’edificio.

Peraltro, nella specie non sarebbe possibile la riduzione in pristino.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato allegazione ex articolo 372 c.p.c. del nuovo piano strutturale comunale del Comune di Diamante e del relativo regolamento edilizio urbano approvato con delibera n. 41 del 2014.

Il ricorrente, premesso che il piano strutturale comunale ha la stessa funzione del piano regolatore generale, evidenzia che il relativo documento può essere prodotto anche nel giudizio di cassazione.

Alla luce del nuovo strumento di pianificazione la particella è compresa nella zona B-2 dove è consentita l’edificazione con le medesime caratteristiche e distanze del piano di fabbricazione vigente all’epoca della costruzione, in pratica è consentita l’edificabilità sul confine purché vengano rispettate le distanze minime previste tra i fabbricati.

Risulterebbe confermata la regolarità e legittimità del manufatto eretto sia al momento dell’edificazione, sia al momento della pronuncia della sentenza, in conformità alla normativa urbanistica.

L’area interessata alla costruzione ricadeva in zona B-1, per tale zona era prevista espressamente la possibilità di costruire sul confine in alternativa all’obbligo di rispettare la distanza minima di 5 metri, purché fosse rispettata la distanza minima tra gli edifici di 10 metri. Inoltre, il principio di prevenzione non opera nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio stabilisca la necessità di rispettare in ogni caso la distanza dal confine vietando la costruzione sullo stesso.

5.1 II quinto motivo di ricorso è fondato ed il suo accoglimento determina l’assorbimento del quarto motivo.

Il ricorrente ha depositato ex art. 372 c.p.c. il nuovo piano strutturale del Comune di Diamante che ha rideterminato la classificazione della zona su cui insiste la particella ricomprendendola nella categoria B-2 dove è consentita l’edificazione con le medesime caratteristiche e distanze del piano di fabbricazione vigente all’epoca della costruzione, in pratica è consentita l’edificabilità sul confine purché vengano rispettate le distanze minime previste tra i fabbricati.

In proposito deve darsi continuità al principio consolidato affermato da questa Corte secondo cui:

Le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche (anche se di natura secondaria), sicché il giudice, in virtù del principio “iura novit curia“, deve acquisirne diretta conoscenza d’ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte – alla stregua dell’enunciato principio, la Corte ha ritenuto che non poteva considerarsi una produzione vietata dall’art. 372 cod. proc. civ., attenendo a “ius superveniens“, l’allegazione del testo regolamentare sopravvenuto di un piano di attuazione di un P.R.G., che avrebbe dovuto essere conosciuto ed applicato anche d’ufficio nel caso esaminato – (Sez. 2, Ord. n. 2661 del 2020; Sez. 2, Sent. n. 25501 del 2014; Sez. 2, Sent. n. 14446 del 2010).

Una volta ammessa la produzione del piano strutturale del Comune di Diamante, deve conseguentemente ribadirsi che:

I regolamenti edilizi in materia di distanze tra costruzioni contengono norme di immediata applicazione, salvo il limite, nel caso di norme più restrittive, dei cosiddetti “diritti quesiti” (per cui la disciplina più restrittiva non si applica alle costruzioni che, alla data dell’entrata in vigore della normativa, possano considerarsi “già sorte”), e, nel caso di norme più favorevoli, dell’eventuale giudicato formatosi sulla legittimità o meno della costruzione.

Ne consegue l’inammissibilità dell’ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi “medio tempore”, ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua costruzione e l’avvento della nuova disciplina (Sez. 2, Ord. n. 26713 del 2020).

Si impone pertanto, in accoglimento del quinto motivo la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione che dovrà verificare l’applicabilità del nuovo strumento urbanistico, anche in relazione a quello vigente al momento della costruzione, al fine di stabilire se effettivamente nella zona di interesse è consentita la possibilità di edificare sul confine, nel rispetto delle distanze tra costruzioni e circa l’applicabilità al caso di specie del criterio della prevenzione.

Infatti, secondo il concorde orientamento della giurisprudenza di legittimità, il principio della prevenzione non opera quando i regolamenti locali impongono di osservare distanze inderogabili dai confini, salvo che gli stessi consentano le costruzioni in aderenza o in appoggio (Cass.14/05/2018, n. 1164; Cass. 06/11/2014, n. 23693; Cass.30/10/2007, n. 22896; Cass. 27/04/2006, n. 9650; Cass.07/07/2005, n. 14261).

6. La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, dichiara assorbito il quarto, rigetta i restanti tre, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, dichiara assorbito il quarto, rigetta i restanti tre, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.