Dottoressa accusata di incompetenza per una prestazione ambulatoriale negata: nessuna diffamazione. Il reato non sussiste, riconosciuto il diritto di critica (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 24 maggio 2022, n. 20206).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. SCORDAMIGLIA Irene – Consigliere

Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) MARINA nato a CHIETI il 07/01/1979;

avverso la sentenza del 06/10/2020 del TRIBUNALE DI PESCARA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIOVANNI FRANCOLINI;

il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, Dott.ssa KATE TASSONE, ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6 ottobre 2020 il Tribunale di Pescara, all’esito dell’appello interposto da Marina (OMISSIS), ha confermato la pronuncia resa il 19 settembre 2019 dal Giudice di pace di Pescara che aveva affermato la responsabilità della stessa imputata per il delitto di diffamazione (art. 595 cod. pen.) in danno di Anna (OMISSIS) e l’aveva condannata alla pena di euro 1.200 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, nonché al risarcimento dei danni – determinato in euro 1.000 – in favore della (OMISSIS), costituitasi parte civile, ed al pagamento delle spese di costituzione.

La sentenza di secondo grado ha, altresì, condannato l’imputata al pagamento in favore della parte civile delle spese di patrocinio in grado di appello.

La responsabilità dell’imputata è stata affermata per aver offeso la reputazione della persona offesa, che esercita la professione medica, in un ricorso indirizzato al Dipartimento per la salute ed il welfare della Regione Abruzzo, all’Assessore regionale Silvio PAOLUCCI e al Direttore Sanitario dell’U.S.L. di Pescara, a seguito di una visita medica cui Marina (OMISSIS) si era sottoposta.

Più in particolare, l’espressione in relazione alla quale ha riportato condanna è quella con cui ha attribuito alla dott.ssa (OMISSIS) una «manifestata inesistente competenza professionale e l’unlillogicità linguistica».

2. Avverso la sentenza di secondo grado è stato proposto ricorso per cassazione nell’interesse dell’imputata, articolando due motivi (di seguito enunciati, nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).

2.1. Con il primo motivo – richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. – sono state denunciate la violazione della legge penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, il travisamento del fatto, la mancanza di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della provocazione.

2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione della legge penale, a cagione del mancato riconoscimento della scriminante del diritto di critica (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.).

3. La parte civile ha fatto pervenire memoria difensiva, note e conclusioni, con le quali ha contestato quanto addotto dal Procuratore generale e dalla ricorrente e, in particolare ha dedotto l’insussistenza dei presupposti sia della provocazione (negando che abbia avuto luogo il fatto ingiusto della persona offesa e che ricorra la necessaria tempestività della reazione), sia del diritto di critica (alla luce del tenore delle espressioni sprezzanti, gratuite ed irridenti impiegate dall’imputata); ed ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle rifusione delle ulteriori spese del grado.

Nell’interesse dell’imputata sono state presentate conclusioni con le quali si è insistito nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Rispetto al primo motivo di ricorso, con cui si è assunta la non punibilità del reato in ragione della provocazione, ha priorità logica la disamina del secondo motivo, con il quale è stata prospettata la sussistenza della scriminante del diritto di critica.

Quest’ultimo è fondato nei termini che si esporranno; rimanendo assorbita la rimanente censura.

1. Con il secondo motivo la difesa ha rassegnato che – come già dedotto con il gravame – con l’espressione in imputazione l’imputata non avrebbe offeso l’onore e il decoro della parte civile mediante un attacco personale, ma avrebbe espresso un’opinione relativa all’operato professionale di quest’ultima nell’ambito di un rapporto conflittuale dovuto alla mancata autorizzazione dei trattamenti sanitari che fino a quel momento le erano stati garantiti; e che la frase sarebbe stata indirizzata soltanto agli organi preposti alla valutazione dell’operato della dott.ssa (OMISSIS) e senza utilizzare espressioni smodate.

Tale prospettazione sarebbe stata disattesa dal Tribunale in violazione dei princìpi posti dalla giurisprudenza di legittimità.

1.1. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità è consolidata nel ritenere che:

– «in tema di diffamazione, l’esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione, ma non vieta l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato» (Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Lunghini, Rv. 279133 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 15089 del 29/11/2019 – dep. 2020, Cascio Rv. 279084 – 01; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 – dep. 2011, Simeone, Rv. 249239 – 01);

– difatti, «la nozione di “critica”, quale espressione della libera manifestazione del pensiero» rimanda «anche e soprattutto» all’area «della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e taglienti, non essendovi limiti astrattamente concepibili all’oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore. I limiti sono rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale è quello previsto dall’art. 2 cost., onde non è consentito» – per quel che qui importa – «trasmodare nella invettiva gratuita, salvo che la offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico» (Sez. 5, n. 12180 del 31/01/2019, Valente, Rv. 276033 – 01, che richiama, tra le altre, Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, C., Rv. 267866; cfr. pure Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017 – dep. 2018, Coppola, Rv. 272432 – 01; Sez. 1, n. 40930 del 27/09/2013, Travaglio, Rv. 257794 – 01);

– al riguardo, «occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio – temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere» (Sez. 5, n. 12180/2019, cit.; Sez. 5 n. 32027 del 23/03/2018, Maffioletti, Rv. 273573);

– e il giudice, chiamato a «verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell’ambito di un contesto critico e funzionale all’argomentazione, così da escludere la invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario […], con espressioni inutilmente umilianti e gravemente infamanti»: Sez. 5, n. 12180/2019, cit.; cfr. pure Sez. 5 n. 31669 del 14/04/2015, Marcialis, Rv. 264442; Sez. 5 n. 15060 del 23/02/2011, Dessì, Rv. 250174), deve apprezzare «il contesto dialettico nel quale si realizza la condotta» Sez. 5, n. 12180/2019, cit.; Sez. 5 n. 37397/2016, cit.).

Deve, altresì, ribadirsi che «in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato» (Sez. 5, n. 486 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284; cfr. pure Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio, Rv. 256706).

1.2. Nel caso in esame, risulta dalle pronunce di merito che Marina LA VALLE – a seguito di una visita medica volta ad ottenere l’autorizzazione a una prestazione riabilitativa ambulatoriale (a lei in precedenza già rilasciata) a carico del Servizio sanitario e a fronte, in particolare del verbale dell’«unità di valutazione» sottoscritto pure dalla dott.ssa (OMISSIS), in ragione del quale essa non era stata concessa (quantunque il motivo della mancata autorizzazione sia stato ravvisato nella mancata produzione da parte dell’imputato della documentazione medica necessaria) – ha indirizzato l’atto in imputazione ai soggetti istituzionali sopra indicati, al fine pure di denunciare la responsabilità disciplinare della (OMISSIS), – per quanto qui di interesse – attribuendole una «manifestata inesistente competenza professionale e [una] illogicità linguistica».

Si tratta di espressioni con le quali, tenuto conto del contesto in cui sono state espresse e, segnatamente dei destinatari di esse, è stato formulato un giudizio critico negativo volto a stigmatizzare le determinazioni della dott. (OMISSIS) (cui ha fatto seguito il mancato rilascio dell’autorizzazione richiesta dall’imputata), nel quale non può ravvisarsi un attacco gratuito ed arbitrario al patrimonio morale della medesima professionista tale da trasmodare in un’invettiva personale mediante espressioni inutilmente umilianti.

Devono, pertanto, ravvisarsi i presupposti dell’esercizio del diritto di critica, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato.

Rimane assorbita ogni ulteriore doglianza.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.

Così deciso il 13/01/2022.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.