Due donne, durante una discussione, arrivano a tirarsi i capelli procurando, ad una di essa, solo dolore. No a lesioni volontarie (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 24 luglio 2019, n. 33492).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –

Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere –

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.M.T., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 06/03/2018 del TRIBUNALE di TERMINI IMERESE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CESQUI Elisabetta, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

Il Procuratore Generale conclude per l’inammissibilità;

udito il difensore che chiede l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Termini Imerese con sentenza del 6 marzo 2018 ha confermato la pronuncia di primo grado emessa dal giudice di Pace di Lercara Friddi nei confronti di G.M.T., dichiarata colpevole del reato di lesioni volontarie lievissime, giudicate guaribili in giorni due, ai danni di Gi.Ro. – per avere tirato con forza i capelli alla predetta nel corso di una controversia insorta presso l’ufficio di collocamento.

2. Avverso la suindicata pronuncia ha proposto ricorso l’imputata, tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo, previa formulazione di questione di illegittimità costituzionale dell’art. 131 bis c.p., in relazione agli artt. 3 e 5 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità di applicare la disciplina ivi prevista ai reati attribuiti alla cognizione del Giudice di Pace.

– Lamenta in buona sostanza che il giudice, nonostante avesse riconosciuto la tenuità del fatto non riconoscendo alcun risarcimento in considerazione della lievità delle lesioni, non ha potuto applicare la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cit., trattandosi, come precisato anche dalla sentenza a Sezioni Unite di questa Corte (del 22.6.2017), di norma non applicabile ai reati di competenza del giudice di Pace, per i quali deve trovare applicazione la causa di improcedibilità di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, attese le peculiarità e differenze esistenti tra le due norme.

Assume che invece la mancata applicazione/estensione di tale norma anche ai reati di competenza del giudice di Pace si risolva in una irrazionale disparità di trattamento lesiva del diritto di difesa, considerato che la sua applicabilità è subordinata alla mancata opposizione della persona offesa (che nel caso di specie si è opposta) con la conseguenza che l’operatività di tale causa di improcedibilità potrebbe risultare preclusa in casi di estrema tenuità – come in quello in esame – laddove per fatti ben più gravi di competenza del giudice ordinario potrebbe invece applicarsi la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p..

2.1. Ciò posto, denuncia, sotto il profilo della violazione di legge, la erronea applicazione delle disposizioni penali di cui agli artt. 582 e 594 c.p., e la omessa motivazione, assumendo che anche il comportamento descritto al capo A e ascritto come lesioni dovesse qualificarsi piuttosto come ingiuria perchè diretto alla lesione ed offesa del decoro più che della incolumità fisica, considerata anche la minima, insignificante, entità delle lesioni (con prognosi di soli due giorni).

Contesta in definitiva la sussistenza stessa del reato di lesioni che non può ritenersi integrato da una tirata di capelli che ha ingenerato solo dolore e nemmeno una vera e propria abrasione del cuoio capelluto.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento per quanto di ragione.

Preliminarmente va osservato che deve ritenersi manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente, risultando la previsione di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, il frutto di una precisa scelta del legislatore che non è suscettibile, in quanto tale, di essere messa in discussione alla stregua dei parametri indicati dalla ricorrente, rientrando quella previsione nel contesto normativo di cui al D.Lgs., che ha dettato norme specifiche e principalmente destinate a regolamentare il procedimento di accertamento dei reati di competenza del giudice di Pace (E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 34, comma 3, recante disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, nella parte in cui consente che la particolare tenuità del fatto possa essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongano).

La Corte ha ritenuto che il dissenso della persona offesa è funzionale a garantire il bilanciamento tra i diversi interessi coinvolti nel nuovo istituto previsto dal citato art. 34, il primo rivolto alla deflazione processuale e l’altro diretto ad evitare il rischio di un’impunità diffusa per i reati della criminalità minore (Sez. 7, n. 2674 del 25/06/2003 – dep. 27/01/2004, Pitimada, Rv. 22690701).

1.1. Ciò posto, passando all’esame dell’unica censura proposta, si osserva che esso è fondato perchè non risulta in alcun modo spiegato nella pronuncia impugnata – di qui la violazione di legge dedotta e qui rilevata – il motivo che ha indotto il giudice a ritenere integrato il reato di lesioni.

Essendosi trattato di una tirata di capelli, si sarebbe dovuto dar conto specifico della natura della lesione che ne sarebbe derivata, non essendo sufficienti a tal fine una mera screpolatura, nè tanto meno il dolore patito, essendo piuttosto necessario che in conseguenza della condotta sia apprezzabile un’alterazione funzionale ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo.

Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia non comprende, invero, tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l’aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa. (Sez. 5, Sentenza n. 54005 del 03/11/2017, Rv. 271818 (Sez. 4, n. 22156 del 19/04/2016, P.C. in proc. De Santis, Rv. 267306).

Il Giudice, nel caso di specie, si è, invece, limitato a dare atto delle risultanze del certificato medico rilasciato dal sanitario che ebbe a visitare la ricorrente subito dopo il fatto in cui si riporta unicamente “dolore regione occipitale” giudicato guaribile in giorni due.

2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Termini Imerese per nuovo esame.

Il giudice del rinvio in particolare valuterà, alla luce dei parametri sopra indicati, se la condotta posta in essere dall’imputata integri gli estremi delle lesioni – o piuttosto il reato di percosse.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Termini Imerese per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2019.