Durante la celebrazione di un’udienza penale in video collegamento, l’imputato urla al P.M. di stare zitta (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 12 aprile 2021, n. 13593).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Presidente

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – Rel. Consigliere

Dott. APRILE Stefano – Consigliere

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) PANTALEONE nato a (OMISSIS) il 27/08/19xx;

avverso l’ordinanza del 28/04/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio CAIRO;

lette/sentite le conclusioni del PG Letta la requisitoria del Dott. Giulio Romano sostituto procuratore generale della Repubblica che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 28 aprile 2020, il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila rigettava il reclamo di (OMISSIS) Pantaleone avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza che aveva respinto, a sua volta, l’impugnazione della sanzione disciplinare del Consiglio di disciplina, in data 19/10/2016, con cui era stata inflitta l’esclusione dalle attività in comune.

Si era ritenuto che la condotta tenuta da (OMISSIS), durante la celebrazione di un’udienza penale in video collegamento, davanti al Tribunale di Vibo Valentia integrasse illecito disciplinare essendosi egli rivolto al Pubblico Ministero, dicendo di stare zitta.

Si ritenevano esistenti gli estremi del comportamento offensivo “nei confronti di chi accede alla struttura penitenziaria”.

Ammesso il fatto, il detenuto rivolgeva le sue scuse all’organo inquirente, affermando che non era sua intenzione offendere nessuno.

2. Ricorre per cassazione (OMISSIS) Pantalone, con il ministero del suo difensore di fiducia e lamenta quanto segue.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e in particolare dell’art. 77 del d.p.r. 230/2000, oltre che dell’art. 25 comma 2 Cost.

La condotta posta in essere non integra illecito disciplinare e non si sarebbe potuta infliggere la in esame.

L’art. 77 del d.p.r. 230/2000, infatti, non prevede tra le infrazioni disciplinari quella indicata.

Il Tribunale di sorveglianza ha, tuttavia, ritenuto che, nonostante la mancanza di un’espressa previsione come infrazione disciplinare, il comportamento si dovesse sanzionare perché manifestazione di mancata adesione all’opera di rieducazione.

Le condizioni di esercizio del potere in materia sanzionatoria richiedono, annota il ricorrente, l’esistenza di una disposizione regolamentare chiara e precisa anche in forza del rinvio operato dall’art. 38, comma 1, L. 26 luglio 1975, n. 354.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

1. Affinché possa configurarsi l’esistenza di un’infrazione disciplinare occorre una violazione, cui segue la sanzione, secondo un tracciato di stretta legalità.

La certezza della condotta vietata è garanzia dei diritti individuali e ciò al fine di evitare che possa prevalere ogni forma d’interpretazione arbitraria quale criterio selettivo e così possa permettersi di sanzionare fatti non espressamente previsti come illeciti disciplinari.

Alla necessaria descrittività della fattispecie consegue, invero, la riduzione del soggettivismo ideologico e caratteriale, nell’attività d’interpretazione e il limite al potere di chi è chiamato ad applicare le disposizioni relative.

La tipizzazione delle infrazioni disciplinari è, infatti, il presupposto per l’esercizio del potere sanzionatorio, giacché, solo là dove ricorre conformità della condotta concretamente tenuta alla astratta previsione, si può parlare di conformità alla regola di necessaria tassatività e, dunque, di legalità della fattispecie.

Deve, pertanto, ritenersi che il principio sia violato quando la norma, per la indeterminatezza dei suoi connotati non consente di individuare, pur a fronte dello sforzo d’interpretazione, il fatto disciplinato collegandolo al comportamento materialmente posto in essere dal detenuto agente.

L’art. 76, comma 1, n. 16 del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 svolge un’indubbia funzione di norma in bianco che permette l’irrogazione di una sanzione disciplinare per qualunque inosservanza di ordini o prescrizioni ovvero anche solo per l’ingiustificato ritardo nell’esecuzione di essi, purché tale previsione sia espressamente contemplata da una disposizione del regolamento connotata da chiarezza e precisione (Sez. 1, sentenza n. 11308 del 12/10/2017 Cc. (2018), Lo Piccolo, Rv. 272784).

Si impone, dunque, la necessità di un coordinamento con l’art. 38 L. 26 luglio 1975, n. 354, secondo cui i detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto che non sia espressamente previsto come infrazione dal regolamento.

La ratio dell’assetto normativo è di evitare che dal comportamento concretamente tenuto, attraverso un atto di interpretazione creativa, si finisca per creare una disposizione ulteriore e diversa da quella normativamente prevista, generando così una norma nuova e un precetto non previsto in violazione del principio di legalità.

2. Nella specifica vicenda il principio di tassatività e, prima ancora, di legalità, non sono rispettati e, attraverso un’operazione di creazione interpretativa, si collega all’art. 77 d.p.r. 77/2000 un comportamento non previsto dalla disposizione in esame.

Così ragionando si compromette la regola di tassatività della fattispecie -che individua le infrazioni disciplinari (elencazione di cui all’art. 77 del d.p.r. 230/2000)- e lo stesso principio di legalità, posto dall’art. 38 della L. 26 luglio 1975, n. 354.

Risulta, cioè, l’esercizio di un potere sanzionatorio in difetto di una norma espressa attributiva di esso e delle condizioni legittimanti nel caso concreto, in ragione della condotta da punire per l’infrazione disciplinare posta in essere.

La lettura estensiva operata nel caso in esame finisce per recuperare al piano sanzionatorio una violazione non prevista come illecito disciplinare e che non è stata sanzionata come reato, con la conseguenza che non sussistono le condizioni per ricondurla a uno dei casi di cui all’elencazione dell’art. 77 d.p.r. cit. norma di stretta applicazione.

Né si rivela risolutivo il richiamo al comportamento offensivo “nei confronti di chi accede alla struttura penitenziaria”, facendone discendere una portata lesiva da cui trarrebbe scaturigine l’infrazione disciplinare di cui si discute.

Pur dovendo equipararsi il video-collegamento ad uno strumento che può indurre ad assimilare l’aula d’udienza a quella in cui il soggetto è ristretto, essa equiparazione avviene ai soli fini processuali e in funzione dell’attuazione del contraddittorio tra le parti. Nella fattispecie, pertanto, non sussistono le condizioni d’esercizio del relativo potere sanzionatorio.

Quanto ai riferimenti alla mancata partecipazione all’opera di rieducazione all’interno della struttura penitenziaria, da parte del detenuto, si tratta egualmente di aspetti non risolutivi per la questione posta all’esame di questa Corte.

Nel merito, l’invito a “stare zitto”, rivolto in udienza al Pubblico Ministero, non può escludersi che fosse effettivamente collegato alla scelta di poter prendere la parola da parte del detenuto.

L’invito al silenzio, dunque, sia pur tradottosi in un’espressione poco elegante, non dimostra ex se una violazione regolamentare, né una mancata partecipazione all’opera di rieducazione.

D’altro canto, il fatto non risulta essere stato recuperato al campo del rilievo penale. Anzi, il ricorrente senza indugio avrebbe rivolto le sue scuse all’Accusa, spiegando che non intendeva recare offesa.

3. Ciò posto il provvedimento impugnato va annullato senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e per l’effetto dispone l’annullamento del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare.

Così deciso in Roma il 04/12/2020.

Depositato in Cancelleria, oggi 12 aprile 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.