È legittimo il foglio di via obbligatorio con il divieto di ritornare nel Comune per un anno, nei confronti di una persona che ha ripetutamente commesso fatti costituenti reato, e tali da violare la tranquillità pubblica.

(Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 6 settembre 2016, n. 3818)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 388 del 2016, proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via (…);

contro

Il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Di Ma. (C.F. (omissis)), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sez. I ter, n. 7269/2015, resa tra le parti, concernente un ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio e un divieto di fare rientro nel comune di Roma, senza autorizzazione, per un anno;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-, integrato con una memoria difensiva, depositata in data 17 giugno 2016;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza n. 1553 del 28 aprile 2016, con cui la Sezione ha accolto la domanda cautelare incidentale delle Amministrazioni appellanti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 luglio 2016 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Ma. Vi. Lu. e l’avvocato An. Di Ma.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto e diritto

1. Con un atto emesso il 18 febbraio 2014 ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera c), del codice approvato con il decreto legislativo n. 159 del 2011, il Questore della Provincia di Roma ha ordinato il rimpatrio dell’appellato, con foglio di via obbligatorio ad Anzio e col divieto per un anno di fare rientro nel Comune di Roma, senza autorizzazione.

Il provvedimento del Questore ha rilevato che l’appellato “annovera numerose denunce per reati contro l’ordine pubblico, inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, resistenza a pubblico ufficiale, procurato allarme ed interruzione di pubblico servizio”, ha elencato tali denunce ed ha ritenuto che l’appellato sia una “persona pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica”.

2. Col ricorso di primo grado n. 6257 del 2014 (proposto al TAR per il Lazio, Sede di Roma), l’interessato ha impugnato il provvedimento emesso il 18 febbraio 2014 e ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere.

Nel corso del giudizio, il TAR ha sospeso gli effetti dell’atto impugnato, con l’ordinanza n. 2701 del 13 giugno 2014.

3. Il TAR, con la sentenza n. 7269 del 2015, ha accolto il ricorso, ha annullato l’atto impugnato ed ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

In particolare, il TAR ha rilevato che:

– l’interessato “si è attivato e continua ad attivarsi per far valere le proprie ragioni in ordine alla dispensa dal servizio asseritamente illegittima disposta nei suoi confronti dall’Università “La Sapienza” di Roma” e “a tal fine ha diffuso volantini, organizzato manifestazioni e chiesto audizioni a diverse Autorità”;

– non sarebbe “mai stata messa in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica; nessuna controdeduzione è stata fatta né documento in contrario è stato depositato dall’Amministrazione, che peraltro si è costituita solo formalmente in giudizio”;

– non risulta dunque che l’interessato sia “dedito alla commissione di delitti che offendono o mettono in pericolo la sicurezza e tranquillità pubblica”;

– sarebbe “destituita di fondamento” la presunzione posta a base dell’atto impugnato, secondo cui l’interessato – residente nel Comune di Anzio – si trattiene a Roma “solo allo scopo di commettere reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica”, poiché “a Roma vivono sua moglie e suo figlio”.

4. Con l’appello in esame, il Ministero dell’Interno e la Questura di Roma hanno chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.

Le Amministrazioni hanno dedotto che:

– la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente valutato le circostanze emerse nel corso del procedimento e poste a base del contestato provvedimento del 18 febbraio 2014, emesso ai sensi degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011;

– i provvedimenti previsti da tali articoli si basano su presupposti diversi e comunque non coincidenti con quelli valutabili in sede penale;

– il “diritto di protestare contro un provvedimento che si ritiene ingiusto” non può manifestarsi in modo tale da arrecare pregiudizio all’ordine, alla sicurezza ed alla quiete pubblica;

– il provvedimento impugnato in primo grado ha fatto riferimento alla assenza di ragioni per recarsi a Roma, solo dopo aver esposto la ragione determinante e posta a base dell’atto.

5. L’appellato si è costituito in giudizio ed ha eccepito l’inammissibilità del deposito della documentazione, effettuato unitamente all’appello, per violazione dell’art. 104 del codice del processo amministrativo.

Egli ha comunque articolato le proprie difese, chiedendo che siano respinte le censure delle Amministrazioni appellanti.

Nella memoria depositata nel corso del giudizio, l’appellato:

– ha dedotto che l’atto di appello non conterrebbe specifiche contestazioni delle statuizioni del TAR riguardanti le ragioni per le quali egli si reca a Roma (tra cui quelle di “attivarsi per far valere le proprie ragioni, in ordine alla dispensa dal servizio, ritenuta illegittima” e di incontrare la moglie ed il figlio);

– ha ribadito che non si potrebbero valutare in questa sede gli atti depositati in allegato all’atto d’appello;

– ha dedotto che sono irrilevanti i fatti accaduti dopo l’emanazione dell’atto impugnato in primo grado;

– ha chiesto che sia confermata la sentenza impugnata.

6. Nel corso del giudizio, con l’ordinanza n. 1553 del 28 aprile 2016 la Sezione ha accolto la domanda cautelare incidentale delle Amministrazioni appellanti.

7. All’udienza del 21 luglio 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione.

8. Per il suo carattere preliminare, va esaminata l’istanza dell’appellato, volta a far dichiarare inammissibile il deposito della documentazione, effettuato dal Ministero in allegato all’atto d’appello.

9. Ritiene la Sezione che tale istanza vada respinta, ai sensi dell’art. 104, comma 2, del codice del processo amministrativo.

9.1. In allegato all’atto di appello, il Ministero dell’Interno ha depositato la documentazione riguardante i fatti posti a base del provvedimento impugnato, emanato in data 18 febbraio 2014, nonché altra documentazione, concernente alcuni accadimenti successivi a tale data.

9.2. Per quanto riguarda i documenti numerati da 24 a 44, nulla quaestio: non si tratta di “nuovi documenti”, bensì degli atti riguardanti i fatti posti a base del provvedimento impugnato (e che il TAR avrebbe dovuto acquisire).

Il fatto che il TAR abbia deciso in assenza della loro acquisizione, pur non essendo stato oggetto di una specifica censura d’appello, non ha precluso il loro deposito nel secondo grado del giudizio: in questa sede, si deve valutare la legittimità dell’atto impugnato, tenendo conto della documentazione posta a sua base.

9.3. Per quanto riguarda gli atti sugli accadimenti successivi al 18 febbraio 2014, ritiene la Sezione che vi siano specifiche ragioni per ritenerli “indispensabili ai fini della decisione della causa”, così come dispone l’art. 104, comma 2, del c.p.a.

Tali atti riguardano ciò che è accaduto dopo l’emanazione dell’ordinanza cautelare del TAR n. 2701 del 13 giugno 2014, che ha sospeso gli effetti dell’atto impugnato in primo grado, ed hanno rilievo nel giudizio.

E’ ben vero che la legittimità di un provvedimento va esaminata tenendo conto delle circostanze di fatto valutate o da valutare alla data della sua emanazione, ma, quando si tratta di esaminare la ragionevolezza di un provvedimento, un elemento “suppletivo” di esame del giudice si può basare anche sulle circostanze sopravvenute.

In altri termini, quando l’Amministrazione emana un provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, la ragionevolezza delle sue determinazioni può essere desunta anche alla luce del comportamento che l’interessato abbia avuto, dopo avere ottenuto in sede cautelare la sospensione degli effetti dell’atto.

Pertanto, la documentazione depositata dal Ministero va considerata complessivamente indispensabile ai fini della decisione della causa.

10. Passando all’esame dei fatti che hanno preceduto l’emanazione del provvedimento del 18 febbraio 2014, rileva la Sezione che esso ha inteso affrontare la peculiare situazione venutasi a verificare e che è stata oggetto di informativa di reato e della proposta della misura di prevenzione.

Dalla nota del Commissariato di P.S. Sezionale “Trastevere”, di data 18 febbraio 2014, risulta che l’appellato – in considerazione di vicende concernenti l’estinzione del suo rapporto di lavoro con l’Università La Sapienza di Roma – nel corso del tempo ha effettuato proteste di vario tipo ed è stato “deferito all’autorità giudiziaria per manifestazione non autorizzata, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, interruzione di pubblico servizio, procurato allarme ed invasione di edifici”.

10.1. In particolare, proprio il 18 febbraio 2014 egli si è presentato negli uffici del Ministero della pubblica istruzione e dell’università, chiedendo di conferire con il capo dell’ufficio legislativo, e poi si è buttato a terra “nell’androne della portineria cominciando ad urlare e proferire insulti, ponendo in essere resistenza passiva, non alzandosi più da terra”.

Dalla relazione esplicativa del medesimo Commissariato, di data 20 febbraio 2014, si evince che l’interessato “da anni protesta” contro il licenziamento disposto dall’Università ed è “persona nota a questi Uffici nel corso delle innumerevoli manifestazioni effettuate” ed “è stato più volte deferito all’autorità giudiziaria per manifestazione non autorizzata, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, interruzione di pubblico servizio, procurato allarme ed invasioni di edifici”.

Tra gli altri episodi, risultano quelli accaduti in data 1° e 8 ottobre 2013, 21 e 25 marzo 2013, 13 febbraio 2013, 8 novembre 2012, ecc.: dalle relative comunicazioni di reato, si desume che l’appellato in distinte occasioni e ripetutamente ha turbato il traffico veicolare, ha disturbato i dipendenti diretti agli uffici, con un fischietto ha prodotti disturbi all’ambiente circostante, ha parcheggiato la propria auto di fronte al passo carrabile di un Ministero, impedendo l’entrata e l’uscita delle autovetture di servizio, si è introdotto in uffici pubblici senza autorizzazione, si è sdraiato a terra di fronte ad un veicolo – impedendone l’uscita – che aveva a bordo il Ministro della Pubblica Istruzione ed il capo di gabinetto, ecc.

10.2. Dagli atti depositati dal Ministero, si desume che – a seguito della ordinanza cautelare del TAR che ha disposto la sospensione degli effetti dell’atto del 18 febbraio 2014 – l’appellato ha ripreso ad avere “le frequenti manifestazioni e dimostrazioni che oramai porta avanti da anni”, presso uffici pubblici.

11. Stando così le cose, ritiene la Sezione che il provvedimento impugnato in primo grado non sia affetto dai vizi dedotti in primo grado e ritenuti sussistenti dal TAR.

12. Il foglio di via obbligatorio, previsto dall’art. 2 del codice approvato con il d.lg. n. 159 del 2011, può essere tra l’altro emanato nei confronti di “coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica” [art. 1, comma 1, lettera c), del medesimo codice].

Mentre nell’ambito del diritto penale il legislatore italiano si è riferito ai reati “contro l’ordine pubblico” (e salvi i principi affermati in materia dalla Corte Costituzionale, anche sul rilievo della idoneità delle condotte a ledere la “pubblica tranquillità”), il codice n. 159 del 2011 – all’art. 1, comma 1, lettera c) – ha dato specifico rilievo ai “reati che offendano o mettono in pericolo… la sicurezza o la tranquillità pubblica”: gli organi del Ministero dell’Interno possono emettere misure di prevenzione nei confronti di coloro che con condotte materiali – potenzialmente lesive di terzi – turbino la tranquillità della convivenza civile.

13. Nella specie, i fatti desumibili dagli atti richiamati nel provvedimento impugnato del 18 febbraio 2014 (e cui si è fatto cenno nel precedente § 10.1.) si caratterizzano per la commissione di reati effettivamente posti in essere contro la tranquillità pubblica.

L’appellato non si è limitato a porre in essere manifestazioni di protesta o anche comportamenti soltanto petulanti o fastidiosi, ma ha ripetutamente commesso condotte costituenti reato, manifestamente idonee a turbare la tranquillità pubblica.

La ragionevolezza del provvedimento (con la sua concreta idoneità a tutelare la pubblica tranquillità) è già di per sé desumibile dal suo contenuto e dai richiami ai relativi accertamenti istruttori (ma si deve intendere corroborata dalla ulteriore considerazione che i comportamenti illegali dell’appellato sono continuati, dopo che il TAR – con l’ordinanza n. 2701 del 13 giugno 2014 – ha sospeso gli effetti del provvedimento, così consentendo la ripresa della frequentazione dei luoghi, nei quali vi è stata la ripetizione dei medesimi comportamenti).

Non risulta condivisibile la linea difensiva dell’interessato, secondo cui l’atto impugnato gli avrebbe precluso di frequentare i propri congiunti, poiché il medesimo provvedimento ha previsto che egli possa recarsi a Roma, con la “preventiva autorizzazione” della Questura, evidentemente anche allo scopo di consentirgli di continuare a mantenere i propri rapporti familiari.

14. Per le ragioni che precedono, tutte le censure formulate in primo grado vanno respinte, perché infondate. L’appello va dunque accolto, con conseguente rigetto del ricorso originario, in riforma della sentenza del TAR.

Sussistono sufficienti ragioni per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l’appello n. 388 del 2016 e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 6257 del 2014.

Compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2016, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente, Estensore.

Depositato in cancelleria il 6 settembre 2016.