REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. MICHELINI Gualtiero – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15202-2019 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) n. 332, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati VITTORIO (OMISSIS), STEFANO (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) FRANCESCA, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MONICA (OMISSIS);
– controricorrente –
nonché contro
CONSIGLIERA DELLA PARITA’ DELLA CITTA’ METROPOLITANA DI FIRENZE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 224/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 18/03/2019 R.G.N. 45/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2022 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI.
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Firenze, per quanto ancora qui rileva, ha respinto il reclamo proposto da (OMISSIS) SpA avverso la sentenza del Tribunale di Firenze dichiarativa dell’inefficacia del licenziamento intimato in forma orale a (OMISSIS) Francesca in data 8 settembre 2017, con ordine di reintegrazione della medesima nel posto di lavoro e condanna al risarcimento del danno mediante pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, detratto l’aliunde perceptum, ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, oltre accessori;
2. la Corte ha confermato la sentenza del Tribunale, che a sua volta aveva sostanzialmente confermato (salvo che per la misura della retribuzione) l’ordinanza resa in esito alla fase sommaria, per non avere la società provato, come era suo onere, di avere adempiuto con la forma scritta richiesta ad substantiam, e non essendo ammissibile la prova testimoniale (pur assunta in primo grado) sul punto;
3. ha osservato in particolare la Corte che, in fatto, non era controverso che la lavoratrice, inquadrata come dirigente, fosse stata licenziata in occasione di una riunione tenutasi nei locali aziendali l’8/9/2017, alla presenza dell’amministratore delegato e di due dipendenti, essendo invece controverse la forma scritta del recesso datoriale e la modalità della sua comunicazione;
applicando i principi espressi nella sentenza di questa Corte n. 11479/2015, precedente ritenuto particolarmente significativo data la coincidenza dei tratti salienti delle questioni di fatto (licenziamento che il lavoratore impugna come orale, mentre parte datoriale sostiene essere stato intimato per iscritto per avvenuta consegna a mani proprie di una lettera, circostanza da provare per testi), ha rilevato che, qualora a monte sia contestato che al momento dell’estromissione il lavoratore abbia ricevuto la consegna di una lettera di licenziamento, tale modalità di comunicazione non può essere oggetto di prova orale perché, altrimenti, la testimonianza conterrebbe inevitabilmente al suo interno la prova orale dell’esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta ad substantiam, e che il divieto di prova orale stabilito dall’art. 2725 c.c. su atti di cui la legge prevede la forma scritta a pena di nullità non è superabile con l’esercizio dei poteri istruttori del giudice del lavoro;
ha analizzato compiutamente i precedenti richiamati dalla società come di senso contrario, e concluso non trattarsi di principi difformi, ma di casi concreti non assimilabili a quello in esame;
4. avverso la predetta sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, dato atto dell’esercizio da parte della lavoratrice dell’opzione per il pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra;
ha resistito con controricorso la lavoratrice, concludendo per l’inammissibilità del gravame e contestando altresì l’univocità delle deposizioni testimoniali nel senso propugnato da parte ricorrente;
parte ricorrente ha comunicato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2 L. 604/1966, 1334, 1335, 2725, 2697 c.c., 24 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere i testimoni affermato la ricezione da parte della lavoratrice della lettera di licenziamento consegnatale a mano, e dunque per avere provato l’esistenza della lettera documentalmente e la sua consegna tramite testimoni;
2. con il secondo motivo, deduce erronea e falsa applicazione della L. 92/2012 e dell’art. 18 L. 300/1970, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio diretti alla ricerca della verità sostanziale, senza formalità preclusive;
3. il ricorso è inammissibile a norma dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.;4. con la sentenza impugnata la Corte di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare orientamento;
5. la Corte di merito ha espressamente richiamato ed applicato la sentenza di questa Corte n. 11479/2015, in fattispecie concreta assai simile (produzione datoriale di lettera di intimazione di licenziamento con la dicitura, in calce, della sua avvenuta lettura al lavoratore), in cui è controversa, come nel caso in esame, la tempestiva redazione per iscritto della lettera di licenziamento, ossia è – a monte – contestato che al momento dell’estromissione dall’azienda alla lavoratrice fosse stato letto, mostrato o consegnato uno scritto contenente la volontà datoriale di recesso;
6. in tale caso – si osserva nella motivazione del precedente richiamato – ex art. 2725 cpv. c.c. non è consentita la prova testimoniale di un contratto (o di un atto unilaterale, ex art. 1324 c.c.) di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità se non nel caso indicato dal precedente art. 2724 n. 3 c.c., vale a dire quando il documento sia andato perduto senza colpa (circostanza non allegata nella presente controversia);
si tratta di divieto di testimonianza che ne importa inammissibilità rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (attenendo a norma di ordine pubblico), a differenza di quanto avviene in ipotesi di violazione degli artt. 2721 e ss. c.c. o di testimonianza assunta in materia di atti unilaterali e contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad probationem tantum;
né tale divieto è superabile ex art. 421 co. 2°, prima parte, c.c., noto essendo che esso, nell’attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, si riferisce non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem) per alcuni tipi di contratti, ma ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 stesso codice;
a tal fine non può supplire il documento prodotto dalla società e consistente in una lettera di licenziamento, quando di tale documento non risulta la data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all’estromissione del lavoratore, né la data potrebbe essere quella riferita dai testi, perché in tal modo si aggirerebbe surrettiziamente quel divieto di prova testimoniale di cui all’art. 2725 cpv. c.c.;
pertanto, non potendosi provare in via testimoniale la — controversa – comunicazione per iscritto del licenziamento, lo stesso risulta nullo per difetto della forma prevista ex lege;
7. poiché il precedente in questione risulta univoco, chiaro e condivisibile, esso è idoneo ad integrare l’orientamento della giurisprudenza della S.C. di cui all’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Cass. 4366/2018);
8. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, con distrazione in favore dell’avv. Monica (OMISSIS), difensore della controricorrente dichiaratasi antistataria;
9. alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in € 4.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 27 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria l’8 settembre 2022.