È peculato se il pubblico ufficiale non versa il denaro ricevuto nell’interesse dell’amministrazione per la quale agisce (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 7 luglio 2021, n. 25913).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo – Presidente –

Dott. ROSATI Martino – Rel. Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Angelo, nato a (OMISSIS) (SR) il 30/07/19xx;

avverso la sentenza del 14/02/2020 della Corte di appello di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Martino Rosati;

lette le richieste formulate dal Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Pietro Molino, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza, per prescrizione del reato.

RITENUTO IN FATTO

1. Angelo (OMISSIS), attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Catania del 14 febbraio 2020, che ne ha confermato la condanna per il delitto di peculato, con le conseguenti statuizioni risarcitorie ed indennitarie in favore della parte civile A.S.P. di Siracusa, disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa con sentenza del 18 marzo 2015.

Gli si addebita di essersi appropriato, nella sua qualità di collaboratore amministrativo in servizio presso la A.u.s.l. n. 8 di Siracusa, di due assegni bancari, consegnatigli dall’utente Salvatore (OMISSIS) in distinti momenti, in pagamento della relativa quota di spese sanitarie per il ricovero del proprio fratello presso una residenza sanitaria assistita.

2. Unico è il motivo di ricorso ed attiene alla qualificazione giuridica del fatto quale truffa aggravata, ai sensi degli artt. 61, n. 9), e 640, cod. pen., anziché come peculato.

Tale assunto si fonda su due ragioni:

1) dette somme non potevano ritenersi possedute dall’imputato per ragione del proprio ufficio, non rientrando tra i suoi compiti istituzionali l’esazione di quei pagamenti, essendo egli addetto all’attività istruttoria per la liquidazione ed il pagamento delle spettanze dei fornitori di quella A.u.s.I.;

2) quelle somme, inoltre, non erano nella disponibilità originaria dell’ente, bensì egli l’ha acquisita attraverso l’inganno, convocando l’utente in ufficio in orario di chiusura e, in occasione della consegna del secondo assegno, comunicandogli falsamente che il conto corrente postale della tesoreria della A.u.s.l. fosse cambiato, così inducendolo a pagare mediante quel titolo e non attraverso bollettino postale.

3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza, per intervenuta estinzione del reato per prescrizione.

4. Il difensore del ricorrente, dopo aver revocato una precedente istanza di trattazione orale del procedimento, ha fatto pervenire in cancelleria tramite pec, lo scorso 26 marzo, dichiarazione di adesione ad un’astensione di categoria in atto.

Tanto, però, non dà diritto al differimento della trattazione del procedimento: non era prevista, infatti, attività d’udienza in presenza; né, al momento in cui tale dichiarazione è stata formulata, sarebbe stato più possibile per il difensore anche soltanto la presentazione di conclusioni scritte, essendo già scaduto il termine dilatorio di cinque giorni prima dell’udienza, a tal fine previsto dall’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non ha fondamento giuridico.

1.1. Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto comunque di inserirsi nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (tra moltissime altre: Sez. 6, n. 33254 del 19/05/2016, Caruso, Rv. 267525; Sez. 6, n. 18015 del 24/02/2015, Ambrosio, Rv. 263278; Sez. 6, n. 12368 del 17/10/2012, dep. 2013, Medugno, Rv. 255998).

1.2. Altrettanto indiscussa è la linea interpretativa tracciata sotto l’ulteriore profilo qui rilevante, ovvero quello dell’elemento distintivo tra i delitti di peculato e di truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61, n. 9), cod. pen., il quale risiede nelle modalità di acquisizione del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione: ricorre la prima figura delittuosa, cioè, quando l’agente pubblico si appropri di quanto già sia nella sua disponibilità, materiale o giuridica, per ragione del suo ufficio o servizio; deve ravvisarsi, invece, la truffa aggravata qualora l’agente, non avendo tale disponibilità, se la procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri, in funzione della condotta appropriativa del bene (tra le tante: Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256595; Sez. 6, n. 32863 del 25/05/2011, Pacciani, Rv. 250901; Sez. 6, n. 5494 del 22/10/2013, dep. 2014, Grifo, Rv. 259070; Sez. 6, n. 50758 del 15/12/2015, Bolzan, Rv. 265931; Sez. 6, n. 19484 del 23/01/2018, Bellinazzo, Rv. 273782).

In particolare, poi, anche per il danaro, la nozione di possesso deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione materiale della cosa, ma anche della sua disponibilità giuridica, nel senso che il soggetto agente deve essere in grado, mediante un atto dispositivo di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio, di inserirsi nel maneggio o nella disponibilità del danaro e di conseguire quanto poi costituisca oggetto di appropriazione (così, tra le più recenti, Sez. 6, n. 18485 del 15/01/2020, Cannata, Rv. 279302).

2. Sulla base di tali premesse, corretta si presenta la qualificazione giuridica della condotta del ricorrente, come operata dai giudici di merito.

La sentenza spiega compiutamente, senza che il ricorso ponga alcuna obiezione, che quegli era l’impiegato addetto alla contabilità dell’ente ed alla liquidazione degli importi dovuti, ed altresì che, tra le sue mansioni, v’era pure quella di contattare i debitori, con l’invito ad eseguire i relativi versamenti: non è discutibile, dunque, che egli fosse nella disponibilità giuridica, oltre che materiale, delle somme che l’Amministrazione avrebbe dovuto ricevere in pagamento e da lui riscosse, inserendosi, proprio in ragione delle sue attribuzioni funzionali, nel procedimento di formazione della volontà amministrativa, attraverso l’espletamento di una serie di compiti a lui riservati.

Non ha alcuna rilevanza, dunque, la sola circostanza per cui tali somme siano state versate dall’utente con modalità diverse da quelle previste e che neppure è dato di sapere se fossero o meno esclusive ed infungibili.

Come la sentenza impugnata ha correttamente ricordato, infatti, la Corte di cassazione ha già avuto modo di specificare che commette peculato l’agente pubblico che ometta di versare il denaro ricevuto nell’interesse dell’amministrazione per la quale agisce, in quanto il denaro entra nella disponibilità di quest’ultima nel momento stesso della consegna al pubblico ufficiale, senza che abbiano rilievo alcuno le modalità di riscossione e l’eventuale irritualità dei mezzi di pagamento, anche in contrasto con disposizioni ed assetti organizzativi dell’ufficio, e la circostanza che il pubblico ufficiale sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle competenze che il mansionario interno prevede (Sez. 6, n. 26081 del 28/04/2004, Torregrossa, Rv. 229743).

Deve perciò concludersi che, quando una prestazione di denaro o di altra cosa mobile sia dovuta in favore della pubblica amministrazione, le modalità della relativa consegna, quantunque diverse da quelle previste o consentite dalla normativa di riferimento o dalle prassi invalse nell’ufficio, e benché suggerite dal pubblico agente infedele, non incidono sulla legittimità dell’acquisizione di tali cose al patrimonio dell’ente pubblico: con la conseguenza che, qualora costui, dopo averle ricevute in ragione della sua funzione istituzionale, se ne appropri, commetterà il reato di peculato e non quello di truffa aggravata.

3. La sentenza impugnata, tuttavia, non può essere confermata.

Nelle more dell’impugnazione, infatti, il reato si è prescritto.

La condotta, infatti, si è protratta sino al 29 febbraio 2008 e, in ragione della pena massima allora prevista per la relativa fattispecie (dieci anni di reclusione), il relativo termine massimo, quantunque prorogato, è pari a dodici anni e sei mesi da allora (dunque, 31 agosto 2020); poiché, inoltre, esso è rimasto sospeso ex lege per ulteriori 64 giorni, a norma dell’art. 83, d.l. 17 marzo 2020, n. 83, la prescrizione è comunque maturata il 4 novembre 2020.

La decisione impugnata, dunque, dev’essere annullata senza rinvio.

4. La responsabilità dell’imputato per i fatti oggetto d’addebito, comunque accertata, comporta necessariamente la conferma delle statuizioni civili in favore della parte civile A.S.P. di Siracusa.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.

Conferma le statuizioni civili.

Così deciso in Roma, il 30/03/2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.