È valida la querela formalmente “intestata” al coniuge della persona offesa (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 11 ottobre 2022, n. 38215).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna – Presidente –

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –

Dott. TUDINO Alessandrina – Rel. Consigliere –

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) MICHELINA nata a AVELLINO il 06/04/19xx;

avverso la sentenza del 22/10/2020 del GIUDICE DI PACE di ARIANO IRPINO.

Rilevato che le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale, ex art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza dell’art. 16 del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ALESSANDRINA TUDINO;

letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, Dott.ssa SABRINA PASSAFIUME, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;

letta la memoria conclusionale della difesa.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata del 22 ottobre 2020, il Giudice di pace di Ariano Irpino ha affermato la responsabilità penale di Michelina (OMISSIS) in ordine al reato di minaccia in danno di Gervasia (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza indicata ha formulato impugnazione – trasmessa a questa Corte dal Tribunale di Benevento previa qualificazione dell’appello irritualmente proposto – l’imputata, con atto a firma del difensore, Avv. Antonio Gerardo (OMISSIS), affidando le proprie censure a due motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..

2.1. Con il primo motivo, deduce vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità per avere il Giudice di pace omesso in toto di svolgere alcuna valutazione di contesto, limitandosi ad affermare la portata minatoria dell’espressione “ti faccio saltare i denti dalla bocca” in modo del tutto avulso dalle risultanze processuali e senza specificare i criteri posti a fondamento della valutazione d’attendibilità della persona offesa.

Con ulteriore argomento, contesta la validità della querela per essere stata l’istanza di punizione proposta da Michele (OMISSIS) il 4 dicembre 2015 davanti ai carabinieri di Grottaminarda, e sottoscritta dalla persona offesa (OMISSIS) solo in quanto presente all’atto, con conseguente carenza della condizione di procedibilità.

2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge quanto alla portata intimidatoria della frase profferita, ritenuta senza alcun vaglio del concreto contesto di riferimento che, ove valutato, avrebbe condotto ad escludere la rilevanza penale del fatto, in considerazione della condotta illecita posta in essere dalla persona offesa e della forma condizionata della prospettata intimidazione, volta a prevenire un’azione contra ius o inopportuna dell’antagonista.

3. Con requisitoria depositata in data 25 luglio 2022, il Procuratore generale presso questa Corte Suprema ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è complessivamente infondato.

1.1. La questione relativa alla procedibilità dell’azione penale, proposta nel primo motivo, è infondata.

1.1.1. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, ai fini dell’esercizio del diritto di querela è sufficiente la espressa qualificazione formale dell’atto con il quale esso viene esercitato, costituendo il termine “querela” sintesi della manifestazione della volontà che lo Stato proceda penalmente in ordine al fatto di reato in essa descritto (Sez. 4, n. 10789 del 30/01/2020, Simonazzi, Rv. 278654), sempre che il pubblico ufficiale abbia provveduto a redigere processo verbale in cui siano raccolte le dichiarazioni del querelante, unitamente alla rituale manifestazione della volontà di punizione; e tanto anche laddove la stessa non risulti sottoscritta dallo stesso querelante, in quanto è necessario distinguere l’ipotesi di cui all’art. 337, comma primo, cod. proc. pen. – concernente il caso in cui la querela redatta dall’interessato sia presentata – da quella di cui all’art. 337, comma secondo, cod. proc. pen., concernente il caso in cui la dichiarazione di querela sia compiuta in forma orale e consegnata in un processo verbale redatto dall’autorità che la riceve, considerato che solo nel primo caso l’assenza di sottoscrizione comporta l’invalidità della querela e la conseguente improcedibilità dell’azione penale, mentre tale invalidità non opera nell’ipotesi di cui all’art. 337, comma secondo, cod. proc. pen., trattandosi di omissione ascrivibile al p.u. a fronte dell’inequivoca volontà di punizione esternata dal querelante, compiutamente identificato e rispettoso della disciplina concernente la proposizione della querela (Sez. 5, n. 576 del 27/10/2011, dep. 2012, Gatto, Rv. 252663).

1.1.2. Nel quadro così delineato, ad escludere validità all’atto di querela in esame non rileva il fatto che la stessa sia stata formalmente “intestata” a Michele (OMISSIS), coniuge della persona offesa (OMISSIS), in quanto la sottoscrizione apposta dalla medesima, presente all’atto redatto dal pubblico ufficiale, implica l’adesione al contenuto espositivo ed alla volontà di punizione da parte del destinatario dell’offesa, in tal modo risultando integrati i requisiti di legittimazione e di forma prescritti dalla legge.

In altri termini, la presenza e la sottoscrizione della persona offesa alla mera esposizione dei fatti, resa da terzi, alla presenza del pubblico ufficiale redigente l’atto, rende – come correttamente ritenuto dal Giudice di pace – l’atto alla stessa direttamente riferibile, contenendo la manifestazione della volontà di perseguire l’autore del reato, in presenza della dichiarazione, sottoscritta dalla persona offesa “previa lettura e conferma”, di sporgere “la presente denuncia – querela”.’

Deve essere, pertanto, qui affermato come, ai fini della validità della querela, la manifestazione della volontà di perseguire l’autore del reato, è univocamente desumibile dall’espressa qualificazione dell’atto, formato dalla polizia giudiziaria, come “verbale di denuncia querela”, qualora l’atto – sebbene contenente l’esposizione dei fatti ad opera di terzi – rechi la dichiarazione, sottoscritta dalla persona offesa “previa lettura e conferma”, di sporgere “la presente denuncia – querela”.

1.2. Il primo motivo è, nel resto, infondato, al pari del secondo.

1.2.1. Nella qualificazione giuridica del fatto, il Giudice di pace ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi, enunciati da questa Corte (ex multis Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014, Scognamillo, Rv. 261678), per cui, nel reato di minaccia, elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire, restando irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente.

In linea con la natura di reato di pericolo e di mera condotta, è, invero, necessaria la verifica, ex ante ed in concreto, dell’attitudine minatoria della condotta, che integra il delitto di cui all’art. 612 cod. pen. quando l’agente prospetti un’attività aggressiva illegittima, ove valutata nel contesto e nel momento in cui è stata proferita, avuto riguardo ai toni e alla cornice di riferimento, non rilevando che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito (Sez. 5, n. 11708 del 15/10/2019, dep. 2020, Bonucchi, Rv. 278925; Sez. 5, n. 9392 del 16/12/2019, dep. 2020, Di Maggio, Rv. 278664; Sez. 5, n. 6756 del 11/10/2019, dep. 2020, Giuliano, Rv. 278740; Sez. 2, n. 21684 del 12/02/2019, Bernasconi, Rv. 275819).

1.2.2. Nel caso in esame, il Giudice di pace ha reputato che l’espressione “ti faccio saltare i denti dalla bocca”, rivolta in pubblico dall’imputata alla persona offesa, oltre a prospettare – per l’inequivocabile tenore semantico della locuzione, peraltro accompagnata dal correlativo gesto – un male ingiusto, fosse caratterizzata da attitudine intimidatoria per essere la stessa collocata in un più ampio contesto di invettive (p.3).

Sul punto, è appena il caso di rilevare come il pericolo debba essere riguardato non già nella prospettiva di una lesione effettivamente rispondente al danno minacciato, bensì a qualsivoglia iniziativa pregiudizievole ingiustamente rivolta alla persona offesa e suscettibile di essere realizzata, anche con modalità meno gravi.

Siffatta valutazione è stata contestata, nel ricorso, richiamando la ricostruzione resa dalla stessa imputata, mirata a collocare i fatti nel contesto di un’inevitabile reazione della (OMISSIS) ad un’azione ingiusta posta in essere dalla stessa (OMISSIS).

Siffatta deduzione, tuttavia, oltre che meramente assertiva e non autosufficiente, in assenza della precisa indicazione della fonte di prova asseritamente trascurata (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419), involge, all’evidenza, questioni di fatto, senza che sia allegato un decisivo travisamento, idoneo a disarticolare l’iter giustificativo reso nella sentenza impugnata (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758); ne deriva che l’esclusione della punibilità della minaccia in forma condizionata, limitata alle sole ipotesi in cui l’autore intenda non già restringere la libertà psichica del minacciato, bensì prevenire un’azione illecita dello stesso, rappresentandogli tempestivamente quale reazione legittima determinerebbe il suo comportamento (Sez. 5, n. 37438 del 15/07/2021, Margiotta, Rv. 281874), resta affidata alla sola prospettazione della ricorrente, senza trovare conforto in alcun elemento effettivamente travisato o trascurato.

La ricorrente, in conclusione, finisce per ricostruire la fattispecie in termini di reato di evento, introducendo una personale rivalutazione della prova che tende a richiedere un inammissibile sindacato sul merito della regiudicanda.

Il ricorso è, pertanto, complessivamente infondato.

3. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria, oggi 11 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.