Emissioni sonore e ordinanze del sindaco ai sensi della legge quadro sull’inquinamento acustico (Consiglio di Stato, Sezione Prima, Parere 19 luglio 2021, n. 2075).

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 14 aprile 2021

NUMERO AFFARE 00792/2020

OGGETTO:

Ministero dell’interno-Dipartimento per gli affari interni e territoriali.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da Marta De Oliveira, contro Comune di Salgareda, Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione ambientale del Veneto (Arpav), e nei confronti di Sana Aissat, Monouar Driss, avverso l’ordinanza sindacale di limitazione orario di esercizio del bar Vigonovo “Da Giangi”.;

LA SEZIONE

Vista la relazione n. 0008298 dell’1 luglio 2020 con la quale il Ministero dell’interno-Dipartimento per gli affari interni e territoriali ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Fabrizio Cafaggi;

Premesso:

Riferisce l’Amministrazione che, in data 19 ottobre 2018 ed in data 16 novembre 2018, a seguito delle lamentele dei cittadini residenti sopra il bar Vigonovo “da Giangi”, sito in viale Veneto n. 20, a Salgareda, della ditta De Oliveira Marta, l’Arpav ha effettuato dei controlli fonometrici all’interno delle abitazioni sovrastanti il predetto bar, i cui residenti già dal 2014 hanno lamentato il disturbo alla quiete ed al riposo notturno.

Con i relativi verbali n. 24/10/MI/TS del 4 dicembre 2018 e n. 3A del 7 gennaio 2019 ed al rapporto di prova n. 066/2018 del 7 gennaio 2019, sono state contestate al bar Vigonovo “da Giangi” emissioni di livello differenziale di immissione di cui all’art. 4 del DPCM 14 novembre 1997.

Pertanto, in data 9 gennaio 2019, il Comune invitava la ricorrente ad adottare alcuni accorgimenti allo scopo di mantenere i livelli di rumore entro i parametri indicati dal DPCM 14 novembre 1997, al fine di diminuirne l’emissione.

Con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica vengono impugnati:

– ordinanza sindacale n. 11 del 06/03/2019, notificata il 07/03/2019, avente ad oggetto “limitazione orario di esercizio locale Bar Vigonovo Da Giangi” e altre prescrizioni;

– tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, tra cui: il parere dell’Arpav n. 289 del 09/01/2019; il verbale dell’A.R.P.A.V. n. 3a del 07/01/2019 di accertamento e contestazione di violazione amministrativa; il verbale dell’Arpav di ispezione e sopralluogo n. 24/10/MI/TS del 04/12/2018; il rapporto di prova (Arpav) n. 066/2018 del 07/01/2019.

La ricorrente ritiene che i provvedimenti impugnati siano illegittimi per i seguenti motivi di diritto:

– Violazione di lese (art. 31 e ss d.l. n. 201/2011; artt. 50 e 54 del d.lgs 267/2000; art. 9 della 1. n. 447/1995). Violazione dell’art. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990. Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, carenza di motivazione, errore, sviamento di potere. Incompetenza;

– Violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa; violazione dell’art. 50 del regolamento comunale di polizia urbana;

– Violazione e falsa applicazione del D.P.C.M. 1/03/1991 e del D.P.C.M 14/11/97, in tema di inquinamento acustico; eccesso di potere per illogicità contraddittorietà, carenza di motivazione, errore, sviamento di potere;

– Violazione del D.M. 16 marzo 1998 sulle tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico e dell’art. 3, n. 1, lett c) della legge 447 del 1995. Difetto di istruttoria;

– Eccesso di potere per difetto di presupposto, carenza di istruttoria, illogicità e difetto di motivazione.

L’amministrazione esprime l’avviso che il ricorso debba essere respinto.

Considerato:

1. Può prescindersi dall’eccezione di inammissibilità del ricorso riguardante la dedotta nullità della procura in quanto il gravame è infondato nel merito.

2. La ricorrente deduce innanzi tutto – sotto un primo profilo – che, a fronte dell’art. 31 e ss. d.l. n. 210/2011 che ha introdotto il principio della liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali e di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, l’ordinamento consente al Sindaco di intervenire eventualmente o tramite l’esercizio del potere ordinario ovvero mediante l’esercizio del potere extra ordinem.

Nel caso di specie, l’ordinanza del Comune – sempre secondo la ricorrente – pare essere stata adottata in applicazione d’art. 50, commi 7 e 1-bis. del d.lgs. 18/08/2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Essa però sarebbe illegittima perché non si tratta di aree della città interessata da afflusso particolarmente rilevante di persone, né di area comunque interessata da fenomeni di aggregazione notturna, né il Comune ha comunque concretamente motivato il provvedimento con riferimento all’esistenza di una di dette circostanze, essendosi limitato, genericamente, a motivare la limitazione di orario per un asserito disturbo della quiete pubblica; inoltre la limitazione d’orario è stata disposta sine die; infine non è stata garantita alcuna partecipazione procedimentale.

2.1 Al riguardo il Collegio premette che, secondo un consolidato orientamento, la qualificazione dell’atto amministrativo dev’essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti (Cons. Stato, sez. III, 15 giugno 2015, n. 2956; Cons. St., sez. IV, 15 aprile 2013, n.2027).

Orbene, in coerenza con il criterio interpretativo appena riportato, a sua volta espressivo del principio generale della prevalenza della sostanza sulla forma degli atti giuridici, ritiene che, nel caso di specie, come del resto prospetta la stessa ricorrente, il Comune abbia esercitato i poteri conferiti dall’art. 9 della 1. n. 447/1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico).

3. Con il secondo profilo del primo motivo la ricorrente deduce, appunto, che l’ordinanza si porrebbe comunque anche al di fuori dei limiti normativamente previsti per l’esercizio del potere extra ordinem ex art. 54, commi 4 e 6, d. lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e art. 9 della legge n. 447/1995 (Legge quadro sull’inquinamento acustico) in quanto tali poteri possono essere esercitati solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale e imprevisto, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali non sia possibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico e unicamente in presenza di un preventivo accertamento della situazione, fondato su prove concrete e non su mere presunzioni.

A suo avviso tali condizioni non sussistono nel caso in esame perché non era ravvisabile alcun pericolo irreparabile ed imminente per la collettività.

Inoltre la situazione era, da un lato, prevedibile, essendo il Comune ben a conoscenza che saltuariamente venivano organizzati piccoli intrattenimenti musicali e, dall’altro lato, comunque fronteggiabile con le misure ordinarie in base alle indicazioni date dall’ Arpav. Peraltro, l’ordine contenuto nel provvedimento difetterebbe dei requisiti della temporaneità.

3.1 In merito si ribadisce come, nel caso di specie, il sindaco ha dato sostanzialmente applicazione alla legge 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull’inquinamento acustico) che, all’art. 9 (Ordinanze contingibili ed urgenti), prevede che “Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente il sindaco, […], con provvedimento motivato, [possa] ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività. […].”.

E’ noto come tale legge quadro ha ridefinito il concetto di inquinamento acustico rispetto alla nozione individuata dal precedente d.p.c.m. del 1991. Infatti il legislatore ha voluto estendere la tutela a tutto l’ambiente esterno ed ha dato rilevanza, inoltre, per la prima volta, al disturbo arrecato al riposo e alle attività umane.

In sostanza è stato valutato ogni possibile effetto negativo del rumore, inteso come fenomeno “inquinante”, tale cioè, da avere effetti negativi sull’ambiente, alterandone l’equilibrio ed incidendo non soltanto sulle persone, sulla loro salute e sulle loro condizioni di vita, facendo la norma riferimento anche agli ecosistemi, ai beni materiali ed ai monumenti (Cass. pen. Sez. III, n. 56430/2017).

Per quanto può rilevare nel caso in esame, il concetto di inquinamento acustico è stato qualificato come “l’introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane“, sancendo espressamente che esso concreta (in ogni caso) “un pericolo per la salute umana” (art. 2, comma 1, lettera a).

Ciò premesso, le censure sopra dette non possono essere accolte.

Il Collegio, difatti, condivide l’orientamento della prevalente giurisprudenza dei giudici amministrativi secondo cui:

– la quiete pubblica – intesa come limite di compatibilità delle emissioni sonore, prodotte da una fonte determinata, con uno specifico ambito territoriale, in relazioni alle caratteristiche di questo, secondo un criterio di media tollerabilità – costituisce un bene collettivo, il quale si va facendo vieppiù scarso, rispetto al passato, anche nelle ore notturne: e poiché questo è il periodo della giornata che la massima parte della popolazione dedica al riposo, è evidente che, con l’incremento dei rumori sono aumentati disagi fisici e psicologici che, non di rado, sfociano in malattie vere e proprie. La quiete costituisce, dunque, una condizione necessaria affinché sia garantita la salute, che deve essere tutelata “come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività” (art. 32 Cost.) dagli enti pubblici competenti, tra cui certamente i Comuni: e se questi ne hanno il dovere, i cittadini hanno a loro volta un interesse, variamente azionabile, a che le Amministrazioni reprimano quei comportamenti che pregiudicano la quiete pubblica e, per la conseguenza, la salute di un numero indeterminato di persone. Il diritto alla quiete, come espressione del diritto alla salute psicofisica, prevale certamente sugli interessi economici di quanti costituiscano la causa diretta od indiretta del disturbo, svolgendo un’attività economica di cui essi soli percepiscono i proventi, riversandone viceversa sulla collettività circostante i pregiudizi (TAR Veneto-Venezia, n. 1582/2007);

– in questo contesto la disposizione di cui all’art. 9 della L. n. 447 del 1995 non può essere riduttivamente intesa come una mera (e, quindi, pleonastica) riproduzione, nell’ambito della normativa di settore in tema di tutela dall’inquinamento acustico, del generale potere di ordinanza contingibile ed urgente tradizionalmente riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico al sindaco (quale ufficiale di Governo) in materia di sanità ed igiene pubblica, ma invece la stessa deve essere logicamente e sistematicamente interpretata nel particolare significato che assume all’interno di una normativa dettata – in attuazione, come detto, del principio di tutela della salute dei cittadini previsto dall’art. 32 della Costituzione – allo scopo primario di realizzare un efficace contrasto al fenomeno dell’inquinamento acustico (ex multis: TAR Lombardia-Brescia n. 1276/2011);

– conseguentemente l’utilizzo del particolare potere di ordinanza contingibile ed urgente delineato dall’art. 9 della legge n. 447/1995, deve ritenersi (“normalmente”) consentito allorquando gli appositi accertamenti tecnici effettuati dalle competenti agenzie regionali di protezione ambientale rivelino la presenza di un fenomeno di inquinamento acustico, tenuto conto sia che quest’ultimo – ontologicamente (per esplicita previsione dell’art. 2 della stessa legge n. 447/1995) – rappresenta una minaccia per la salute pubblica, sia che la legge quadro sull’inquinamento acustico non configura alcun potere di intervento amministrativo “ordinario” che consenta di ottenere il risultato dell’immediato abbattimento delle emissioni sonore inquinanti (ex multis: TAR Lombardia-Brescia n. 1276/2011);

– tale orientamento è stato confermato da questo Consiglio di Stato che ha ritenuto che il potere di cui all’art. 9 della L. n. 447/1995 non va riduttivamente ricondotto al generale potere di ordinanza contingibile ed urgente in materia di sanità ed igiene pubblica, dovendo piuttosto essere qualificato quale ordinario rimedio in tema di inquinamento acustico; ciò perché, in assenza di altri strumenti a disposizione delle amministrazioni comunali, la presenza di una accertata situazione di inquinamento acustico rappresenta di per sé una minaccia per la salute pubblica (Cons. Stato, sez. V, n. 1372/2013);

– mentre quella riconosciuta dal codice civile al privato interessato di adire l’Autorità giudiziaria ordinaria per far cessare le immissioni dannose che eccedano la normale tollerabilità è una mera facoltà, il potere del Sindaco di emanare l’ordinanza ex art. 9 della L. n. 447/1995 è un dovere connesso all’esercizio delle sue pubbliche funzioni, al quale non può sottrarsi (anche se è leso un solo soggetto) spogliandosi del potere, di valore pubblicistico, di reprimere l’inquinamento acustico e attribuendolo al privato, cui il codice civile riconosce la facoltà di esercitare il diritto a non subire le emissioni dannose e non il dovere, se eccedenti i valori massimi consentiti. Le facoltà concesse al privato dall’art. 844 del c.c. e i doveri della P.A. previsti dalla normativa in materia di attività produttive, là dove fissa le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità, hanno finalità e campi di applicazione distinti, atteso che la norma civilistica tutela il diritto di proprietà ed è finalizzata a disciplinare i rapporti di natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini, mentre l’altra normativa ha carattere pubblicistico, dal momento che persegue finalità di interesse pubblico ed è volta a regolare i rapporti tra i privati e la P.A. (Cons. Stato, sez. V, n. 1372/2013);

– in siffatto contesto normativo, l’accertata presenza di un fenomeno di inquinamento acustico (pur se non coinvolgente l’intera collettività) appare sufficiente a concretare l’eccezionale ed urgente necessità di intervenire a tutela della salute pubblica con l’efficace strumento previsto (soltanto) dall’art. 9, primo comma, della citata legge n. 447/1995;

– per quanto concerne il presupposto dell’urgenza, è necessaria e sufficiente la sussistenza e l’attualità del pericolo, non rilevando che la situazione fosse nota da tempo (TAR Liguria-Genova n. 222/2021) come asserisce la ricorrente; in sostanza la preesistenza di una situazione di urgenza non esclude l’attualità del pericolo. Ciò che rileva è l’effettiva esistenza di una situazione di pericolo imminente al momento di adozione dell’ordinanza;

– se è vero è che l’istituto dell’ordinanza contingibile e urgente non può essere impiegato per conferire un assetto stabile e definitivo agli interessi coinvolti, questo non significa che i provvedimenti contingibili debbano considerarsi automaticamente illegittimi solo perché sprovvisti di un termine finale di durata o di efficacia. Sicché anche misure non definite nel loro limite temporale possono essere reputate legittime, quando, come nel caso di specie, siano razionalmente collegate alla concreta situazione di pericolo accertata rapportata alla situazione di fatto (Cons. Stato, sez. V, n. 1372/2013);

– l’ordinanza contingibile e urgente ex art. 9 della legge n. 447/1995 è connotata in re ipsa dall’urgenza qualificata che, ai sensi del comma 1 dell’art. 7 della legge n. 241/1990, consente all’Amministrazione di derogare agli adempimenti partecipativi del procedimento (TAR Liguria-Genova n. 222/2021).

4. Con il secondo motivo viene dedotto che l’ordinanza, nella parte in cui pone le limitazioni d’orario, sarebbe in ogni caso illegittima anche per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza che si sostanzia nella regola per cui deve sussistere sempre una proporzionalità tra l’azione amministrativa e l’interesse pubblico concretamente perseguito e implica che l’Amministrazione debba adottare la soluzione più idonea ed adeguata e comportante, allo stesso tempo, il minore sacrificio possibile per gli interessi privati.

4.1 Al riguardo è necessario specificare che nel caso del locale della ricorrente le aree comprendevano sia spazi al chiuso che spazi all’aperto. Tale circostanza fattuale determina una valutazione di proporzionalità differenziata in ragione della natura delle misure di prevenzione che devono adottarsi per la riduzione delle emissioni sonore e la conseguente diminuzione del disturbo alla quiete ed alla tranquillità. Infatti, mentre in relazione agli spazi interni, il criterio di proporzionalità richiede di esplorare prima misure tecniche di insonorizzazione e, solo come ultima ratio, quella della anticipazione dell’orario di chiusura, per gli spazi esterni la difficoltà di impiegare strumenti tecnici di riduzione delle emissioni può richiedere l’adozione di provvedimenti più radicali come quello dell’anticipazione dell’orario di chiusura.

Al fine di valutare la proporzionalità della misura oggetto del provvedimento impugnato è necessario esaminare non solo la relazione tra contenuto ed effetti della misura ma anche l’ambito dei doveri spettanti all’esercente l’attività di somministrazione di alimenti e bevande e di intrattenimento. Solo tale analisi consente di accertare se la misura impugnata abbia rispettato il canone della proporzionalità.

All’esercente attività di somministrazione ed intrattenimento spetta la predisposizione di locali e di spazi che minimizzino il disturbo alla quiete, riducendo le emissioni sonore, prevenendo schiamazzi e litigi che possano arrecare disturbo agli abitanti della zona circostante, come precisato dalla giurisprudenza amministrativa e, in relazione al reato di cui all’art. 659 c.p. (Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) da quella penale.

Secondo la Cassazione penale “Risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne; la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall’ordinamento come l’attuazione dello ius excludendi e il ricorso all’autorità di pubblica sicurezza, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica” (Cassazione penale sez. III, 21/03/2018, n.19690; nello stesso senso Id. 11/11/2020, n.1717).

Il reato in questione – afferma la Corte – è, infatti, un reato di pericolo concreto, nel senso che, sebbene non sia necessaria ai fini della integrazione della fattispecie penale la concreta lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice – da individuarsi nel diritto alla quiete nelle proprie occupazioni ed al riposo di una pluralità tendenzialmente ampia ed indeterminata di soggetti e non solo del singolo e ristretto gruppo di individui che per avventura si trovino a soggiornare nei pressi del luogo dal quale originano gli schiamazzi, i rumori o le emissioni sonore – è, tuttavia, necessario che siffatta idoneità potenziale alla lesione di una indeterminata pluralità di persone si presenti e sia dimostrata in termini di concreta sussistenza (per questo, appunto, si parla di reato di pericolo concreto e non astratto).

La dimostrazione della concreta idoneità potenziale alla lesione di una indeterminata pluralità di persone – precisano i giudici penali – oltre a poter essere data attraverso misurazioni strumentali che, per la loro obbiettiva pregnanza, potranno essere di per sé indicative della idoneità della fonte sonora a diffondersi in termini di intollerabilità, presso un numero imprecisato di soggetti, potrà essere offerta attraverso la analisi di diversi dati fattuali, quali la ubicazione della fonte sonora, in particolare con riferimento al fatto se la stessa si trovi in un luogo isolato ovvero densamente abitato; l’esistenza o meno di un rilevante rumore di fondo che elida in misura più o meno significativa l’idoneità a diffondere i suoi effetti propria della fonte sonora oggetto della ipotesi accusatoria; il fatto che si tratti di una emissione costante ovvero ripetuta, nel qual caso se siffatta ripetizione è soggetta a periodi costanti, più o meno brevi, ovvero se sia occasionale e sporadica.

Nel caso di specie, ovviamente, non viene in considerazione la rilevanza penale della condotta del ricorrente ma il richiamo alla giurisprudenza penale è utile per definire l’ambito dei doveri spettanti all’esercente attività commerciale alla luce dei quali va effettuata la valutazione di proporzionalità. A tal fine rilevano la natura preventiva e non sanzionatoria della misura e la conseguente irrilevanza dello stato soggettivo dell’esercente.

E’ evidente, dunque, che la chiusura anticipata sarebbe sproporzionata se, specie in relazione agli spazi esterni, alcun dovere di vigilanza e controllo spettasse all’esercente ma così non è, come confermato anche dalla giurisprudenza amministrativa.

La modifica dell’orario di apertura e chiusura di singoli esercizi costituisce “misura adeguata a rimuovere l’occasione dei rumorosi assembramenti o delle altre condotte moleste per la quiete pubblica, non rilevando, a tali fini, che il disturbo sia addebitabile agli avventori del locale e non al gestore dello stesso, in quanto simili provvedimenti non hanno natura sanzionatoria e prescindono dalla responsabilità soggettiva dell’esercente, sicché ciò che conta è l’oggettiva ascrivibilità della situazione di grave turbamento del vivere civile all’espletamento dell’attività colpita con l’ordine di variazione dell’orario di durata, nell’assunto che il diritto alla quiete, quale espressione del diritto alla salute psicofisica, prevale sugli interessi economici di quanti costituiscono la causa diretta o indiretta dell’intollerabile situazione di disagio per la collettività, mentre le esigenze di socializzazione e aggregazione vanno soddisfatte in luoghi e orari che non interferiscano con le altrui necessità di riposo e tranquillità” (T.A.R. Parma, Emilia-Romagna, sez. I, 26/03/2019, n.73).

Orbene, il provvedimento sindacale impugnato non ha violato il principio di proporzionalità, considerando : che il dovere di vigilanza dell’esercente attività di somministrazione riguarda sia gli spazi interni che quelli esterni; che gli episodi di disturbo si erano verificati ripetutamente; che idonee misure di prevenzione non erano state adottate; che l’esito del sopralluogo Arpav aveva accertato il superamento del livello ammesso di emissioni sonore.

Al riguardo è appena il caso di notare che l’attività di bar, nel corso degli anni, aveva più volte causato interventi da parte dei Carabinieri e, in particolare: 21/03/2014, ore 01:35(CC. Conegliano); 20/03/2015, ore 02:10 (Tenenza CC. Oderzo); 15/05/2016, ore 01:25 + ore 01:50 (Staz. CC. Motta di Livenza); 01/11/2017, ore 01:55 (Staz. CC. San Polo di Piave); 03/05/2018, ore 01:50 (Staz CC. Cessalto); 08/09/2018, ore 02:35 (Staz. CC. Cessalto); 18/01/2019, ore 00:25;(Staz. CC. Cessalto); 27/01/2019, ore 01:05 (Staz. CC. Cessalto); 25/02/2019, ore 00:25 (Staz. CC. San Polo di Piave); 01/06/2019, ore 23:07 (Staz. CC. San Polo di Piave).

5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce che l’ordinanza sindacale, così come gli accertamenti dell’Arpav, poggiano su un asserito superamento dei soli limiti di rumore cd. differenziali prescritti dall’art. 4 del d.p.c.m. 14/11/97 e non di quelli c.d. assoluti. Sennonché tali limiti non sarebbero attualmente applicabili nel Comune di Salgareda, e quindi alcuna violazione sarebbe contestabile, perché non consta che tale Comune sia dotato di piano di zonizzazione acustica definitivamente approvato ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a), della legge n. 447 del 1995.

5.1 In merito il Collegio ritiene di aderire all’orientamento della Corte di Cassazione – condiviso dalla prevalente giurisprudenza del giudice amministrativo – secondo cui:

In tema di sanzioni amministrative, il superamento dei valori limite differenziali di immissione di rumore nell’esercizio o nell’impiego di sorgente di emissioni sonore, di cui all’art. 6, comma 2, della legge 26 ottobre 1995, n. 447 – volti a proteggere la salute pubblica e da rilevarsi ai sensi dell’Allegato B al d.m. 16 marzo 1998 sia a finestre aperte sia a finestre chiuse, al fine di individuare la situazione più gravosa – costituisce illecito amministrativo ex art. 10, comma 2, della stessa legge, n. 447 del 1995, anche se si verifichi nel territorio di un Comune che non abbia adottato il piano di zonizzazione acustica, poiché la legge citata – dopo aver attribuito ai Comuni tale compito, in forza del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, lett. a), e 4, comma 1, lett. a) – non prefigura, nel disciplinare all’art. 15 il regime transitorio, alcun differimento nell’utilizzo del criterio differenziale in attesa del piano di zonizzazione. Né a diversa conclusione può indurre l’art. 8 del d.p.c.m. 14 novembre 1997, siccome questo, prevedendo che, fino all’adozione dei precisati piani di zonizzazione, “si applicano i limiti di cui all’art. 6, comma 1, del d.p.c.m. 1 marzo 1991”, relativo ai limiti assoluti di zona, non compie alcun riferimento ai limiti differenziali, giacché diversamente opinando si attribuirebbe al d.p.c.m. del 1997, che ha natura regolamentare, una portata derogatoria delle previsioni contenute nella legge quadro del 1995, in difetto di una base legale e in contrasto con la tutela costituzionale del diritto alla salute” (Cassazione Civile, sez. II, 22/12/2011, n. 28386).

In ogni caso il Comune ha adottato il Piano di classificazione acustica del proprio territorio comunale in data 27/12/2013.

6. La ricorrente deduce poi che l’accertamento condotto dall’Arpav e così l’ordinanza comunale risulterebbero viziati in quanto la normativa in tema di inquinamento acustico risulta essere stata violata, quanto all’applicazione del cd. criterio differenziale.

In particolare le verifiche sarebbero erronee perché sono state fatte solo a finestre chiuse, di talché non è stata verificata la seconda condizione, ossia se il rumore ambientale fosse comunque trascurabile (a finestre aperte) perché rientrante nella soglia prevista dalla norma.

6.1 In merito appaiono condivisibili le considerazioni del Ministero dell’ambiente e dell’Arpav.

In particolare l’Agenzia deduce che, con riferimento al comma 2 dell’art. 4 dei DPCM 14 novembre 1997, (Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore) detto comma prevede i casi nei quali non si applicano i valori limite differenziali di immissione previsti al comma 1 dello stesso articolo: «Le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano nei seguenti casi, in quanto ogni effetto del rumore à da ritenersi trascurabile: a) se il rumore misurato a finestre aperte sia inferiore a 50 dB(A) durante il periodo diurno e 40 dB(A) durante il periodo notturno; (…) se i1 livello del rumore ambientale misurato a finestre chiuse sia inferiore a 35 dB(A) durante il periodo diurno e 25 dB(A) durante Il periodo notturno».

Ebbene, con il rapporto di prova n. 066/2018 del 07/01/2019 si evidenziava la violazione del caso b) del citato comma 2, con un superamento in orario notturno della soglia prevista a finestre chiuse di 25 dB(A). Pertanto, l’effetto del rumore non poteva più ritenersi trascurabile, e l’eventuale rispetto della soglia prevista dalla fattispecie a) del comma 2 dello stesso art. 4 non poteva certamente eludere l’accertato superamento nella condizione a finestre chiuse.

Si afferma nel rapporto che nella condizione a finestre chiuse il giorno 20/10/2018 è stato rilevato un livello di rumore ambientale pari a 39,7 dB (A) ed il giorno 16/11/2018 un livello di 40,8 dB (A), entrambi valori superiori anche alla soglia di 35 dB (A) prevista per la condizione a finestre aperte.

Pertanto la misurazione a finestre chiuse rendeva non necessaria quella a finestre aperte come rilevato dal Ministero dell’ambiente, che sottolinea nella nota citata, in ottemperanza alla circolare del 06/09/2004, l’applicabilità del criterio differenziale ex art. 4 DPCM 14/11/1997. In forza di tale criterio il livello di emissione deve essere verificato sia a finestre chiuse sia a finestre aperte e, quindi, anche il superamento di uno solo dei predetti vincoli comporta l’applicabilità del suddetto criterio.

7. La ricorrente, inoltre, deduce che risulterebbero violate anche le metodologie di misure sancite dal decreto ministeriale 16 marzo 1998 recante “tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico“.

7.1 Anche tale doglianza è infondata.

In merito il Collegio – nei limiti in cui è consentito il sindacato in questa sede – non può che prendere atto di quanto esposto dall’Arpav che appare immune da palesi illogicità e contraddittorietà.

Secondo l’Agenzia, difatti: “La norma non impone un rilievo del rumore residuo contestuale al rilievo del rumore ambientale, che è ovviamente impraticabile, né impone una misura temporalmente ravvicinata; impone solo di utilizzare identiche modalità operative e di escludere eventi sonori atipici.

Nel caso specifico le misure sono state eseguite entrambe di venerdì sera; il rumore residuo è stato commisurato nelle stesse posizioni e nelle stesse condizioni del rumore ambientale e con la stessa strumentazione annotando gli eventuali eventi sonori atipici nel rispetto di quanto specificato dalla norma. Nella sessione di misura effettuata dai tecnici ARPAV del 16-17/11/2018 il rilievo del rumore ambientale e residuo è stato eseguito in sequenza immediatamente prima e dopo la chiusura del locale, pertanto rispondendo anche richiesto dal ricorrente di una misura “ravvicinata”.

Con riferimento al punto 1 dell’allegato B) al dm 16/3/98 risulta palese che se che ne sia stata data completa e puntuale applicazione, in quanto prima e durante le misure sono state acquisite tutte le informazioni necessarie ad una corretta valutazione quali, a titolo esemplificativo, le informazioni fornite dal Comune di Salgareda; la comunicazione al Comune di Salgareda da parte della Stazione dei carabinieri di Ponte di Piave numero 32/2-0 2015 datata 26/3/15[…]; le informazioni fornite dall’esponente durante il sopralluogo compiuto dai tecnici ARPAV in data 19/10/2018 di cui al Verbale numero 18/18/IM […]; la verifica dell’assenza di altre fonti di disturbo oltre all’attività bar Vigonovo “Da Giangi” sia durante il sopralluogo preventivo sia con una verifica all’esterno dell’abitazione, nei dintorni, durante le fasi di misura; l’attenta e costante presenza degli operatori durante le misure al fine di accertare la provenienza dei disturbi e, da ultimo, mediante il sopralluogo nel locale stesso.

L’esito delle valutazioni e delle osservazioni dirette sulle fonti di rumore presenti durante la sessione di misura sono state annotate a pag. 5 del impugnato Rdp ARPAV numero 066/2018, indicando in particolare “…la musica ed il vociare degli avventori del locale erano ben distinguibili all’interno di tutto l’appartamento dell’esponente”.

Sono stati inoltre riportati integralmente i tracciati delle misurazioni tecniche effettuate, dai quali si può osservare, sia nel grafico 2 che nel grafico 4, una consistente diminuzione del livello sonoro misurato immediatamente dopo la chiusura del locale “Residuo 1” e “Residuo 2”.

Inoltre “Avendo constatato che le uniche sorgenti di rumore presenti erano il traffico veicolare e l’attività del bar Vigonovo “Da Giangi”, i tecnici hanno adottato tutti gli accorgimenti possibili per discriminare i rumori prodotti dalle attività del bar, ovvero:

– l’effettuazione della misura nella condizione a finestre chiuse che favorisce la verifica dei rumori trasmessi all’interno dell’edificio;

– l’adozione di tempi di misura lunghi, che permettono di avere uguali contributi dovuti al traffico stradale;

– l’effettuazione della misurazione in una stanza sul lato dell’abitazione opposto rispetto alla strada dove l’influsso del traffico veicolare è molto minore.

Il risultato di tali scelte, come evidenziato dai grafici riportati nel Rapporto di prova, è stato un non significativo contributo della componente dovuta al traffico veicolare nella misura del rumore ambientale. Inoltre, come osservato direttamente dai tecnici intervenuti nelle misure “…il traffico stradale di Viale Veneto, durante le sessioni di misura, si è mantenuto sempre regolare” apportando un ugual contributo sia al rumore ambientale che ha quello residuo e rendendo quindi non necessario distinguere le due componenti.”

Infine secondo l’Arpa “l’allegato B del DM 16 marzo 1998, riporta puntuali indicazioni sulle modalità operative di esecuzione delle misure e dell’analisi dei dati mentre nell’allegato D definisce le informazioni da inserire nei rapporti di prova.”

8. Con il quinto e ultimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta come l’ordinanza sarebbe illegittima nella parte in cui prescrive il controllo degli avventori del locale (al fine di contenere il rumore) e la “rimozione di carte, bottiglie e lattine e quanto rende indecoroso l’aspetto esterno del locale e delle sue immediate vicinanze”.

8.1 Anche tale motivo è infondato.

Come argomentato in relazione al secondo motivo di ricorso, spetta all’esercente attività di somministrazione di alimenti e bevande un dovere di vigilare sul comportamento di clienti ed avventori al fine di assicurare il rispetto delle norme di igiene e decoro e quelle relative al rispetto delle emissioni acustiche.

Tale dovere si concretizza nell’obbligo dell’adozione di misure di prevenzione strutturali e comportamentali, restando affidata ai tutori dell’ordine ed all’ente locale competente il potere/dovere di sanzionare tali condotte.

La mancata adozione di misure di prevenzione ha causato il ripetersi e protrarsi delle emissioni, producendo disturbo della quiete e violazione del decoro rendendo necessaria e legittima l’emanazione dell’ordinanza sindacale impugnata

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

P.Q.M.

Esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.

Così deciso il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021.

CONSIGLIO di STATO – parere -.