Equa riparazione: se la notifica è tardiva, il provvedimento è inefficace ed è preclusa la riproposizione della domanda (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 2 gennaio 2023, n. 1)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30504/2021 R.G. proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12.

–RICORRENTE–

contro

(OMISSIS) FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Alessandro (OMISSIS), con domicilio eletto in Roma, alla Via (OMISSIS) (OMISSIS) 5, presso l’avv. Lucia (OMISSIS).

-CONTRORICORRENTE-

avverso il decreto della Corte d’appello di L’Aquila n. 703 /2021, pubblicato in data 27.9.2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28.11.2022 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il Ministero della Giustizia propone ricorso, affidato ad un unico motivo, avverso il decreto con cui la Corte d’appello di L’Aquila ha respinto l’opposizione avverso il decreto monitorio emesso a favore di Francesco (OMISSIS), a titolo di equa riparazione ex L. 89/2001 per l’irragionevole durata di un giudizio civile protrattosi dal 27.9.2000 al 15.1.2020.

Francesco (OMISSIS) resiste con controricorso e, in prossimità dell’adunanza camerale, ha depositato memoria illustrativa.

Il Ministero, proponendo opposizione, aveva chiesto di dichiarare l’inefficacia del provvedimento, notificato oltre la scadenza del termine di trenta gg. previsto dall’art. 5, comma secondo, calcolata dalla data di deposito del provvedimento.

Il giudice distrettuale ha invece ritenuto che, nonostante la formulazione della norma, il termine di notifica deve farsi decorrere dalla comunicazione, occorrendo privilegiare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, posto che la tardività della notifica verrebbe ad incidere sulla stessa titolarità del diritto all’equa riparazione, impedendo la riproposizione della domanda.

1.1. L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 5, comma secondo L. 89/2001, sostenendo che il legislatore ha voluto, con previsione testuale, non suscettibile di diversa interpretazione, che il termine per la notifica del provvedimento monitorio, a pena di inefficacia, decorra dal deposito del provvedimento e non dalla comunicazione di cancelleria.

Il dato letterale non potrebbe considerarsi frutto di un errore, né sarebbe lecito valorizzare elementi di minor rilievo, quale l’avverbio “ altresì ” che figura nella parte in cui è prevista la comunicazione del provvedimento alla Corte dei Conti, o la continuità con la precedente formula dell’art. 5, essendo diversa la lettera.

E’ – secondo il Ministero – nella discrezionalità del legislatore differenziare il trattamento di situazioni diverse (quali la disciplina del decreto ingiuntivo e quella del provvedimento monitorio ex l. 89/2001), e ricollegare al mero deposito eventuali decadenze della parte, che è, in tal caso, tenuta ad attivarsi per procedere alla notifica nel termine di legge, non essendo plausibile alcun dubbio di costituzionalità della norma ove interpretata in senso letterale.

Il ricorso è infondato.

Deve darsi continuità al principio già affermato dai precedenti di questa Corte citati in ricorso, secondo cui, sebbene l’art. 5, comma 2, legge n. 89/01 preveda che il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento, deve ritenersi che tale termine decorra dalla comunicazione del decreto alla parte ricorrente.

A tale conclusione si perviene – sotto il profilo letterale – alla luce di quanto disposto sia dal 4° comma della stessa norma, in base al quale il decreto che accoglie la domanda è altresì comunicato al Procuratore generale della Corte dei conti e ai titolari dell’azione disciplinare, presupponendo che la medesima comunicazione debba farsi anche alla parte, sia dalla sostanziale continuità normativa rispetto al testo precedente del medesimo art. 5, che prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 83/12, disponeva espressamente che il decreto fosse comunicato, oltre che alle parti, alle suddette autorità (Cass. 7185/2017; Cass. 10365/2019).

E’ decisivo considerare che, in caso di tardività della notificazione, il provvedimento non solo diviene inefficace, ma è preclusa anche la riproposizione della domanda.

La soluzione qui accolta non risponde – dunque – al mero intento di parificare la disciplina dell’art. 5 L. 89/2001 a quella del decreto ingiuntivo, come sostiene il Ministero, ma di porre la parte al riparo da conseguenze pregiudizievoli in dipendenza del mancato compimento di un attività per la quale è previsto un termine perentorio breve e di non onerare la parte stessa di un attività potenzialmente defatigante (ossia di verificare il deposito del provvedimento) o che, comunque, nella specie, mal si concilia con la previsione dell’obbligo di comunicazione ad opera della cancelleria, adempimento che sarebbe inutilmente contemplato ove l’interessato – secondo l’interpretazione restrittiva – fosse tenuto ad autonomamente attivarsi per non incorrere in decadenza.

Tale risultato interpretativo è coerente con gli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale, espressasi più volte nel senso che l’esigenza di tutela dei diritti dell’interessato esige che i termini processuali di decadenza decorrano dalla comunicazione dei provvedimenti e non dal deposito se sia imposto un termine oggettivamente esiguo, situazione nella quale non può esigersi un onere eccedente la normale diligenza o comunque ingiustificato (Corte cost. 297/2008 in motivazione; Cass. 154/2006, Corte cost.224/2004ed altre).

Il ricorso è respinto, con regolazione delle spese processuali in dispositivo.

Essendo il procedimento ex L. 81/2001 esente dal pagamento del contributo unificato ed essendo soccombente un’amministrazione dello Stato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il Ministero della giustizia al pagamento delle spese processuali, liquidate in liquidate in €. 200,00 per esborsi ed € 2000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile il giorno 28 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.