Espropriazione di area agricola – indennità (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 6 marzo 2020, n. 6487).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27334/2015 proposto da:

Orinvest s.r.I., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del ricorso per cassazione, dagli Avv.ti Mario Bucello e Prof. Nicola Bassi ed elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Naccarato

– ricorrente –

contro

Provincia di SAVONA, nella persona del legale rappresentate pro tempore

– intimata –

avverso la sentenza n. 744/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, pubblicata in data 06/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna;

FATTI DI CAUSA

1. La Orinvest Siri, con atto di citazione ritualmente notificato, conveniva in giudizio la Provincia di Savona, affermando di essere proprietaria di un’azienda agricola e dei terreni circostanti„ alcuni dei quali erano stati oggetto del decreto dirigenziale n. 99 del 10 gennaio 2006, che aveva anche determinato le indennità provvisorie di esproprio e di occupazione in base al valore agricolo medio delle aree interessate e chiedeva la determinazione della giusta indennità per l’espropriazione a per l’occupazione temporanea dei terreni già di sua proprietà e la conda mia della Provincia di Savona al versamento della differenza rispetto all’indennità già depositata presso la Cassa depositi e prestiti.

2. La Corte di appello di Genova, con sentenza n. 744/2015 del 3 giugno 2015, rigettava la domanda affermando che la società attrice non aveva mai svolto contestazioni circa il contenuto degli stati di consistenza al momento dell’immissione in possesso dei terreni per cui era causa e che, sottoscrivendo l’atto proposto dalla provincia e da questa considerato quale accordo bonario, si era impegnata ad accettare il contento dell’elenco dei beni da espropriare e del decreto di determinazione dell’indennità, con la condizione che gli stessi prevedevano una quantificazione dell’indennità conforme a quella accettata con l’accordo che il decreto di esproprio aveva previsto un’indennità di espropriazione in misura più elevata di quella contemplata ne la promessa unilaterale di Orinvest, per cui quest’ultima non poteva più contestare l’entità dell’indennizzo; che il valore agricolo medio era congruo perché non era tata allegata una diversa destinazione dei terreni; che la domanda con la quale era stato chiesto l’annullamento dell’accordo per vizio del consenso era domanda nuova e come tale inammissibile.

3. La Orinvest S.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

4. La Provincia intimata non si è costituita.

5. La Orinvest Sri ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo !a Orinvest S.r.l. deduce la violazione di legge degli artt. 16, 22 bis e 24 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 237. Violazione dell’art. 33 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554. Violazione dei principi generali in materia di procedure espropriative.

2. Con il secondo motivo la Orinvest S.r.l. deduce errore in procedendo.

– Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

– Omessa pronuncia.

– Violazione dell’art. 183, comma 6, n. 1, cod. proc. civ.,

– Erroneo accertamento dell’attività svolta dalle parti e delle domande formulate.

3. Con il terzo motivo a Orinvest S.r.l. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 33, 38 e 40 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327; violazione dell’art. 136 Cost.; erroneo accertamento dell’attività svolta dalle parti; omesso esame circa un fatto decisivo.

4. Con il quarto motivo la Orinvest S.r.l. deduce la violazione dell’art.112 cod. proc. civ. Omessa pronuncia.

5. I motivi, che in quanto connessi vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

Deve premettersi che questa Corte ha più volte precisato che l’inserimento d atti negoziali (un accordo, o una convenzione, o un concordato) nell’ambito di un procedimento autoritativo, da considerare veri e propri contratti, ancorché ad oggetto pubblico siccome contrassegnati dall’intervento dell’Amministrazione quale titolare di poteri pubblicistici, non solo viene tradizionalmente ammesso nell’ambito del procedimento ablativo, ma è stato espressamente previsto dalle stesse norme dettate sin dalla legge n. 2359 del 1865, :i cui art. 26 consente all’espropriante e all’espropriato d accordarsi amichevolmente sull’ammontare dell’indennità (Cass., 9 ottobre 2019, n. 25386).

La natura negoziale deriva dall’inserimento dell’accettazione nel procedimento ablatorio, essendo le relative pattuizioni integrative del procedimento stesso e condizionate alla sua conclusione ovvero alla stipulazione della concessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio.

Ancora la natura pubblica assume rilievo perché l’accordo è inserito nella procedura espropriativa ed è successivo all’offerta di un’indennità provvisoria, determinata alla stregua dei criteri inderogabili di liquidazione previsti dal legislatore, cosicché l’ammontare dei corrispettivo deve essere correlato in modo vincolante a tali parametri, non essendo consentito alle parti discostarsene (Cass. 11 giugno 2018, n. 15159).

Nel caso in esame, la Società ricorrente afferma che in base all’accordo del gennaio 2006 (definito nella sentenza impugnata promessa unilaterale del privato) l’impegno assunto era quello di accettare l’indennità di esproprio nella misura indicata nel documento con riferimento a valore di sedime dei mappali identificati, mentre nessun accordo era stato stipulato e neanche prospettato con riferimento alla vasca esistente nell’area, bene neanche menzionato nel testo del documento.

Secondo l’assunto della società ricorrente l’accordo prescindeva dal valore della vasca perché l’esistenza del manufatto sulle aree oggetto di esproprio e di occupazione non era stata rilevata dai tecnici incaricati dalla Provincia di procedere alla redazione e descrizione dei beni da espropriare, degli stati di consistenza e dei frazionamenti delle opere.

Dalla sentenza impugnata risulta che l’accordo di gennaio 2006, debitamente controfirmato dalla società ricorrente, prevedeva l’impegno di accettare contenuto dell’elenco dei beni da espropriare e del decreto ei determinazione dell’indennità a condizione che gli stessi prevedessero una quantificazione dell’indennità conforme a quella stabilita dagli accordi medesimi relativamente ai singoli mappali interessati cala procedura.

A fronte di ciò la società ricorrente ha sempre restituito controfirmati gli stati di consistenza redatti dai tecnici della Provincia di Savona al momento dell’immissione in possesso dei terreni oggetto di espropriazione e di occupazione, senza presentare osservazioni scritte, né ha presentato osservazioni ai sensi dell’art. 22 bis del d.P.R. n. 327/2001 nei confronti del decreto dirigenziale n. 99 del 10 gennaio 2006 che aveva determinato in via provvisoria l’indennità di espropriazione.

Inoltre, il decreto di esproprio aveva previsto un’indennità di espropriazione in misura più elevata rispetto a quella prevista nell’accordo di gennaio 2006 e la determinazione dell’indennità era avvenuta in base al criterio del valore agricolo medio, poiché i fondi espropriati non erano edificabili in base alla variante dell’anno 1997 al piano urbanistico Generale del Comune di Sassello (Zona C11) e gli stessi erano sottoposti a vincoli idrogeologici.

Peraltro, a fronte di ciò, la società ricorrente non spiega perché la presenza della i’asce di raccolta idrica sul mappale 180 avrebbe dovuto portare a.c: una valutazione superiore a quella risultante dall’applicazione del criterio del valore agricolo medio, alla luce anche del dettato normative di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 327/2001, secondo cui l’indennità di espropriazione è determinata sulla base delle caratteristiche de bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio.

La stessa società ricorrente, si legge nella sentenza impugnata, ha affermato che la vasca al momento dell’immissione in possesso da parte della Provincia era in disuso a causa della rottura di un tubo che collegava il cara e alla presa superiore e la stessa società ricorrente ha richiamato la documentazione progettuale redatta dalla Provincia e allegata alla relazione tecnica che riscontrava l’esistenza di una vasca in pietra e calcestruzzo destinata alla raccolta delle acque.

La Corte territoriale, poi, sottolinea (richiamando la prod. 21 della Provincia) che la vasca come descritto dalla Provincia convenuta e sostanzialmente non contestato dalla controparte, consisteva, al momento dell’esproprio e a quello dell’occupazione d’urgenza, di due muri di contenimento in pietrame che la delimitavano a nord ovest e nord est, mentre parallelamente era delimitata dalla scarpata stradale; era priva confinamento impermeabile in profondità, era invasa da folta vegetazione, in definitiva priva di qualsiasi utilità.

Va precisato, ai riguardo, che il mappale 180 era stato assoggettato ad esproprio per mq 1_240 e ad occupazione temporanea per mq 260 e che la vasca insisteva, su entrambe le zone.

Contrariamente a quanto affermato dalla Società ricorrente nella determinazione dell’indennità effettuata dalla Provincia si è avuta cognizione piena della presenza della vasca sul mappale 180 attestata anche nelle relazioni redatte dai tecnici, mentre dal lato della Società ricorrente, tale consapevolezza è data dall’essere la stessa proprietaria dei oggetto di espropriazione e occupazione, sicchè nessuna omissione è stata operata.

Deve, quindi, ritenersi che la Società ricorrente, avendo definito contrattualmente l’intera vicenda espropriativa e ogni suo aspetto patrimoniale (riguardante sia l’espropriazione, che l’occupazione temporanea de terreni), non ha più spazio per invocare una nuova determinazione sia dell’indennità di esproprio, sia dell’identità di occupazione, dovendosi ritenere che il valore della vasca sia stato ricompreso nella determinazione dell’indennità prima concordata e poi accettata.

Peraltro, tenuto conto delle vicende del procedimento ablativo, il consolidamento dell’accordo in forza del decreto di esproprio emesso cristallizza la manifestazione di volontà della società ricorrente, con conseguente preclusione della facoltà di chiedere la determinazione giudiziale delle indennità e, comunque, di indennità diverse da quelle concordate.

Secondo l’orientamento di questa Corte «In tema di espropriazione, l’accordo bonario sull’indennità spettante all’espropriando non comporta “ipso facto” una cessione volontaria del bene, sicchè, con l’accettazione dell’indennizzo da parte dell’espropriando, l’entità dell’indennizzo diventa definitiva e non più contestabile in base all’art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, solo in caso di emissione del decreto di esproprio, in mancanza del quale la procedura espropriativa non si perfeziona e si ha la caducazione degli accordi e degli atti compiuti ne la sua pendenza » (Cass., 23 maggio 2008, n. 13415).

6. Il ricorso va, quindi, rigettato.

Nessuna determinazione sulle spese, non essendosi costituita la Provincia controinteressata.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Società ricorrente, del ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma nella camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.