REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
GIACINTO BISOGNI – Presidente –
LUIGI ABETE – Consigliere –
EDUARDO CAMPESE – Consigliere –
ANTONIO PIETRO LAMORGESE – Rel. Consigliere –
PAOLO CATALLOZZI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22943/2019 R.G. proposto da:
COMUNE DI (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA VIA (OMISSIS) (OMISSIS) n. 5, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) (OMISSIS) n. 1, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI SASSARI n. 480/2014 depositata il 24/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal Consigliere dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE.
Udita la requisitoria del Procuratore Generale, dott. Alberto Cardino, che ha chiesto di rimettere la causa alle Sezioni Unite o di rigettare il ricorso.
Uditi l’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) per il ricorrente e l’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS) per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1.- La signora (omissis) (omissis) (omissis) ha agito in giudizio al fine di ottenere la determinazione del giusto indennizzo per l’acquisizione di aree di sua proprietà da parte del Comune di (omissis), ex art. 42-bis del dPR n. 327 del 2001, per la realizzazione di parcheggi pubblici e una palestra comunale, reputando incongruo la somma offertale, in quanto asseritamente non corrispondente al valore di mercato dell’immobile.
2.- L’adita Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con ordinanza del 24 gennaio 2019, ha rigettato l’eccezione di decadenza dell’azione per decorso del termine di trenta giorni dal momento della comunicazione dell’offerta e ha determinato l’indennizzo alla data dell’acquisizione (ottobre 2014) in € 1.209.545,99, comprensivi dei danni non patrimoniali e da occupazione illegittima.
3.- Il Comune di (omissis) propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste la (omissis).
4.- Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo di rimettere alle Sezioni Unite il ravvisato contrasto sezionale e, in subordine, di rigettare il ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il Comune di (omissis) denuncia la tardività dell’opposizione proposta dalla (omissis) con ricorso depositato presso la Corte cagliaritana il 18 dicembre 2014, cioè asseritamente oltre il termine perentorio di trenta giorni decorrente dalla notifica, in data 1° settembre 2014, di una nota del Comune contenente l’ammontare della somma offerta a titolo indennitario, in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 54 e 27, comma 2, del dPR n. 327 dell’8 giugno 2001 (d’ora in avanti, t.u.), ritenute applicabili nella fattispecie in cui è stato emesso un decreto di acquisizione ex art. 42-bis t.u.
La tesi così sostenuta è che la comunicazione, prevista dall’art. 27 t.u., dell’avvenuto deposito della relazione di stima faccia decorrere il termine di trenta giorni per impugnare la determinazione dell’indennità ex art. 42-bis t.u., analogamente a quanto si assume che accada in caso di espropriazione ordinaria.
2.- Il motivo è infondato, alla luce del combinato disposto degli art. 27 e 54 t.u., coordinati con l’art. 29 d.lgs. n. 150/2011, pur nell’ottica della ipotizzata e integrale assimilazione di disciplina (v. infra) tra il giudizio indennitario relativo al procedimento «ordinario» di espropriazione e quello «speciale» relativo al provvedimento acquisitivo ex art. 42-bis.
L’art. 27 t.u., riguardante il deposito della relazione di stima a seguito della perizia dei periti o della Commissione provinciale e la notizia del deposito che l’autorità espropriante deve dare al proprietario (comma 1), stabilisce che «decorsi trenta giorni dalla comunicazione del deposito, l’autorità espropriante […] autorizza il pagamento dell’indennità ovvero ne ordina il deposito presso la Cassa depositi e prestiti» (comma 2); l’art. 54, comma 1, stabilisce che «decorsi trenta giorni dalla comunicazione prevista dall’articolo 27, comma 2, il proprietario espropriato[…] può impugnare innanzi all’autorità giudiziaria gli atti dei procedimenti di […] determinazione dell’indennità, la stima fatta dai tecnici […] e comunque può chiedere la determinazione giudiziale dell’indennità»; l’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150/2011 stabilisce che «l’opposizione va proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio».
Nella giurisprudenza di legittimità è consolidato il principio secondo cui il termine fissato dall’art. 27, comma 2, t.u. (richiamato dall’art. 54, comma 1) di trenta giorni dalla comunicazione del deposito della relazione di stima ‒ a partire dal quale l’autorità espropriante autorizza il pagamento dell’indennità o ne ordina il deposito presso la Cassa depositi e prestiti ‒ non è acceleratorio madilatorio nel senso che esso segna anche il momento a partire dal quale il proprietario espropriato (non deve ma) può agire in giudizio per impugnare la stima e comunque chiedere la determinazione giudiziale dell’indennità, fermo restando che il dies a quo da cui decorre il diverso termine (perentorio) di trenta giorni di cui all’art. 54, comma 2, t.u. e, ora, all’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150/2011) è la notificazione del decreto di esproprio o della relazione di stima definitiva, se successiva all’atto ablatorio (cfr. Cass. n. 34110/2023, n. 28791/2018, n. 4880/2011).
E’ quindi infondata la tesi difensiva del Comune di (omissis) che ‒ pur ritenendo applicabile il termine previsto per l’espropriazione ordinaria (a pena di inammissibilità/decadenza) dall’art. 29 d.lgs. n. 150/2011 (richiamato dall’art. 54, comma 1, t.u.) all’azione del soggetto attinto da decreto di acquisizione ex art. 42 bis t.u. del 2001 ‒ lo fa decorrere dalla comunicazione del deposito della relazione di stima.
3.- La questione della ipotizzata assimilazione di disciplina tra le due forme espropriative viene in rilievo ai fini della verifica, richiesta dal Comune ricorrente e scrutinabile d’ufficio, della tempestività dell’introduzione del giudizio dinanzi alla Corte d’appello(nella specie, il decreto ex art. 42-bis è stato emesso il 17 ottobre 2014 e la (omissis) ha depositato il «ricorso per opposizione giudiziale alla stima» in data 18 dicembre 2014).
Si deve valutare se sia applicabile ‒ al ricorso proposto per contestare il quantum dell’indennizzo liquidato ex art. 42-bis ‒ il termine di decadenza (ex art. 54, comma 2, t.u.) o di inammissibilità ( ex art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2011) previsto per l’espropriazione ordinaria, sulla quale questa Corte, con ordinanza n. 17680/2023, ha disposto la trattazione in udienza pubblica per un doveroso approfondimento, non essendosi formato un orientamento univoco nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento, il suddetto termine perentorio, previsto dall’art. 54, commi 2, t.u. e, poi, dall’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2011 per la contestazione della determinazione dell’indennità di esproprio, non è applicabile alla contestazione della determinazione dell’indennizzo contenuta nel provvedimento acquisitivo adottato a norma dell’art. 42-bis t.u., sia perché tale termine si riconnette ad un iter procedimentale estraneo all’istituto dell’acquisizione cd. sanante, sia perché l’art. 42-bis non contiene alcun richiamo all’art. 54 t.u. (che già prevedeva la «decadenza») né l’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 2011 contiene richiami all’istituto di cui al previgente art. 42-bis, sicché, vertendosi in tema di termini a pena di decadenza e inammissibilità per la tutela giurisdizionale di diritti, non ne è consentita una interpretazione estensiva o analogica in mancanza di espressa previsione normativa (cfr. Cass. n. 11687/2020).
Un secondo orientamento (cfr. Cass. n. 22298/2020, n. 9871, 10018 e 15188/2023) è in senso opposto sulla base dei seguenti argomenti:
a) l’art. 29 d.lgs. n. 150/2011 «non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto, quale quello della acquisizione sanante [ex 42-bist.u.], introdotto nell’ordinamento solo in epoca successiva»;
b) comune alla espropriazione ordinaria e al decreto di acquisizione ex art. 42-bis è la natura indennitaria della prestazione spettante a chi subisce la privazione o compressione del diritto dominicale, già valorizzata dalle Sezioni Unite (a partire dalla sentenza n. 15283/2016);
c) comune a entrambe le forme espropriative è la natura espropriativa o ablativa dei due istituti (espropriazione «ordinaria» e acquisizione ex art. 42-bis).
In questa prospettiva il termine ex art. 29, comma 3, d. lgs. n. 150/2011 è fatto decorrere dalla adozione o notifica del decreto di acquisizione contenente la liquidazione delle indennità, ex art. 42-bis t.u.
3.1- La questione controversa deve essere risolta dando continuità al primo indirizzo ermeneutico, senza necessità di rimetterla alle Sezioni Unite.
Agli argomenti poc’anzi utilizzati dal secondo orientamento può replicarsi con le seguenti considerazioni.
aa) Il primo argomento, come notato anche dal Procuratore Generale e già adombrato nell’ordinanza interlocutoria n. 17680/2023, è frutto di un errore fattuale (ripetuto anche in SU n. 15343 e 28572/2018).
L’istituto dell’acquisizione cd. sanante di cui all’art. 42-bis t.u., infatti, è stato introdotto nell’ordinamento dall’art. 34, comma 1, d.l. 6.7.2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 15.7.2011 ed è entrato in vigore in data 6.7.2011, mentre il citato art. 29 d.lgs. n. 150 del 1.9.2011 è entrato in vigore successivamente cioè il 6.10.2011.
Pertanto, il legislatore del d.lgs. n. 150/2011, se avesse voluto estendere la previsione (ex art. 29, comma 3) del termine di trenta giorni a pena di «inammissibilità» per la contestazione dell’indennità liquidata nel decreto di acquisizione ex art. 42 – bis t.u., avrebbe potuto farlo ma non l’ha fatto; per altro verso, lo stesso art. 42-bis (e già l’art. 43 t.u. in vigore sin dal 2001 fino alla sentenza costituzionale n. 293 dell’8.10.2010), se avesse voluto imporre al soggetto attinto dal decreto di acquisizione di proporre l’opposizione alla stima dell’indennità in un termine di «decadenza», avrebbe potuto (e dovuto) richiamare l’art. 54, comma 2, t.u. ma non l’ha fatto (ubi lex tacuit noluit).
Come rilevato dal Procuratore Generale «uno degli argomenti a sostegno della applicabilità del termine breve di decadenza di cui all’art. 29 d.lgs. 150/2011, pertanto, viene meno».
bb) La natura indennitaria che accomuna il credito pecuniario del soggetto attinto dalla espropriazione ordinaria e dal decreto di acquisizione ex art. 42-bis è stata opportunamente valorizzata dalle Sezioni Unite (nelle sentenze succitate del 2016 e 2018) al solo fine di giustificare l’attrazione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario e alla competenza funzionale della Corte d’appello quale giudice delle indennità in materia, pur in deroga al doppio grado del giudizio di merito (cfr. Cass. n. 1313/1990, n. 1691/1988), ma senza ulteriori implicazioni e valutazioni circa il regime processuale delle azioni relative alla contestazione e/o determinazione delle indennità ex art. 42-bis.
cc) A proposito della comune natura espropriativa o ablativa della espropriazione ordinaria e dell’istituto di cui all’art. 42-bis, la Corte costituzionale (sentenza n. 71/2015) ha invitato a fare «applicazione della norma [art. 42-bis] come extrema ratio, escludendo che essa possa costituire una semplice alternativa ad una procedura espropriativa condotta “in buona e debita forma”, come imposto, ancora una volta, dalla giurisprudenza della Corte EDU” e precisando che “l’adozione dell’atto acquisitivo è consentita esclusivamente allorché costituisca l’extrema ratio per la soddisfazione di “attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico”, come recita lo stesso art. 42-bis del t.u. delle espropriazioni» (sulla stessa linea è il Cons. di Stato, ad. pl., n. 4/2020 che evidenzia la natura sui generis dell’istituto; sez. IV, n. 5812/2020, n. 3905/2016).
Ed allora, è arduo ipotizzare una completa assimilazione delle due discipline sino al punto di applicare un termine di decadenza non previsto specificamente dalla legge all’azione volta a contestare il quantum dell’indennizzo liquidato ex art. 42-bis, con effetti negativi per la tutela di un diritto costituzionale, qual è il diritto di proprietà anche in materia espropriativa (art. 41 Costituzione), in contrasto con il principio che vieta interpretazioni in via estensiva e analogica delle disposizioni che condizionano l’esercizio del diritto di azione (artt. 24 e 113 Costituzione) al rispetto di termini a pena di decadenza e inammissibilità (in generale, ex plurimis, Cass. n. 34110/2023, n. 23173/2023, n. 30490/2021, n. 8964/2021, n. 26845/2020, n. 580/2017, n. 26085/2016).
3.2.- Ad escludere la praticabilità dell’opposto indirizzo interpretativo è anche l’ulteriore constatazione che il termine di decadenza o inammissibilità ex art. 29 d.lgs. n. 150/2011 si riconnette ad un iter procedimentale estraneo all’istituto dell’acquisizione cd. sanante (Cass. n. 11687/2020).
Occorrerebbe quantomeno dimostrare che il termine previsto per l’uno (espropriazione ordinaria) si possa adattare all’altro procedimento amministrativo (ex art. 42-bis), poiché altrimenti non si realizzerebbe la postulata assimilazione di disciplina tra istituti similari, ma la indebita creazione, senza una base normativa, di un regime processuale nuovo e diverso (per la contestazione del quantum liquidato nel decreto acquisitivo) che avrebbe solo le sembianze di quello previsto dall’art. 54 t.u. per la espropriazione ordinaria. In particolare, secondo un consolidato orientamento (ex plurimis, Cass. n. 21225/2019, n. 3074/2018, n. 23311/2018, n. 5517/2017), in tema di espropriazione ordinaria per pubblica utilità, il termine di decadenza di trenta giorni per proporre l’opposizione alla stima ‒ secondo l’art. 54 t.u. (vd. già gli artt. 20, comma 4, legge n. 865/1971 e 51, comma 2, legge n. 2359/1865) e nel sistema attuale, regolato dall’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011 ‒ opera solo in presenza di una stima definitiva dell’indennità, sicché, in mancanza, l’azione di determinazione giudiziale dell’indennità resta proponibile nel termine di prescrizione decennale decorrente dalla data di adozione del decreto di esproprio (corrisponde al diritto vivente la facoltà di adire il giudice ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio anche prima della stima definitiva e, comunque, prima che inizi a decorrere il distinto termine perentorio di opposizione previsto all’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2011).
Tale orientamento si fonda soprattutto sul rilievo che all’espropriato è attribuita una duplice azione per chiedere la determinazione della giusta indennità di espropriazione: la «opposizione» alla stima che è soggetta al termine decadenziale in presenza di una indennità definitiva calcolata dalla Commissione provinciale (cfr., ora, l’art. 41 dPR n. 327/2001) e l’azione per «la determinazione giudiziale» del giusto indennizzo ove sia stata soltanto offerta (o depositata) dall’espropriante l’indennità provvisoria, nel qual caso non è possibile ritenere che debba essere proposta la «opposizione» nel termine decadenziale, poiché la «stima» seppur comunicata non può dirsi avvenuta e, di conseguenza, non possono venire in rilievo termini e comunicazioni che ne presuppongono l’esistenza (nel senso che un termine di decadenza non possa decorrere dalla eventuale comunicazione di una indennità provvisoria cfr., ex plurimis, con riferimento al precedente regime, Cass. n. 28520/2019, n. 22577/2014, n. 17351/2002).
Si comprendono le ragioni a sostegno dell’affermazione secondo cui all’ente espropriante è imposto di procedere alla determinazione dell’indennità di espropriazione (ordinaria) in via provvisoria con l’avvio di un subprocedimento disciplinato dagli artt. 20 ss. t.u., essendo la previsione di una precedente fase amministrativa di liquidazione idonea a giustificare la proponibilità della domanda per «la determinazione giudiziale dell’indennità» ex art. 54, comma 1, t.u. (cfr. Cass. n. 3891/2021), mentre solo nel caso in cui sia determinata (con l’intervento di organi tecnici terzi) e comunicata l’indennità definitiva di esproprio inizia a decorrere il termine «decadenziale» di trenta giorni per l’opposizione («dalla notifica della stima peritale» se successiva al decreto di esproprio), ai sensi dell’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150/2011.
Nel procedimento speciale di cui all’art. 42-bis, invece, non è previsto l’intervento del collegio peritale né della Commissione provinciale e ciò per una scelta di politica legislativa collegata ad una ratio di economia procedimentale, stante la natura dell’istituto di procedimento semplificato che riunisce la dichiarazione di pubblica utilità e il decreto di esproprio, con la conseguenza che la stima contenuta nel decreto di acquisizione non può ritenersi definitiva nell’accezione in cui è configurata dal diritto vivente che considera tale solo quella emessa ai sensi degli artt. 21 e 41 t.u. Ciò ostacola l’integrale equiparazione quoad effectum dell’un procedimento (speciale) all’altro (ordinario).
Il suggestivo parallelismo che potrebbe configurarsi con il decreto di esproprio (che può essere emesso purché «sia stata determinata, anche se in via provvisoria, l’indennità di esproprio», art. 8 t.u.) non è utile allo scopo di porre a carico del privato l’onere di impugnare (nel termine perentorio decorrente dalla notifica del decreto di acquisizione ex art. 42-bis) una stima (ivi contenuta) che non può dirsi definitiva per le ragioni dette (è significativo anche il richiamo nel comma 4 dell’art. 42-bis all’art. 20, comma 14, t.u. in tema di determinazione provvisoria dell’indennità e deposito delle somme dovute), ma giustifica la proponibilità dell’azione per la determinazione giudiziale dell’indennità nel termine ordinario di prescrizione a decorrere dalla notifica del decreto stesso, analogamente a quanto accade nella espropriazione ordinaria rispetto all’adozione (o notificazione) del decreto di espropriazione.
Pertanto, all’applicazione in via di interpretazione estensiva del termine a pena di inammissibilità di cui all’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150/2011 all’azione diretta a contestare il quantum dell’indennizzo liquidato nel decreto ex 42-bis, in forza di un’astratta finalità di omologazione degli istituti espropriativi, è di ostacolo la diversità strutturale dei relativi procedimenti, essendo il suddetto termine riferibile, nell’espropriazione ordinaria, alla «opposizione» a stime configurabili come definitive nell’accezione formale e garantista di cui si è detto, caratteristica di cui è priva la stima contenuta nel decreto exart. 42-bis .
In conclusione, dev’essere enunciato il seguente principio:
il termine perentorio previsto dall’art. 54, comma 2, del dPR n. 327 del 2001 e, poi, dall’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150 del 2011 per la opposizione alla stima definitiva della indennità di esproprio non è applicabile alla contestazione della determinazione dell’indennizzo contenuta nel provvedimento acquisitivo adottato a norma dell’art. 42-bis del dPR n. 327/2001, con la conseguenza che il soggetto attinto dal decreto di acquisizione ha facoltà di contestare la liquidazione e chiedere la determinazione giudiziale delle indennità nel termine ordinario di prescrizione;
ciò sia perché l’art. 29 del d.lgs. n. 150 del 1.9.2011 (entrato in vigore il 6.10.2011) non contiene richiami all’istituto di cui al già vigente art. 42-bis (entrato in vigore in data 6.7.2011 per effetto del d.l. 6.7.2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 15.7.2011) e, per altro verso, l’art. 42-bis non contiene alcun richiamo all’art. 54 dPR n. 327/2001 (che già prevedeva la «decadenza»), non essendo consentite interpretazioni in via estensiva e analogica delle disposizioni che condizionano l’esercizio del diritto di azione (artt. 24 e 113 Costituzione) al rispetto di termini a pena di decadenza e inammissibilità non previsti specificamente dalla legge;
sia perché la comune natura indennitaria del credito pecuniario dell’espropriato e del soggetto attinto dal decreto di acquisizione ex art. 42-bis è stata valorizzata al solo fine di giustificare la giurisdizione del giudice ordinario e la competenza funzionale della Corte d’appello, quale giudice delle indennità in materia, senza, perciò solo, comportare neppure implicitamente l’estensione integrale del regime processuale proprio dei giudizi in tema di indennità di esproprio ai giudizi relativi alle indennità ex art. 42-bis;
sia in considerazione della diversità strutturale dei relativi procedimenti amministrativi (quello ex art. 42-bis è configurato dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa come «extrema ratio» e «sui generis») e del fatto che il termine di cui all’art. 29, comma 3, d.lgs. n. 150/2011 è applicabile, nella espropriazione ordinaria, all’opposizione alla stima definitiva che è configurabile solo all’esito del procedimento formalizzato e garantista di cui agli art. 21 e 41 dPR n. 327/2001, non previsto per la determinazione delle indennità ex art. 42-bis liquidate dall’amministrazione emittente il decreto di acquisizione.
4.- Il secondo motivo, con il quale il Comune di (omissis) denuncia il vizio di ultrapetizione per avere liquidato l’intera indennità, relativa al compendio indiviso, a favore di una sola comproprietaria (signora (omissis)), è infondato.
L’ordinanza impugnata ha fatto applicazione dei principi enunciati in caso di espropriazione dei beni indivisi, secondo cui l’opposizione del singolo comproprietario alla stima dell’indennità effettuata in sede amministrativa estende i suoi effetti anche agli altri comproprietari, con la conseguenza che il giudice deve determinare l’indennità in rapporto al bene considerato nel suo complesso ed unità – nella specie l’ordinanza impugnata ha precisato che l’indennità liquidata è «da corrispondersi ai signori (omissis) per effetto dell’acquisizione sanante del compendio indiviso di loro proprietà» – e non alle singole quote spettanti ai compartecipi (cfr. Cass. n. 31177/2017), non ricorrendo neppure una ipotesi di litisconsorzio necessario (processuale) tra i comproprietari (cfr. Cass. n. 15780 del 2019, n. 6873/2011).
5.- Il ricorso è rigettato. Le spese devono essere compensate, in considerazione della novità della questione controversa all’epoca d’introduzione del giudizio di cassazione e delle divergenti indicazioni giurisprudenziali emerse successivamente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del dPR n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1 comma 17, della legge 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 07/11/2023.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2023.