Finisce così il caso della “chemio killer”: la valenza delle raccomandazioni operative ministeriali (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 12 ottobre 2022, n. 38354).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da

1. Procuratore generale presso la Corte di Appello di Palermo

2. (OMISSIS) Tiziano, nato a Palermo il 23/08/19xx;

3. (OMISSIS) Carmelo, nato a Palermo il 10/07/19xx;

4. (OMISSIS) Rosa Maria, nata a Palermo il 08/09/19xx;

5. (OMISSIS) Sergio, nato a Palermo il 04/05/19xx;

6. (OMISSIS) Laura, nata a Palermo il 11/06/19xx;

7. (OMISSIS) Alberto, nato a Erice il 19/12/19xx;

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e di (OMISSIS) Clotilde, nata a Palermo il 12/02/19xx;

avverso la sentenza del 27/02/2020 della Corte di Appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Claudio Cerroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Domenico Angelo Raffaele Seccia, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso della Procura generale territoriale; la inammissibilità del ricorso del (OMISSIS); l’accoglimento del ricorso presentato dalla (OMISSIS) con annullamento senza rinvio della sentenza in relazione all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dalla professione medica; il rigetto del ricorso per il (OMISSIS);

uditi per le parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) gli avv. Marco (OMISSIS) e Vincenzo (OMISSIS), che si riportano alle conclusioni depositate unitamente alla nota spese;

udito per le parti civili Codici onlus e Codici Salute l’avv. Ivano (OMISSIS), che chiede il rigetto dei ricorsi degli imputati e si riporta a conclusioni e nota spese;

udito per il responsabile civile Asl Ospedale policlinico P. (OMISSIS) l’avv. Giuseppe (OMISSIS), che si associa alle conclusioni del Procuratore generale e chiede il rigetto dei ricorsi delle parti civili;

udito per Clotilde (OMISSIS) l’avv. Salvino (OMISSIS), che ha concluso chiedendo il rigetto e l’inammissibilità dei ricorsi nei confronti dell’assistita e l’assoluzione a favore della stessa;

udito per il ricorrente (OMISSIS) l’avv. Franco Carlo (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente (OMISSIS) l’avv. Giammarco (OMISSIS), che ha concluso per l’annullamento della sentenza e l’applicazione della norma di cui all’art. 133 cod. pen.;

udito per il ricorrente (OMISSIS) l’avv. Domenico (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio ed in subordine l’annullamento con rinvio;

udito per il ricorrente (OMISSIS) l’avv. Michele (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

udito per la ricorrente (OMISSIS) l’avv. Stefano (OMISSIS) in sostituzione degli avv. Giovanni (OMISSIS) e Raffaele (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 febbraio 2020, resa in sede di rinvio, la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del 14 dicembre 2015 del Tribunale di Palermo, ha assolto Clotilde (OMISSIS) dal reato, in danno di Valeria (OMISSIS), di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. (capo A), con revoca delle statuizioni civili a suo carico.

Con la medesima decisione la Corte territoriale ha altresì così rideterminato le pene:

1) anni due di reclusione a Laura (OMISSIS) per il medesimo reato sub A, nonché mesi tre di reclusione per il reato di cui agli artt. 110, 81 e 481 cod. pen. (capo B), con riduzione ad anni due della pena accessoria dell’interdizione dalla professione medica;

2) anni tre di reclusione ad Alberto (OMISSIS) per il reato sub A, nonché mesi cinque di reclusione per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 110, 81 e 481 cod. pen. (capi B e C), con riduzione altresì ad anni tre della pena accessoria dell’interdizione dalla professione medica;

3) anni tre di reclusione a Sergio (OMISSIS) per il reato sub A, con riduzione ad anni tre della durata della pena accessoria dell’interdizione dalla professione medica.

Erano confermate le ulteriori statuizioni civili risarcitorie siccome in precedenza disposte, con condanna altresì del (OMISSIS) e del responsabile civile “Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico-Paolo (OMISSIS)” di Palermo alla rifusione delle spese processuali in favore delle costituite parti civili.

1.1. In fatto, va ricordato che ai quattro imputati (oltre che all’infermiera Elena (OMISSIS), che aveva già in precedenza concordato la pena previa rinuncia ai motivi di appello) era stato contestato di avere, in cooperazione fra loro, colposamente cagionato la morte di Valeria (OMISSIS), affetta da linfoma di Hodgkin, alla quale, nel corso del trattamento chemioterapico del 7 dicembre 2011 avvenuto nel predetto ambito ospedaliero, veniva somministrata una dose del farmaco Vinbalstina pari a mg. 90, a fronte di un dosaggio previsto in mg. 9, così causando una condizione di tossicità sistemica, con conseguente decesso per arresto cardiaco intervenuto in data 29 dicembre 2011.

2. Avverso la predetta decisione sono stati proposti separati ricorsi per cassazione.

2.1. Il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Palermo, ha formulato un articolato motivo di impugnazione, deducendo erronea applicazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’assoluzione di Clotilde (OMISSIS).

2.2. Le parti civili Tiziano (OMISSIS), anche nella qualità di esercente la potestà genitoriale del figlio minore, nonché Carmelo (OMISSIS) e Rosa Maria (OMISSIS) hanno parimenti formulato due motivi di impugnazione per violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione alla medesima statuizione della Corte territoriale.

2.3. Laura (OMISSIS) ha contestato, con unico motivo, la legittimità dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dalla professione medica.

2.4. Alberto (OMISSIS) ha formulato quattro articolati profili di censura, sia in relazione al trattamento sanzionatorio che al riconoscimento della continuazione tra i vari reati ascritti all’imputato, oggetto di differenti e separate statuizioni.

2.4.1. Il ricorrente ha proposto altresì due motivi aggiunti in tema di violazione dell’art. 133 cod. pen. e di continuazione.

2.5. Sergio (OMISSIS) – formulando altresì due questioni subordinate di legittimità costituzionale – ha dedotto sei ragioni di doglianza, allegando errata interpretazione della legge penale e difetto di motivazione in ordine agli addebiti di responsabilità e alla commisurazione della pena.

3. Ricorso Procuratore generale.

3.1. Il ricorrente, quanto alla pretesa mancata osservanza del quesito di diritto posto dal Giudice di legittimità in sede di annullamento con rinvio, ha osservato che l’infermiera professionale Clotilde (OMISSIS) – preso atto dell’abnorme dosaggio del farmaco – avrebbe avuto l’obbligo di esternare i propri dubbi circa la correttezza della prescrizione rivolgendosi ad un medico strutturato e non alla (OMISSIS), già specializzata in oncologia e medico volontario, che frequentava il reparto in qualità di specializzanda in patologia clinica.

In specie la Raccomandazione n. 7 del Ministero della Salute del marzo 2008 dava conto della necessità dell’interlocuzione solamente col medico strutturato, ossia col sanitario abilitato a prescrivere farmaci.

Al riguardo invece la Corte territoriale aveva inteso svilire il senso di tale documento non attribuendogli soverchia forza giuridica vincolante, in quanto contenente solo disposizioni ovvie e scontate. In ragione di ciò la condotta dell’imputata si era così risolta in una negligente ignoranza del quantitativo di farmaco da preparare ed in un imperito suo allestimento, essendosi in tal modo accontentata delle rassicurazioni fornite da un medico non strutturato.

4. Ricorso parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

4.1. Col primo motivo i ricorrenti hanno parimenti osservato che l’infermiera (OMISSIS) era pienamente a conoscenza del fatto che avrebbe dovuto rivolgersi a medico strutturato, atteso che tra l’altro la (OMISSIS) aveva modificato la prescrizione originaria nella sua modalità di somministrazione (ossia nell’infusione non più tramite siringa ma tramite sacca).

In proposito la Corte territoriale non si era resa conto che la stessa Raccomandazione ministeriale rientrava tra le fonti che la sentenza di annullamento aveva indicato come fonte di cautela, e l’imputata era ben consapevole – al pari dei suoi colleghi esaminati – di quello che avrebbe invece dovuto fare nella circostanza.

4.2. Col secondo motivo, lamentando contraddittorietà della motivazione, i ricorrenti hanno osservato che l’imputata aveva percepito le anomalie sul quantitativo e sulle modalità di allestimento dell’antitumorale, e che non aveva richiesto i dovuti chiarimenti al primario (OMISSIS) – cui era tenuta ad esternare le proprie perplessità – in quanto quest’ultimo era impegnato nel Consiglio d’Istituto.

5. Ricorso (OMISSIS).

5.1. La ricorrente, quanto all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dalla professione medica, ha osservato che il delitto per il quale aveva riportato condanna sub A era delitto colposo, ed in proposito, a norma degli artt. 31 e 33 cod. pen., non poteva essere irrogata la sanzione accessoria trattandosi di condanna inferiore a tre anni di reclusione.

6. Ricorso (OMISSIS).

6.1. Col primo motivo, invocando la mancata conformità della sentenza di rinvio al principio di diritto contenuto nella pronuncia di annullamento, il ricorrente (già medico specializzando nel reparto oncologico e materiale autore dell’errata trascrizione della prescrizione di Vinblastina) ha anzitutto lamentato – quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio – l’omessa valorizzazione del disastrato contesto organizzativo in cui l’imputato si era trovato ad operare, con particolare riguardo alla disciplina dell’attività dello specializzando e alla relativa assenza di controlli, alla conseguente mancanza di regole anche nella comunicazione e somministrazione del dosaggio del farmaco e alla confusa complessiva gestione del reparto, infine chiuso in esito ad ispezione ministeriale.

Al riguardo la sentenza impugnata si era limitata – fissando una pena base di anni tre di reclusione – ad un’asettica riduzione di pena senza richiamare i criteri di cui all’art. 133 cod. pen..

6.1.1. In relazione poi al grado della colpa ed ai criteri per definirla – quanto a prevedibilità ed evitabilità dell’evento, condizione personale dell’agente, possesso di qualità idonee a fronteggiare la situazione pericolosa, motivazione della condotta – era stato attribuito all’imputato, nonostante il suo ruolo di mero specializzando, un grado di colpa assai elevato a fronte di riconosciute disfunzioni organizzative e di opinabili determinazioni assunte dal (OMISSIS), che avevano altresì condotto alla presa in carico di una paziente con patologia (linfoma di Hodgkin) che avrebbe dovuto essere trattata dal reparto di ematologia e non da quello di oncologia dove operava l’imputato, privo di specifica competenza in relazione ai cd. tumori liquidi.

Laddove al ricorrente andava ascritto – quale comportamento rilevante – l’avere trascritto nella cartella clinica della paziente (OMISSIS) l’avvenuta assunzione di novanta milligrammi di vinblastina in luogo dei nove effettivamente somministrati il 23 novembre 2011, mentre egli era estraneo alla catena di eventi negativi e di condotte erronee e superficiali successivamente sviluppatasi, e che trovavano origine proprio nelle carenze complessive della struttura lavorativa.

L’elemento della prevedibilità dell’evento mortale non poteva che essere quindi presente in grado non elevato, trattandosi tra l’altro di specializzando al quarto anno in un contesto organizzativo diretto da professore universitario e con medico già specializzato. In proposito, non poteva poi parlarsi né di previsione dell’evento né di consapevolezza della condotta antidoverosa.

In relazione poi agli altri indici di cui all’art. 133 cod. pen., non presi in esame dalla decisione di rinvio, la colpa del ricorrente non poteva che risalire ad una fatale distrazione.

6.1.2. Il ricorrente ha poi lamentato illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al calcolo della pena base, nonché all’equiparazione delle diverse posizioni degli imputati a fronte di gradi di colpa diversi, tutto ciò in presenza di una precisa gerarchia nelle competenze tecniche, dal professore (OMISSIS) al medico specializzato (OMISSIS) per finire allo specializzando (OMISSIS), il quale aveva solamente trascritto erroneamente nella cartella clinica il dosaggio della terapia, già effettuata correttamente, mentre non aveva avuto alcun ulteriore ruolo nella tragica vicenda e nella successiva serie di condotte inappropriate, figlie – appunto – della disorganizzazione interna al reparto.

6.2. Col secondo motivo, quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, il ricorrente ha lamentato l’omessa considerazione degli elementi già valorizzati in altra sede giudiziaria, laddove la sentenza impugnata aveva introdotto il canone metagiuridico della sgradevolezza della condotta, che comunque non superava quegli ulteriori argomenti (livello di specializzazione e competenza specifica, prevedibilità dell’evento e motivi dell’agire) che semmai disegnavano un livello contenuto di colpa.

Al riguardo infatti, nell’ambito del giudizio relativo alle successive condotte di falso (poste in essere dal (OMISSIS) per rimediare, in tesi, all’errore di trascrizione) erano state senz’altro riconosciute al ricorrente le attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. proprio in esito alle medesime considerazioni invece disattese nel giudizio per omicidio colposo, laddove gli stessi comportamenti erano stati giudicati incompatibili col riconoscimento delle attenuanti generiche.

Oltre a ciò, un determinato fatto non poteva essere nuovamente valutato allorché esso aveva già trovato adeguata risposta attraverso l’applicazione di sanzione penale.

Del pari, quanto al contestuale riconoscimento invece delle attenuanti generiche in favore della (OMISSIS), la motivazione doveva intendersi contraddittoria, tenuto altresì conto dei ripetuti rilievi in ordine alla non positiva condotta processuale anche di quest’ultima, ed in ordine agli episodi di falso comunque contestati anche a costei, parimenti impegnata inizialmente nel tentativo di non fare emergere le proprie responsabilità nella tragica vicenda.

6.3. Col terzo motivo è stata lamentata l’erronea applicazione dell’art. 81 capoverso cod. pen. unitamente al vizio motivazionale, quanto alla mancata continuazione tra i reati di falso di cui ai capi B e C ed i fatti oggetto di pena patteggiata, definiti dopo l’annullamento con rinvio della prima decisione della Corte territoriale.

Al contrario, sia i falsi giudicati nel presente giudizio che quanto oggetto del procedimento definito a norma dell’art. 444 cod. proc. pen. rientravano nel medesimo contesto ambientale, invero connotato dall’assenza di regole e procedure rigorose.

In tal senso andava quindi valutata l’avvenuta cancellatura del numero “O” dopo il “9”, nel quadro di una mala gestione organizzativa e dell’insensibilità per il rilievo da attribuire invece, sotto il profilo della fede pubblica, alle cartelle cliniche.

Né rilevava la sottolineata diversità della direzione finalistica delle condotte giudicate, le une legate al generale negativo andamento amministrativo e l’altra all’alterazione delle prove in relazione alla vicenda (OMISSIS).

Al contrario, sussistevano gran parte degli indici sintomatici individuati in proposito dalla giurisprudenza, quanto alla vicinanza cronologica dei fatti, alle modalità della condotta, alla tipologia dei reati, alla natura del bene tutelato, all’omogeneità delle violazioni, alla causale dell’agire e alle condizioni di tempo e di luogo in cui andavano collocati i fatti, tant’è che nell’elenco delle cartelle cliniche alterate – di cui alla contestazione sub B – vi era anche quella della signora (OMISSIS), a prescindere dal successivo intervento di alterazione del trattamento. In proposito, stante l’avvenuto riconoscimento, in capo al ricorrente, di una certa inclinazione ad immutare la realtà, ciò appariva idoneo a ribadire la sussistenza del medesimo disegno criminoso.

6.4. Col quarto motivo è stato censurato il mancato riconoscimento della continuazione tra l’omicidio colposo e il falso oggetto della sentenza di patteggiamento. In specie non poteva infatti negarsi una linea di continuità nel processo formativo della volontà.

6.5. Col primo dei motivi aggiunti è stato ribadito, quanto al grado di colpa, che esso, rilevante ai fini della dosimetria sanzionatoria, non andava ricostruito in ragione della tragicità dell’evento.

Al contrario, la sentenza impugnata aveva così rinvenuto un eguale grado della colpa nel mero errore di ricopiatura della terapia quotidiana della paziente, effettuato dallo specializzando (OMISSIS), rispetto alle condotte degli altri medici che ben altre responsabilità e professionalità avevano.

D’altronde in tal senso la sentenza impugnata aveva proceduto nei riguardi dell’infermiera (OMISSIS), correttamente assolvendola.

6.5.1. Col secondo dei motivi aggiunti sono state riproposte le considerazioni circa l’illegittimità della negata continuazione tra i delitti di falso di cui ai capi contestati e la sentenza di patteggiamento.

7. Ricorso (OMISSIS).

7.1. Ripercorsi i dati fattuali non controversi, quanto all’iniziale errore di copiatura ascrivibile al (OMISSIS) e ai conseguenti errori degli altri imputati già coperti in parte dal giudicato, col primo motivo di ricorso è stata lamentata erronea interpretazione della legge penale quanto all’addebito di avere consentito agli specializzandi una gestione autonoma della paziente Lembo, nelle forme della cooperazione colposa. In particolare, in specie le condotte del dirigente medico e dei coimputati erano state tenute in tempi e contesti diversi, senza una concertata azione imprudente.

Né il ricorrente aveva delegato ad altri una gestione autonoma della paziente (OMISSIS), né una scelta terapeutica, né una prestazione che non fosse meramente esecutiva. In realtà doveva essere seguito lo schema terapeutico prestabilito dall’imputato, mai revocato in dubbio nella sua correttezza tecnica e già seguito nelle precedenti corrette somministrazioni del farmaco anche negli aspetti quantitativi.

In realtà la sentenza impugnata non aveva inteso spiegare in che cosa fosse consistita la gestione autonoma della paziente, in tesi indebitamente consentita.

La coimputata (OMISSIS), secondo il ricorrente, si era così resa responsabile di un eccesso dall’autonomia vincolata nello svolgimento di attività puramente esecutiva.

7.2. Col secondo motivo, in relazione all’addebito di omesso o inadeguato controllo e invocando errata interpretazione della legge penale e difetto di motivazione, il ricorrente – tenuto conto del necessario ancoraggio della posizione di garanzia rivestita all’area della responsabilità non oggettiva – ha osservato che il dovere di controllo non poteva essere ricostruito come potere di controllo di ogni cosa, in considerazione del principio di affidamento sulla correttezza dell’operato altrui.

Al contrario, all’imputato era stato ascritta la responsabilità di non avere controllato tutto, anche la trascrizione di un dosaggio già stabilito e già applicato correttamente, allorché pertanto non vi era nulla che facesse revocare in dubbio l’affidamento nell’idoneità dell’organizzazione e dei collaboratori.

Del resto, come attestato dalla deposizione del (OMISSIS), studente in medicina ammesso alla frequentazione del reparto per la preparazione della tesi, nella mattinata del 7 dicembre il (OMISSIS) aveva incaricato di proseguire col medesimo trattamento terapeutico, verificati gli esami e le condizioni della paziente.

7.3. Col terzo motivo, quanto all’affermazione di responsabilità in relazione ad accuse non contestate, la previa formulazione dell’accusa definiva gli oggetti del contraddittorio e poneva la difesa in condizioni di impostare la propria attività processuale, ed in specie era stato dato rilievo ad addebiti relativi a supposti difetti di organizzazione, sì da costituire violazione della legge processuale.

7.4. Col quarto motivo, in relazione all’esistenza di colpa nella presa in carico della paziente affetta da patologia poco comune in reparto, la circolare del (già) direttore del dipartimento di oncologia rappresentava disposizione meramente organizzativa, quanto alla mancata presa in carico dei pazienti con patologie paragonabili a quelli della vittima, e non rivestiva valenza normativa di codificazione di regola cautelare, bensì solamente aveva la finalità di razionalizzare la gestione dei pazienti.

Tant’è che l’imputato — con pacifica e specifica competenza in materia – aveva accettato pazienti portatori di linfomi sia prima che dopo la circolare richiamata, tenuto conto che il medico specializzando avrebbe tra l’altro dovuto seguire, al fine dell’ammissione all’esame finale di diploma, anche una percentuale di pazienti nel settore delle emolinfopatie.

Tra l’altro la correttezza dello schema terapeutico adottato dava conto della possibilità della presa in carico della paziente.

7.5. Col quinto motivo, con riguardo agli addebiti di difetti di organizzazione, essi costituivano addebiti generici e non erano collegati ad episodi specifici, tant’è che la vicenda (OMISSIS) rappresentava un caso isolato.

Oltre a ciò, non sussisteva spiegazione della condotta colposa del (OMISSIS) in relazione al decesso della paziente, e gli addebiti dovevano considerarsi infondati in sé e non legati alla catena causale sfociata nel decesso della signora.

In definitiva, secondo il ricorrente, i pretesi difetti di organizzazione non erano stati precisati in forma di addebiti rispetto alla concatenazione di eventi che avevano condotto a morte la (OMISSIS), e che erano partiti dal madornale errore di copiatura.

Non vi era stata gestione autonoma della paziente, e la sbandierata culpa in eligendo era rimasta espressione priva di contenuti.

7.6. Col sesto motivo, in ordine alla commisurazione della pena lievemente superiore alla media edittale, il ricorrente ha osservato che non era stata spesa parola in relazione al volto costituzionale della pena e all’idea rieducativa rivolta al futuro.

Del pari, era stato malamente impostato il problema del grado della colpa, laddove la pena minore era stata fissata per la coimputata che aveva addirittura imposto alle infermiere la somministrazione della dose letale, nonostante le perplessità del personale e senza interpellare ad es. lo stesso (OMISSIS), impegnato in Consiglio di facoltà.

Mentre era stato dato rilievo alla pretesa abnormità del post-fatto in relazione alla qualità e alla tempestività delle informazioni ai familiari della Lembo, oggetto peraltro di altro giudizio come segnalato dalla stessa parte civile.

In ogni caso il rilievo della condotta susseguente al reato rivestiva possibile rilevanza in bonam partem, e non poteva rappresentare sanzione per qualcosa di diverso rispetto al commesso reato.

7.7. Erano quindi proposte questioni di legittimità costituzionale in relazione all’art. 521 cod. proc. pen. nell’esegesi che ammette condanna in relazione ad addebiti di colpa non formalmente contestati; nonché in relazione all’art. 133 cit., quanto al considerare fatti successivi al reato come ragioni di aggravamento nella commisurazione della pena.

8. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo:

a) il rigetto del ricorso della Procura generale territoriale;

b) l’inammissibilità del ricorso del (OMISSIS);

c) l’accoglimento del ricorso presentato dalla (OMISSIS) con annullamento senza rinvio della sentenza in relazione all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dalla professione medica;

d) il rigetto del ricorso del (OMISSIS).

9. E’ stata depositata memoria di replica dalla difesa (OMISSIS), con istanza di annullamento senza rinvio ovvero di declaratoria di intervenuta prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

10. Sono inammissibili i ricorsi proposti da Sergio (OMISSIS) e da Alberto (OMISSIS), mentre devono ritenersi infondati i ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili.

La sentenza impugnata va infine annullata senza rinvio quanto alla posizione della (OMISSIS), limitatamente alla pena accessoria della interdizione dalla professione medica.

11. Ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

11.1. Le impugnazioni vanno esaminate congiuntamente, data l’evidente connessione.

11.1.1. In proposito invero la sentenza di annullamento di questa Corte di legittimità aveva osservato, in relazione alla prima pronuncia della Corte territoriale, che “la decisione, invero, appare sul punto del tutto carente, risolvendosi nella considerazione secondo la quale [la (OMISSIS)] “avrebbe potuto e dovuto” chiedere un consulto ad un “medico strutturato del reparto per chiarire la ragione di un simile quantitativo di quel farmaco che appariva oggettivamente esorbitante da allestire”.

Si tratta di un’affermazione che non rimanda ad alcun accertamento sulla sussistenza di un simile obbligo come derivante da linee guida o buone prassi – la cui esistenza deve trovare positiva dimostrazione in giudizio – proprie della professione infermieristica, relative alla preparazione e somministrazione dei farmaci nei casi di necessità di verifica dei dosaggi e delle modalità di allestimento, a mezzo di confronto con il personale medico.

Né l’esistenza del dovere di riferirsi esclusivamente a medici strutturati viene ricavata da normative interne all’azienda sanitaria o al reparto, anche sotto il mero profilo dell’instaurarsi di una prassi conosciuta o conoscibile dal personale ivi operante.

Per contro, seppure la decisione si soffermi a lungo sul ruolo ricoperto nel reparto di oncologia da Laura (OMISSIS), riconoscendo che la medesima svolgeva al suo interno stabili mansioni lavorative, essendo considerata braccio destro di Sergio (OMISSIS) – sicché visitava e seguiva i pazienti, sottoscrivendo le cartelle cliniche – poi non si misura con siffatta descrizione dei compiti e della veste effettivamente riconosciuta all’oncologa non strutturata, fermandosi alla semplice considerazione che ella non aveva un incarico formale e che, pertanto, non poteva essere valido interlocutore nel confronto sulla IO posologia del farmaco.

Nel quadro organizzativo del reparto tratteggiato dalla sentenza Laura (OMISSIS) è figura assai significativa, rispetto alla quale manca il doveroso approfondimento sulla natura dei rapporti in concreto tenuti con il personale medico c.d. strutturato, ma soprattutto con il personale infermieristico, stante l’importanza del suo operato riconosciuto dal medesimo (OMISSIS) e noto a tutti, sinanco, come sottolinea la Corte territoriale, ai vertici amministrativi, che avrebbero consentito, in buona sostanza, il prolungamento del tirocinio in oncologia, presso il reparto ove operava (OMISSIS), sebbene Laura (OMISSIS), fosse già specializzata in detta branca della medicina.

E’ chiaro che la ricerca della regola cautelare relativa all’obbligo di indentificare l’interlocutore con il quale avviare il ‘confronto’ fra infermiere e medico deve essere calato in siffatto scenario, individuando ex ante la modalità operativa da seguire, rinvenendola in norme procedurali note o conoscibili dall’agente modello, quali linee guida, buone prassi, protocolli, raccomandazioni e normative interne o consuetudinarie.

La Corte territoriale, al contrario, si muove su un terreno non coerente con il canone della prevedibilità dell’evento che informa i reati colposi, e giunge a costruire la regola cautelare di condotta da applicare al caso concreto formulando un ragionamento ex post – di carattere circolare – con cui rintraccia l’obbligo, che assume violato, ricavandolo dal prodursi del fatto dannoso, finendo per confondere la rimproverabilità della condotta, valutabile solo ex ante, con la sua efficacia causale, giudicabile solo ex post..

11.2. La sentenza deve, quindi, essere annullata con rinvio sul punto, facendo carico alla Corte territoriale di verificare se dal compendio delle emergenze raccolte in giudizio sia ricavabile l’esistenza di una regola di condotta contenuta in norme procedurali note o conoscibili dall’agente modello, quali linee guida, buone prassi, protocolli, raccomandazioni e normative interne o consuetudinarie, con la quale si preveda che l’interlocuzione fra l’infermiere professionale ed il medico, relativamente allo scioglimento dei nodi relativi al dosaggio dei farmaci ed al loro allestimento, debba intervenire solo con medici c. d. ‘strutturati’, escludendo altri medici operanti nei reparti, ancorché dotati – seppure di fatto – di relativa autonomia di intervento”.

11.3. A fronte di questo chiaro quesito, integralmente ripreso e devoluto al Giudice del rinvio, la sentenza ora impugnata ha risposto in modo non censurabile.

11.3.1. Vero è, infatti, che da un lato la Corte territoriale ha osservato (così ribadendo i pregressi rilievi di questa Corte di legittimità) come l’imputata avesse immediatamente sollecitato – nella sua qualità di infermiera professionale – il confronto col professionista medico, ed in specie con la dottoressa (OMISSIS), che nell’ambiente sostanzialmente autoreferenziale del reparto palermitano si poneva come alter ego del Primario (e che infatti, per quanto possa valere, non ebbe dubbi nel fornire – purtroppo errando – alla dottoressa (OMISSIS) le rassicurazioni che quest’ultima, se non altro in ragione della carenza del farmaco Vinblastina a disposizione, aveva richiesto).

Oltre a ciò, la stessa (OMISSIS) aveva anzi impartito altresì – ed il particolare è stato sottolineato invero dagli stessi ricorrenti – le indicazioni per apprestare la somministrazione da farsi, con urgenza, alla (OMISSIS), introducendo i 90 mg. di Vinblastina in una sacca da flebo di 100 ml., una volta che questa fosse stata svuotata dal suo contenuto di soluzione fisiologica.

Per altro verso, quanto all’individuazione del soggetto col quale detto confronto avrebbe dovuto essere in effetti compiuto, la sentenza impugnata ha dato correttamente atto del quesito devolutole (v. supra), circa la verifica in concreto della condotta ascritta all’imputata, tenuto conto delle modalità con le quali si svolgeva il lavoro nel reparto.

In tal senso era stata espressamente censurata – dalla Quarta sezione di questa Corte – la pregressa argomentazione somministrata dai precedenti Giudici del merito in esito alla formulazione di un ragionamento ex post – di carattere circolare – in forza del quale sarebbe stato rintracciato l’obbligo, in tesi violato, dal prodursi del fatto dannoso, finendo per confondere la rimproverabilità della condotta, valutabile solo ex ante, con la sua efficacia causale, giudicabile solo ex post.

Ciò complessivamente posto, la posizione della (OMISSIS) – professionista già specializzata in oncologia, e specializzanda in patologia medica nella generale connivenza delle istituzioni ospedaliere, ed al solo scopo di proseguire la personale preparazione accanto al proprio punto di riferimento professionale, ossia il (OMISSIS) – era tale che l’avvenuta approfondita e sollecitata consultazione della stessa sanitaria, medico riconosciuto in una posizione inferiore al solo primario (laddove la (OMISSIS) aveva tra l’altro verificato anche la cartella clinica della povera paziente), doveva apparire del tutto risolutiva e tranquillizzante per la (OMISSIS).

In tal senso – anche a prescindere dalle contestazioni in fatto che il Procuratore generale ha inteso avanzare nei confronti della pronuncia della Corte di Cassazione, tendenti ad una differente interpretazione del quadro probatorio siccome posto all’esame del Giudice di legittimità, e da questo valutato anche ai fini del rinvio – la sentenza impugnata ha correttamente escluso il profilo di responsabilità dell’imputata in ordine alla rimproverabilità della condotta, anche all’esito della verifica del contenuto delle Raccomandazioni ministeriali n. 7 del marzo 2008, laddove esse dovevano leggersi comunque – in ragione dei richiamati contenuti della pronuncia di annullamento – in coerente seguito proprio agli ulteriori elementi colà considerati, secondo cui l’originaria sentenza della Corte territoriale si era – con procedimento logico ritenuto non condivisibile – fermata “alla semplice considerazione che ella [la (OMISSIS)] non aveva un incarico formale e che, pertanto, non poteva essere valido interlocutore nel confronto sulla posologia del farmaco”.

Perdono quindi consistenza, proprio alla stregua delle complessive osservazioni che precedono, anche le ulteriori considerazioni che le parti civili hanno inteso formulare circa le mutate modalità di somministrazione del farmaco a seguito dell’abnorme quantitativo di farmaco così erroneamente prescritto.

Come infatti è stato opportunamente ricordato dallo stesso Procuratore generale nella requisitoria scritta, “si ritiene che tale Raccomandazione, dal momento che non contiene un’indicazione univoca della qualifica formale del medico al quale il personale infermieristico deve rivolgersi nei casi indicati, debba essere interpretata anche alla luce del contesto nel quale ha operato la (OMISSIS), e in particolare della specifica posizione che occupava la (OMISSIS) in tale contesto; posizione che è stata ampiamente documentata tanto dal giudice di merito quanto dalla Corte di Cassazione nella pronuncia di rinvio.

La Corte di merito ha dato adeguatamente conto di come la dr.ssa (OMISSIS) fosse un punto di riferimento all’interno del reparto, dal momento che la stessa era considerata il “braccio destro” del prof. (OMISSIS), “aveva in cura pazienti, faceva visite, seguiva terapie, metteva mani nelle cartelle cliniche, come se anch’ella fosse strutturata, sotto gli occhi di tutti e senza infingimenti di sorta”.

Si ritiene che tale circostanza rivesta un’importanza rilevante nella valutazione della condotta della (OMISSIS), poiché il riferimento allo specifico contesto nel quale quest’ultima operava deve essere preso attentamente in considerazione, oltre che in forza del principio costituzionale di personalità della pena di cui all’art. 27 Cost., anche in quanto specificamente richiamato dalla Suprema corte nella sentenza di rinvio.

Quest’ultima invero non si è limitata a demandare al giudice di merito l’individuazione di una fonte dalla quale desumere l’esistenza di una specifica regola cautelare inerente all’interlocuzione tra medico strutturato ed infermiere, ma ha anche affermato che tale regola cautelare avrebbe dovuto essere calata nello scenario nel quale ha operato l’imputata”.

In simile delineato quadro di riferimento, quanto sostenuto dal Procuratore generale si presenta integralmente condivisibile, e si pone a diretto e positivo confronto con le ragioni del precedente annullamento, non accontentatosi di una – troppo facile nella situazione data – risposta meramente formale.

L’area di rimprovero penalmente rilevante non può estendersi pertanto all’imputata (OMISSIS), col conseguente rigetto dei ricorsi aventi ad oggetto l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha disatteso la richiesta affermazione di responsabilità della donna.

12. Ricorso (OMISSIS).

12.1. Il ricorso è fondato.

La norma di cui all’art. 33 cod. pen. prevede infatti che, in caso di delitto colposo, non si applicano le disposizioni di cui all’art. 13 29 cod. pen. (interdizione dai pubblici uffici) e del secondo capoverso dell’art. 32 cod. pen. (interdizione legale), mentre le previsioni di cui all’art. 31 cod. pen. (interdizione temporanea dalla professione, arte, industria o dal commercio o mestiere, ovvero dai pubblici uffici) non trovano spazio nel caso di condanna per delitto colposo, se la pena inflitta è inferiore ai tre anni di reclusione, o se è inflitta soltanto una pena pecuniaria.

In specie, l’odierna ricorrente ha subito una condanna complessiva ad anni due mesi tre di reclusione per i reati ascrittile, ed in ogni caso la Corte territoriale, nell’operare l’alleggerimento del trattamento sanzionatorio, ha disposto la riduzione della pena accessoria dell’interdizione dalla professione medica ad anni due, espressamente parametrandola (cfr. pagg. 48-49 della sentenza impugnata) alla relativa pena principale parimenti ridotta ad anni due di reclusione, siccome particolarmente inflitta per il reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. in considerazione della condotta colposa lungamente esaminata ed ormai coperta dalla definitività dell’accertamento.

12.2. In ragione di ciò, la misura interdittiva non può essere applicata a carico dell’odierna ricorrente, col conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata – in conformità alle stesse conclusioni del Procuratore generale – limitatamente a detta sanzione accessoria, che va pertanto eliminata.

13. Ricorso (OMISSIS).

13.1. Come ha correttamente ricordato la sentenza impugnata, in primo grado il ricorrente era stato dichiarato colpevole del reato di omicidio colposo di cui al capo A), nonché dei reati di falsità in certificati pubblici ascritti ai capi B) e C).

Al (OMISSIS) era così stata inflitta una condanna ad anni quattro di reclusione per il reato di cui al capo A), e ad anni due e mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi B) e C), ritenuta per questi ultimi la continuazione interna ed esterna, con la pena accessoria dell’interdizione dalla professione medica per la durata di anni sei e mesi sei.

La sentenza di primo grado veniva parzialmente riformata solo sul trattamento sanzionatorio.

In particolare, nei riguardi dell’odierno ricorrente la pena inflitta per i reati di cui ai capi B) e C) era ridotta a mesi otto di reclusione, con la conferma della pena di anni quattro di reclusione per il reato di cui al capo A), peraltro con riduzione ad anni quattro della durata della pena accessoria dell’interdizione dalla professione medica.

A questo riguardo la Quarta sezione di questa Corte di legittimità, cui anche il ricorrente si era rivolto censurando tra l’altro la dosimetria della pena, ebbe ad osservare in sintesi, premesse le considerazioni generali su determinazione della pena, relativa discrezionalità del Giudice e illustrazione degli elementi di valutazione tenuti presenti a norma dell’art. 133 cod. pen., che la motivazione della sentenza allora impugnata alesava “contraddittorietà … fra la parte dedicata alla descrizione della grave disorganizzazione del reparto di oncologia, come emersa dalla visita ispettiva disposta nel febbraio 2012 dalla Commissione multidisciplinare nominata dal Ministero della Salute e dalla Regione Sicilia, e la parte dedicata alla determinazione delle pene da irrogarsi.

In modo del tutto singolare, infatti, la Corte territoriale tiene in considerazione siffatta condizione di mancanza di governo effettivo del reparto – da cui peraltro, secondo la sentenza, era dipesa anche la prassi invalsa di predisporre le prescrizioni con la sola firma dello specializzando, senza controfirma di un medico strutturato o del tutor – solo nella determinazione della sanzione in ordine ai reati dolosi, senza farvi cenno e quindi senza considerarne il peso nella valutazione della condotta colposa dei medici coinvolti.

Ebbene è chiaro, nondimeno, che l’elemento della disorganizzazione, della confusione dei compiti, della mancanza di un procedimento di controllo dell’opera degli specializzandi ed in generale dei medici operanti nel reparto, ma ancor di più l’affidamento di compiti di ‘copiatura’ delle prescrizioni a meri studenti di medicina, ignari del significato delle indicazioni trascritte, l’assenza di controlli successivi destinati ad elidere gli eventuali errori e, dunque, in generale la mancanza di una procedimentalizzazione effettiva, coinvolgente tutti gli attori intervenienti nella formulazione, nella comunicazione e nell’approntamento del farmaco da somministrare, sono condizioni incidenti sul grado di rimproverabilità della condotta, che non possono venire tout court ignorate nella determinazione della pena per il reato colposo…

La sentenza, nondimeno, riconosce che un simile stato di cose influenzò la commissione dei reati di falsità ideologica, il cui elemento soggettivo per la sua natura dolosa, prescinde dalle condizioni esterne, che possono al più oggettivamente agevolare la realizzazione del delitto, ma non considera, invece, che proprio la disorganizzazione grava in concreto sull’effettiva realizzazione della condotta colposa incidendo sulla divergenza fra la condotta tenuta e quella attesa”. In tal senso andava devoluto al Giudice del rinvio anche l’ulteriore doglianza in ordine al riconoscimento ed alla eventuale misura delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen..

13.2. Chiamata a sanare il vizio così individuato e a confrontarsi con le ulteriori censure già ritenute assorbite, la Corte territoriale ha comunque provveduto ad una generale riduzione del trattamento sanzionatorio, in tal modo infliggendo tra l’altro al (OMISSIS), per il reato di cui al capo A) dell’epigrafe, la pena di anni tre di reclusione e, per i reati di cui ai capi B) e C) della rubrica, unificati per continuazione, la pena di mesi cinque di reclusione, con la contestuale riduzione ad anni tre della durata della pena accessoria dell’interdizione dalla professione medica.

13.2.1. In relazione anzitutto alle attenuanti generiche, esse non sono state riconosciute in ragione della gravità “estrema” della condotta dell’imputato, connotata da negative valutazioni che avevano percorso tutti i giudizi di merito.

Mentre, del pari, doveva considerarsi parimenti grave il comportamento post factum, caratterizzato dai tentativi di scaricare su altri la responsabilità dell’accaduto (anche falsificando la cartella clinica della signora (OMISSIS), condotta che infine era stata sanzionata con l’apertura di altro distinto procedimento penale e che aveva trovato definitiva soluzione in forza dell’applicazione di pena patteggiata per il reato di cui agli artt. 476 e 493 cod. pen.), laddove in ogni caso lo stesso (OMISSIS) era stato ritenuto colpevole per gli ulteriori precedenti falsi compiuti in costanza di specializzazione.

13.2.2. In ordine invece al rilievo della Quarta sezione circa l’approssimazione gestionale del reparto ospedaliero, che aveva avuto incidenza indubbia sulla stessa quotidiana operatività, la Corte territoriale ha – per un verso – ridotto appunto la pena detentiva quanto al reato sub A da quattro a tre anni di reclusione (con identica riduzione a tre anni della sanzione interdittiva) e – d’altro canto – ha rideterminato in mesi cinque la pena detentiva per i delitti di falso di cui ai capi sub B e sub C, uniti – ma solo tra di loro – dal vincolo della continuazione, istituto che invece non poteva collegarsi con gli altri delitti per i quali erano intervenute condanna ovvero applicazione di pena concordata.

14. Ciò complessivamente posto, non può in primo luogo non essere osservato – per quanto la questione possa ancora rilevare, tenuto conto che sull’affermazione di responsabilità la pronuncia è ormai irrevocabile – che il medico specializzando è titolare di una posizione di garanzia in relazione alle attività personalmente compiute nell’osservanza delle direttive e sotto il controllo del medico tutore, che deve verificarne i risultati, fermo restando che la sua responsabilità dovrà in concreto essere valutata in rapporto anche allo stadio nel quale al momento del fatto si trovava l’iter formativo (con la precisazione che il medico specializzando deve rifiutare i compiti che non ritiene in grado di compiere, poiché in caso contrario se ne assume la responsabilità a titolo di cosiddetta colpa per assunzione) (Sez. 4, n. 6215 del 10/12/2009, dep. 2010, Pappadà e altri, Rv. 246419).

14.1. Per ciò che riguarda il primo motivo di ricorso, coglie nel segno il Procuratore generale laddove ha annotato che, da un lato, la Corte territoriale ha correttamente dato seguito alla richiesta di questa Corte di legittimità di valutare la condotta del (OMISSIS) alla luce del complessivo – deficitario – contesto organizzativo, caratterizzante il reparto nel quale operava, tant’è che (v. supra) vi è stata nel secondo giudizio di appello una non irrilevante rideterminazione in melius del trattamento sanzionatorio.

D’altro canto le considerazioni svolte in questa sede da parte ricorrente appaiono un tentativo di ridiscutere la posizione dell’imputato, nonostante la definizione delle questioni sostanziali e l’intervenuto accertamento di responsabilità già in occasione della prima sentenza d’appello, annullata invero per altre e diverse ragioni ma non sotto il profilo della colpa del ricorrente.

In particolare, questa Corte di legittimità, con riferimento al primo giudizio di appello, aveva già conclusivamente osservato ad es. che “la sentenza, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non confonde imperizia e negligenza ma, ripercorrendo analiticamente la vicenda.., considera che l’errore di trascrizione da parte di (OMISSIS) costituisca il sintomo evidente della grave imperizia del medesimo, dimostratosi privo di minime cognizioni in materia di cura del tumore liquido, che, laddove possedute, avrebbero impedito un siffatto grossolano sbaglio nella ricopiatura, dovuto non alla distrazione, ma all’inconsapevolezza delle modalità di cura di quel tipo di patologia, tanto che, a dimostrazione di ciò depone, secondo il provvedimento, anche la compilazione, da parte di (OMISSIS), del consenso informato, sottoposto alla paziente, ove lo specializzando riportò erroneamente sinanco l’acronimo della terapia (ABVT anziché ABVD).

5.3. Il deferimento…alla superficialità ed all’ingiustificata leggerezza della condotta del medico specializzando vanno lette nel senso in cui sono state spese dalla Corte territoriale, come segni di un comportamento colposo complessivamente riferibile all’imperizia dell’imputato, sfornito delle più elementari conoscenze sulla terapia praticata alla paziente (OMISSIS), della quale, peraltro, provvedeva a compilare cartella e foglio di prescrizione.

5.4. La misura dell’imperizia, come grave, nondimeno, viene ponderata dalla Corte sul concetto di ‘preparazione ed adeguatezza’ del medico, la cui scarsa consistenza ha dato l’avvio alla catena di errori che hanno condotto alla morte di Valeria (OMISSIS)”.

Catena di errori che, in ogni caso, non era stata tale da interrompere il nesso di causalità tra la condotta di (OMISSIS) e l’evento, mentre senz’altro a carico del ricorrente erano state accertate, in un quadro gravemente colposo, tanto la rimproverabilità della condotta quanto la prevedibilità dell’evento, proprio in ragione della piena doverosa consapevolezza in capo al (OMISSIS) – come è stato parimenti annotato dal Procuratore generale – delle palesi criticità organizzative del reparto ospedaliero.

14.1.1. Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, va ricordato che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142; cfr. ad es. altresì Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv. 271243; cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).

Mero arbitrio e ragionamento illogico che, in ragione del complessivo percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale, non è possibile scorgere, laddove le singole responsabilità – con le conseguenti determinazioni sanzionatorie – sono state oggetto di adeguato vaglio e di distinte determinazioni, dove la valutazione delle singole e distinte posizioni organizzative degli imputati ha rappresentato uno degli elementi cui la Corte territoriale ha fatto riferimento nella determinazione della dosimetria sanzionatoria.

Tra l’altro la stessa sentenza della Quarta Sezione ha ricordato che, quanto alla determinazione concreta della pena, non è richiesta al Giudice un’analitica ed esasperata valutazione di tutti gli elementi indicati dall’art. 133 cit., sia pure nella necessità di una motivazione razionale e non contraddittoria che, in specie, è certamente sussistente e del tutto congrua.

15. In relazione poi al secondo profilo di censura, è nozione comune che, in tema di riconoscimento delle attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).

Infatti, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).

15.1. La sentenza impugnata pertanto, applicando correttamente i principi, ha non illogicamente attribuito rilievo preponderante alla gravità della condotta e al negativo comportamento tenuto dallo stesso ricorrente dopo il fatto, con significativa e non censurabile – in quanto non irragionevole – distinzione rispetto alla coimputata (OMISSIS) (già meritevole del beneficio in momento processuale risalente) in forza del richiamato contributo da costei prestato per giungere, già nelle indagini preliminari, ad una più compiuta ricostruzione dei fatti (aspetto mai coltivato dal (OMISSIS), che alla questione non si è oggettivamente mai dimostrato interessato, ma che anzi, come ha ricordato la sentenza impugnata, aveva inizialmente tentato solamente di sviare da sé la responsabilità dell’accaduto, invero addossandola ad un ignaro studente di medicina).

In questo senso, tenuto conto del ben differente oggetto dei procedimenti, non può rilevare che nel giudizio conclusosi con l’applicazione di pena patteggiata siano state riconosciute le attenuanti generiche, attesa la non illogica illustrazione, in questo giudizio, delle ragioni che ostavano alla somministrazione del beneficio.

Quanto alla violazione del cd. ne bis in idem sostanziale, detto principio impedisce al giudice di procedere contro la stessa persona per il medesimo fatto su cui si è formato il giudicato, ma non di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento a diverso reato, dovendo la vicenda criminosa essere valutata alla luce di tutte le sue implicazioni penali (ex multis, Sez. 2, n. 28048 del 08/04/2021, Giorgadze, Rv. 281799; Sez. 1, n. 12943 del 29/01/2014, Bausone, Rv. 260133).

Al riguardo, proprio l’esistenza di altre condanne ha indotto la Corte territoriale a negativamente considerare il riconoscimento del beneficio, in virtù di un manifesto giudizio negativo sulla persona dell’imputato.

16. Parimenti non meritevole di accoglimento è il terzo motivo di impugnazione, laddove l’identità del disegno criminoso è stata rinvenuta dal ricorrente nella situazione di carenza organizzativa che connotava il reparto ospedaliero.

16.1. Come è stato correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il reato di falso legato all’alterazione della cartella clinica della signora (OMISSIS) non può essere collegato, ai fini di cui all’art. 81 cod. pen., ai pregressi reati di falso nella gestione delle cartelle cliniche, trattandosi di “fattispecie separate, non logicamente legate in alcun modo”. Né risulta “ravvisabile tra questi diversi fatti alcun disegno unitario, come è intuibile anche solo leggendo le diverse imputazioni”.

Vero è, infatti, che, ai fini della configurabilità della unicità del disegno criminoso è necessario che le singole violazioni costituiscano parte integrante di un unico programma deliberato fin dall’inizio per conseguire un determinato fine, con la conseguenza che tale unicità è da escludere quando la successione degli episodi criminosi, malgrado la contiguità spazio-temporale e il nesso funzionale riscontrabile tra i distinti reati, evidenzia l’occasionalità di uno di questi (è stato così ad es. ritenuto corretto il mancato riconoscimento della continuazione tra il reato di cessione di sostanza stupefacente e quello successivo di resistenza a pubblico ufficiale, sul presupposto che l’imputato, al momento della consegna dello stupefacente, non poteva aver già deliberato di porre in essere la resistenza) (Sez. 3, n. 896 del 17/11/2015, dep. 2016, Hamami, Rv. 266179).

Se invero il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori (quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, ed il fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali), non è sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).

In piena adesione a siffatti principi, la Corte territoriale ha così osservato che i reati di cui ai capi B) e C) della rubrica erano semmai legati al pessimo andazzo amministrativo del reparto, dove prescrizioni e terapie erano sottoscritte anche dagli specializzandi con timbri non di pertinenza, mentre il reato di cui alla pena patteggiata trovava la propria occasione – unica ed estemporanea, nei sensi già chiariti – nella volontà di alterare le prove rilevanti in questo processo. Ed in proposito non poteva essere ravvisata alcuna reciproca identità di disegno criminoso.

17. Egualmente non ammissibile è la censura del ricorrente nella parte in cui viene richiesto il riconoscimento della continuazione tra il reato di omicidio colposo ed il delitto di falso, di cui all’applicazione concordata di pena.

17.1. La stessa difesa del ricorrente ha correttamente evidenziato che – per giurisprudenza del tutto consolidata – l’istituto della continuazione non è applicabile tra reati dolosi e reati colposi, in quanto l’unicità del disegno criminoso attiene al momento psicologico (dolo), che non può sussistere nei reati colposi nei quali l’evento non è voluto (ex plurimis, Sez. 1, n. 435 del 10/07/2018, dep. 2019, Rho, Rv. 274663; Sez. 6, n. 6579 del 01/02/2012, Mancini, Rv. 252041).

Al più, dagli esempi allegati dal ricorrente (quanto all’imprenditore che volutamente non adempie a prescrizioni antinfortunistiche, peraltro non volendo la morte ovvero le lesioni dei propri dipendenti) si può desumere o che gli eventi lesivi siano al di fuori del fuoco della volontà del reo (per cui non potrebbe comunque discorrersi di continuazione alla stregua di quanto osservato), ovvero che gli stessi siano comunque accettati (così rientrando nel dolo eventuale, e non più nella colpa).

Come è stato opportunamente ricordato dallo stesso Procuratore generale, l’istituto della continuazione “ha lo scopo di punire in maniera più lieve condotte che, essendo espressione del medesimo disegno criminoso, sono dimostrative di una minore riprovevolezza del contegno del soggetto, in quanto i plurimi fatti realizzati appaiono espressione di un unico proposito criminale”. In ogni caso non sussistono quindi congrue ragioni per disattendere principi del tutto radicati.

18. La manifesta infondatezza delle ragioni di doglianza, che in parte si risolvono nel tentativo di porre nuovamente in discussione esiti ormai irrevocabili e che in parte neppure si confrontano col percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale, non può che comportare l’inammissibilità del ricorso, estesa – a norma dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen. – ai motivi aggiunti siccome proposti.

19. Ricorso (OMISSIS).

19.1. In via del tutto preliminare, e come è stato già ricordato dalla sentenza impugnata, va ribadito che all’odierno ricorrente non è stata ascritta alcuna violazione circa la correttezza, o meno, del trattamento terapeutico previsto per la signora (OMISSIS).

Al contrario, la sentenza ha dato sostanzialmente per scontata la circostanza che il trattamento prescritto dal ricorrente, medico curante della signora (OMISSIS), fosse quello corretto.

In particolare, invece, la Corte territoriale ha ricordato che all’imputato era stato contestato, sotto il profilo della cooperazione colposa nel decesso della signora (OMISSIS),

a) di avere contravvenuto ai propri doveri di controllo professionale sull’attività dei medici (OMISSIS) e (OMISSIS), dei quali era responsabile e garante giuridicamente in quanto loro tutor;

b) di avere disatteso il contenuto prescrittivo della circolare organizzativa interna, emanata dall’allora Primario del reparto, quanto alla devoluzione al reparto di ematologia della cura dei tumori, come il linfoma di Hodgkin, di cui soffriva la paziente;

c) di avere consapevolmente tollerato che i ricordati medici specializzandi abusassero scientemente e reiteratamente delle proprie prerogative, esorbitando dalle stesse e comportandosi come sanitari già del tutto formati, capaci e responsabili;

d) di avere tollerato ciò, con ulteriore aggravio di responsabilità nella violazione cautelare, soprattutto nel caso della signora Lembo, affetta da una forma tumorale non usuale, e comunque da non trattarsi in quella struttura;

e) di avere operato nel reparto di cui aveva la responsabilità di fatto con criteri organizzativi e gestionali, amministrativi e sanitari, del tutto inadeguati, siccome comprovato dall’assoluta carenza di controlli sulla attività dei medici lui affidati, circostanza che avrebbe poi avuto una ricaduta eziologica nella morte della signora;

f) di non essersi curato, infine, della corretta tenuta e del controllo costante e della consultazione dei dati della cartella clinica, in tal modo non avvedendosi del macroscopico errore di trascrizione, risalente al 23 novembre 2011, dunque a due settimane prima della morte di Valeria (OMISSIS), e non ponendo in essere quell’attività di controllo e di risoluzione sicuramente salvifica.

19.1.1. Ciò posto, e come è già stato ricordato, sussiste la cooperazione nel delitto colposo, a termini dell’art. 113 cod. pen. siccome contestato a tutti gli imputati, quando il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli (Sez. 4, n. 22214 del 12/04/2019, Scidone, Rv. 276685).

In tal senso, ed ancora più specificamente quanto alla fattispecie esaminata, questa Corte di legittimità ha avuto modo di osservare che deve altresì considerarsi responsabile ai sensi dell’art. 113 cod. pen. di cooperazione nel delitto colposo l’agente che, trovandosi a operare in una situazione di rischio da lui immediatamente percepibile, sebbene non rivesta alcuna posizione di garanzia, contribuisca con la propria condotta cooperativa all’aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento (era stata così disattesa la censura nei riguardi di una decisione con cui era stata confermata la responsabilità, ex art. 113 e 589, comma secondo, cod. pen., di un dipendente che, postosi alla guida di un autocompattatore senza un’adeguata formazione e privo di patente di idoneità, aveva cagionato, con manovra in retromarcia, la morte di un soggetto posizionatosi a tergo del mezzo, in tal modo concretizzando il rischio introdotto dai responsabili dell’azienda che, senza effettuarne la valutazione e separare, pertanto, la circolazione di personale e mezzi, avevano reso disponibile un autocompattatore avente criticità e difetti di funzionamento, in specie nell’esecuzione delle manovre di retromarcia) (Sez. 4, n. 46408 del 14/12/2021, Pisaniello, Rv. 282556).

19.1.2. In questo senso la sentenza impugnata ha, con estrema chiarezza espositiva, dato conto della difficile situazione organizzativa presente nel reparto ospedaliero nonché dei tratti anche caratteriali – in particolare, ma non solo, dell’odierno ricorrente – che rendevano da un lato malagevole la vita nel luogo di lavoro e dall’altro pressoché impossibile una corretta organizzazione interna, nel rispetto dei ruoli professionali dei singoli sanitari, sostanzialmente privi di controllo e di guida da parte del ricorrente, in ogni caso tutor dello specializzando (OMISSIS) e comunque riconosciuto maestro della (OMISSIS).

In questo senso la Corte territoriale – puntualmente e analiticamente analizzati gli esiti dell’ispezione ministeriale, coincidenti e sovrapponibili alle testimonianze assunte in giudizio – ha non illogicamente escluso che la sequela di errori che aveva condotto alla morte della signora (OMISSIS) fosse dovuta ad eventi imprevedibili ed eccezionali, essendo invece figlia dell’approssimativa gestione interna nonché, soprattutto e in coerente successione logica, della ben scarsa conoscenza tecnica dei medici che colà operavano, al di fuori e al di là dei controlli normativamente previsti, e incombenti in larga misura sull’odierno ricorrente.

Il ricorrente ha invero sostenuto la non censurabilità del proprio intervento sanitario e la riconducibilità dell’errore principalmente alle condotte della (OMISSIS) (che non aveva colto l’erroneità della prescrizione), del (OMISSIS) (che di detta prescrizione era stato in qualche modo l’autore) e della (OMISSIS) (che non aveva interpellato il (OMISSIS) prima di dare corso alla somministrazione rivelatasi mortale).

Al riguardo, peraltro, va osservato – ed il rilievo è comune ai primi due profili di censura – che, in tema di colpa professionale, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, non può invocare il principio di affidamento il sanitario che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché, allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità (Sez. 4, n. 24895 del 12/05/2021, Sonaglioni, Rv. 281487; cfr. altresì, ad es. Sez. 4, n. 692 del 14/11/2013, dep. 2014, Russo e altro, Rv. 258127).

19.1.3. Ciò posto, la sentenza impugnata – ferma la correttezza del trattamento sanitario, ed invero il (OMISSIS) era il medico curante della signora (OMISSIS) – si è appunto ben diversamente soffermata (gli addebiti sono stati richiamati supra) sulle disfunzioni nella gestione del reparto ospedaliero affidato al ricorrente, ravvisate dall’ispezione quantomeno originata dal dramma della signora (OMISSIS) (nel ricorso è stato in proposito sostenuto che gli esiti di detta ispezione non sarebbero stati particolarmente negativi ovvero concernenti la tragedia verificatasi, ma la mancata produzione di detto documento non consente alcun apprezzamento a questa Corte, ulteriore e diverso rispetto a quanto evidenziato dalla Corte territoriale) e sfociate nella chiusura del reparto stesso.

19.2. In coerenza col primo motivo, anche la seconda doglianza si presenta manifestamente infondata, e parimenti priva di sufficiente confronto con la motivazione censurata.

In proposito, infatti, in esito alla riorganizzazione interna del reparto (v. anche infra) e all’ormai scarso afflusso di pazienti con patologie similari a quelli della signora (OMISSIS) (affetta da patologia già di per sé assai poco diffusa, come è stato annotato dalla sentenza impugnata), proprio al (OMISSIS) incombeva un controllo ancora più stringente – ma inadempiuto – sui propri sottoposti e, contestualmente e logicamente, sui pazienti.

Alla stregua di tali considerazioni, la sentenza impugnata ha – contrariamente ai rilievi del ricorrente – correttamente ascritto al (OMISSIS) il riconosciuto profilo di responsabilità proprio in quanto il ricorrente sarebbe stato tenuto ad un controllo comunque severo del decorso della sua paziente, ospitata in un reparto non particolarmente attrezzato e in fatto affidata a giovani sanitari del tutto inesperti – la cui insufficiente preparazione specifica avrebbe invece dovuto essere ben conosciuta e vagliata dal loro docente – nel trattamento della patologia della signora (ma nonostante ciò autorizzati in qualche modo a “mettere mano” alle cartelle cliniche e a rassicurare il personale infermieristico su dosaggi e posologie).

Laddove il ricorrente, ed il rilievo della sentenza impugnata coglie nel segno, non aveva neppure adeguatamente verificato la tenuta della cartella clinica della signora, dove “l’insana annotazione erronea di 90 mg giaceva scritta da settimane”.

19.3. In ordine al terzo profilo di censura, si presenta corretto il rilievo di inammissibilità formulato del Procuratore generale, dal momento che – a prescindere dai principi teorici ivi enunciati, in sé astrattamente condivisibili – non vi è stata alcuna concreta specificazione di quali addebiti non siano stati contestati al (OMISSIS), e poi invero comunque ritenuti con la sentenza conclusiva.

19.4. Parimenti privo del tutto di fondamento è anche il quarto motivo di censura, che peraltro presenta tratti comuni e connessioni col secondo profilo di doglianza.

Al riguardo la Corte territoriale ha osservato che la circolare del Primariato, quanto alla ripartizione tra reparti delle patologie oncologiche e fatti salvi i profili di criticità evidenziati dalla difesa, non aveva mai ricevuto formali contestazioni ed avrebbe dovuto essere comunque rispettata nel corso della sua vigenza.

In ogni caso, con rilievo pienamente condivisibile, la sentenza impugnata ha comunque annotato che, a prescindere dalle indubbie competenze professionali del (OMISSIS), gli altri suoi collaboratori ed il personale erano del tutto digiuni in proposito, e non risulta che siano state assunte iniziative formative in proposito.

Anche in tal caso si presenta del tutto condivisibile l’osservazione del Procuratore generale, secondo cui “l’imputato, riassumendo, aveva ignorato la minore preparazione del personale operante nel proprio reparto in relazione al particolare tumore della (OMISSIS), decidendo ugualmente, in spregio anche della circolare interna emanata dall’allora primario prof. (OMISSIS) (in considerazione proprio di tale ultima circostanza), di curare la paziente in tale reparto, ed omettendo peraltro di esperire i dovuti controlli; controlli che, alla luce delle circostanze appena esposte, avrebbero dovuto essere ancora più pregnanti”.

19.5. Ciò posto, anche il quinto motivo è manifestamente infondato, proprio in ragione del fatto che la Corte territoriale non si è limitata a generici addebiti di responsabilità, ma ha puntualmente e ripetutamente ribadito i profili di censura riconoscibili in capo al ricorrente, quanto alle condotte che avrebbe dovuto tenere e che invece, del tutto inadempiute, hanno fatto parte della catena che ha infine condotto all’esito mortale.

Anche in tal caso è dirimente la considerazione svolta dalla sentenza impugnata, secondo cui “non si chiedeva a (OMISSIS) di controllare ogni cosa di quel reparto, in spregio delle più aggiornate modulazioni dei doveri di controllo delle così dette organizzazioni complesse…, ma solo di controllare la sua paziente, l’operato e la affidabilità dei suoi diretti collaboratori, la somministrazione di una flebo, e l’esame cadenzato di una cartella clinica. Nulla di eclatante o di particolarmente articolato e/o inesigibile”.

19.6. In relazione infine al sesto motivo di censura, possono replicarsi i rilievi già formulati sub 14.1.1., dal momento che in definitiva anche questo ricorrente – particolarmente lamentando il migliore trattamento riservato alla (OMISSIS) – non si è adeguatamente confrontato col percorso motivazionale della Corte territoriale, che ha ripetutamente sottolineato il ruolo positivamente rivestito dalla coimputata, tanto nella ricostruzione del fatto quanto, e per tale ragione, nella consapevolezza di quanto accaduto e nella resipiscenza per i comportamenti illeciti ascritti. Non si scorgono, in altre parole, elementi arbitrari e irragionevoli nella determinazione della pena.

In ogni caso, rappresenta insegnamento ribadito di questa Corte di legittimità che l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153).

Al riguardo, già la Corte territoriale ha ampiamente giustificato lo scostamento dal minimo edittale, ed anzi il lieve superamento della determinazione mediana, sotto il profilo della gravità del fatto in relazione al disvalore delle condotte e alla entità delle conseguenze, laddove – contrariamente alle censure del ricorrente, che ha coltivato una linea difensiva tendente ad allontanare da sé qualsivoglia profilo di responsabilità – la sentenza impugnata ha particolarmente sottolineato la rilevanza della colpa ascrivibile al (OMISSIS) in conseguenza della sua gestione del reparto ospedaliero e dell’incidenza di siffatte condotte nella causazione del tragico evento che è costato la vita alla signora (OMISSIS).

Accanto a ciò, la sentenza impugnata – tenendo ben presente l’insegnamento richiamato – ha altresì sottolineato che il ricorrente ha dimostrato “scarsa o nulla resipiscenza cioè pressoché integrale mancanza di una presa d’atto, seguita da ravvedimento, detto senza retorica, dei propri errori”.

Se, al riguardo, siffatto elemento, unitamente alla condotta successiva al reato (connotata pressoché esclusivamente da pretesi tentativi di nascondimento della vicenda), è stato valutato al fine del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, d’altro canto la dosimetria della pena ha anche assunto – implicitamente ma univocamente – una funzione strumentale ad una congrua riflessione circa l’accaduto.

Tant’è che, non a caso, la sentenza impugnata si è riferita al precipuo “disvalore” del fatto. Disvalore che, non necessariamente legato alla gravità intrinseca del fatto stesso ed invero neppure compreso dall’imputato, ha comportato l’inflizione di una pena la quale, significativamente ridotta rispetto al primo giudizio, ha comunque assunto, proprio in esito alle osservazioni della Corte territoriale, anche quella funzione di rieducazione che la difesa del ricorrente – formulando specifico motivo di doglianza – ha ritenuto di non trovare nell’iter argomentativo della sentenza impugnata.

19.7. In conseguenza delle considerazioni che precedono, le proposte questioni di legittimità costituzionale sono comunque prive di qualsivoglia rilevanza nel giudizio, stante l’assenza di profili di colpa non contestati (o comunque per carenza di specificazione al riguardo) e per la mancata valutazione in malam partem, ed ai fini dell’aggravamento della pena, di comportamenti successivi alla commissione del reato, la relativa condotta essendo stata chiaramente valutata (cfr. pag. 81 della sentenza impugnata) solamente ai fini del riconoscimento, o meno, delle circostanze attenuanti generiche.

Infatti, ai sensi dell’art. 133, comma secondo, nn. 1) e 3) cod. pen. il giudice, in relazione alla concessione o al diniego delle circostanze attenuanti generiche come – in caso affermativo – alla misura della riduzione di pena, deve tenere conto anche della condotta serbata dall’imputato successivamente alla commissione del reato e nel corso del processo, in quanto rivelatrice della personalità e quindi della maggiore o minore capacità a delinquere, soprattutto di natura psicologica, e ciò sia quando dalla condotta sia possibile desumere sintomi apprezzabili del suo eventuale ravvedimento, sia quando egli dimostri cinica indifferenza ovvero ostenti compiacimento (Sez. 6, n. 17240 del 16/10/1989, Licari, Rv. 182794).

20. Anche i motivi di impugnazione proposti dal (OMISSIS) devono quindi ritenersi manifestamente infondati, con la conseguente inammissibilità del ricorso.

21. In conseguenza delle osservazioni che precedono, quindi, va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Laura (OMISSIS) limitatamente alla pena accessoria – che viene eliminata – della interdizione dalla professione medica.

Per quanto riguarda le ulteriori statuizioni, vanno pertanto rigettati i ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili nei confronti di Clotilde (OMISSIS), con la condanna delle parti civili al pagamento delle spese processuali (cfr. Sez. U, n. 41476 del 25/10/2005, Misiano, Rv. 232165; Sez. 4, n. 6501 del 26/01/2021, Todaro, Rv. 281049), nonché dichiarati inammissibili i ricorsi di Alberto (OMISSIS) e Sergio (OMISSIS), condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Il (OMISSIS), in solido con il responsabile civile, va infine condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida come da dispositivo in favore di Tiziano (OMISSIS) anche per il figlio Flavio, di Carmelo (OMISSIS), Rosa Maria (OMISSIS), Anna Maria (OMISSIS) e Giovanna (OMISSIS), nonché infine di Associazione Codici onlus e Associazione Codici Salute.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) Laura limitatamente alla pena accessoria della interdizione dalla professione medica, pena che elimina.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale e delle parti civili nei confronti di (OMISSIS) Clotilde e condanna le parti civili al pagamento delle spese processuali.

Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) Alberto e (OMISSIS) Sergio che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Condanna, inoltre, (OMISSIS) Sergio in solido con il responsabile civile, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in euro quattromila, oltre accessori di legge per (OMISSIS) Tiziano anche per il figlio Flavio;

in euro quattromila, oltre accessori di legge per (OMISSIS) Carmelo, (OMISSIS) Rosa Maria, (OMISSIS) Anna Maria e (OMISSIS) Giovanna;

in euro quattromila, oltre accessori di legge per Associazione Codici onlus e Associazione Codici Salute.

Così deciso in Roma il 23/03/2022.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.