REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente –
Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere –
Dott. SCORDAMIGLIA Irene – Consigliere –
Dott. TUDINO Alessandrina – Rel. Consigliere –
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI PERUGIA;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS) FIORENZO nato a URZULEI il 13/08/1971;
avverso la sentenza del 22/05/2019 del TRIBUNALE di PERUGIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ALESSANDRINA TUDINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa KATE TASSONE che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito il difensore l’avvocato Valeri che chiede il rigetto del ricorso presentato dal Procuratore Generale con conseguente conferma della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22 maggio 2019, il Tribunale di Perugia ha emesso declaratoria di improcedibilità ex art. 162-ter cod. pen. in ordine al reato di furto ascritto a Fiorenzo (OMISSIS), esclusa l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, originariamente contestata.
2. Avverso la sentenza del Tribunale di Perugia ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Perugia deducendo, con unico motivo, violazione di legge in riferimento all’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen., erroneamente esclusa alla stregua della presenza di un impianto di videosorveglianza che, invece, non garantisce l’interruzione immediata dell’azione criminosa su beni esposti, per necessità o consuetudine, alla pubblica fede.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. La preliminare questione di diritto sottoposta a questa Corte con il ricorso investe la ricorrenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in caso di furto consumato su beni posti a corredo di un locale adibito ad ufficio di una stazione di autolavaggio.
1.2. In riferimento all’aggravante in disamina, questa Corte regolatrice ha statuito come, in tema di furto aggravato di cose esposte alla pubblica fede, il requisito della esposizione per “necessità” richiede che sia puntualmente accertata, in concreto, la sussistenza di una situazione determinata da impellenti e non differibili esigenze, che abbiano impedito alla persona offesa di portare con sé o custodire più adeguatamente la “res” furtiva (Sez. 5, n. 15395 del 28/01/2020, Meci, Rv. 279087, n. 51255 del 2019, Rv. 277524; n. 33863 del 2018, Rv. 273898; n. 33557 del 2016, Rv. 267504).
Del pari, si è affermato come il requisito dell’esposizione per consuetudine – intendendosi per tale una pratica di fatto, generale e costante, rientrante negli usi e nelle abitudini generali di vita associata o di relazione, ancorché non imposta da un’esigenza dalla quale non si possa prescindere – non sia riconoscibile in relazione alla condotta di chi lasci la cosa incustodita per esigenze personali, quali la comodità, la dimenticanza o la fretta (Sez. 5, n. 44035 del 01/10/2014, El Abid e altro, Rv. 262117), mentre sussiste anche nel caso in cui la cosa si trovi in luoghi privati ma aperti al pubblico ed è soggetta a sorveglianza saltuaria, posto che la ragione dell’aggravamento consiste nella volontà di apprestare una più elevata tutela alle cose mobili lasciate dal possessore, in modo temporaneo o permanente, senza custodia continua (Sez. 5, n. 9245 del 14/10/2014 – dep. 2015, Felici, Rv. 263258; n. 12880 del 2015, Rv. 262779).
1.3. Ne deriva come tutto quanto contenuto in un box, destinato ad ufficio e posto a servizio di un’attività commerciale esercitata all’esterno, rientri senz’altro nell’esposizione alla fede pubblica, trattandosi di luogo privato ma aperto al pubblico per l’assolvimento di specifiche prestazioni inerenti all’esercizio, come tale soggetto a sorveglianza saltuaria da parte dell’avente diritto, impegnato anche nell’esecuzione dell’opera svolta all’esterno o nel monitoraggio degli addetti.
2. All’accertata sussistenza dell’esposizione alla fede pubblica di quanto custodito in un locale privato aperto al pubblico deve seguire la valutazione dell’incidenza, su siffatta ontologica connotazione dei beni, di presidi atti a facilitare la vigilanza contro indebite intromissioni.
2.1. Al riguardo, questa Corte si è espressa nel senso che la configurabilità dell’aggravante non è incisa dall’adozione di cautele da parte del proprietario della “res”, inidonee ad eliminare il pubblico affidamento poiché consistenti in congegni di monitoraggio o di chiusura (lucchetti, serrature con chiave, antifurto) che non realizzano un ostacolo tale da costituire impedimento assoluto alla sottrazione del bene, in ragione della loro limitata efficacia (Sez. 5, n. 8331 del 13/07/2015 – dep. 2016, Tripi, Rv. 266143), in quanto la necessità dell’esposizione va intesa in senso relativo e non assoluto e, dunque, va riferita non all’impossibilità della custodia ma alle particolari circostanze che possano indurre a lasciare le proprie cose incustodite (Sez. 5, n. 38900 del 14/06/2019, Lucchiari, Rv. 277119).
In particolare, con specifico riferimento agli impianti di videosorveglianza, è stato precisato come la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non possa ritenersi esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di tal genere, che non garantisce l’interruzione immediata dell’azione criminosa, mentre soltanto una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015 – dep. 2016, Scalambieri, Rv. 265808).
2.2. Siffatto indirizzo non è superato – ma anzi confermato – dalla specificazione della valenza che i sistemi di monitoraggio dispiegano sull’iter criminis del reato.
Ed invero solo in presenza di strutture complesse, atte ad assicurare su più fronti la vigilanza dei beni esposti in vendita, si è ritenuto che il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv. 261186).
Dal fondamento di ragione posto a sostegno di tale, autorevole, indirizzo, si evince a contrario – e sotto il diverso versante dell’aggravante in disamina – come anche l’installazione di un impianto VHS a servizio di un locale privato, pertinenziale all’esercizio di un’attività commerciale o di servizio, non svolga altra funzione che quella di agevolare la saltuaria vigilanza (e di consentire, come nella specie, l’identificazione dell’agente), senza che venga meno l’esposizione die beni alla pubblica fede, intesa quale aspettativa di astensione da indebite intromissioni nella sfera patrimoniale altrui.
3. Il Tribunale di Perugia non ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi.
Nell’escludere l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, originariamente contestata, il giudice del merito ha ritenuto il dispositivo di registrazione idoneo non già ad agevolare la sorveglianza – e a consentire ex post l’identificazione del responsabile – bensì ex se impeditivo della sottrazione, da un lato omettendo di circostanziare l’asserita interruzione dell’azione criminosa – contestata nel ricorso, che riconduce ad epoca successiva la visione delle registrazioni e l’identificazione dell’imputato – e, dall’altro, risolvendo assiomaticamente nell’esistenza dell’impianto l’insussistenza dell’aggravante, in violazione dei principi direttivi richiamati.
4. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Perugia perché, facendo corretta applicazione degli enunciati principi, proceda a nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Perugia.
Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020.
SENTENZA – copia non ufficiale -.
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La pena per il fatto previsto dall’articolo 624 è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500 (4):
1) (…) (1)
2) se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;
3) se il colpevole porta in dosso armi o narcotici, senza farne uso;
4) se il fatto è commesso con destrezza;
5) se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d’incaricato di un pubblico servizio;
6) se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande;
7) se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;
7-bis) se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica; (3)
8) se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria.
8 bis) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto; (2)
8 ter) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro. (2)
Se concorrono due o più delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’articolo 61, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 a euro 1.549.
(1) Il numero 1) che recitava: “ 1. se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione” è stato soppresso dall’art. 2, comma 3, della L. 26 marzo 2001 n. 128
(2) Numero aggiunto dall’art. 3, comma 26, della L. 15 luglio 2009, n. 94.
(3) Numero inserito dall’art. 8, comma 1, lett. a), D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119.
(4) Comma modificato dall’art. 1, comma 7, L. 23 giugno 2017, n. 103.