Furto in abitazione: è un’aggravante la violenza sulle cose (Corte di Cassazione, Sezione VII Penale, Sentenza 13 febbraio 2020, n. 5617).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SETTIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) ALVARO GUILLERMO nato il xx/xx/xxxx;

(OMISSIS) (OMISSIS) MANUEL ANTONIO nato il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 23/01/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

dato avviso alle parti;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Francesca PICARDI.

MOTIVI DELLA DECISIONE

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) Alvaro Guillermo e (OMISSIS) (OMISSIS) Manuel Antonio, avverso la sentenza di cui in epigrafe che ha confermato la condanna per il reato di cui agli artt. 110, 56, 624-bis e 625 n.2 cod. pen. (tentato furto in abitazione in concorso, con l’aggravante di aver commesso il fatto con violenza sulle cose, avendo forzato una porta finestra, 25 luglio 2011) alla pena di anni uno, mesi uno di reclusione ed euro 120 di multa, hanno proposto separatamente ricorso per cassazione.

(OMISSIS) (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, ha dedotto la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla propria responsabilità, fondata su elementi indiziari equivoci (incerto riconoscimento e dichiarazioni delle testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS)).

(OMISSIS) (OMISSIS) Manuel Antonio, a mezzo del proprio difensore, ha lamentato:

1) l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza di motivazione relativamente alla ritenuta sussistenza di un delitto tentato, per non avere la Corte d’appello esaustivamente motivato in ordine alla paventata inidoneità e non univocità degli atti compiuti;

2) l’assenza di motivazione con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, per non avere la Corte tenuto conto della segnalata marginalità del ruolo assunto dal (OMISSIS) (OMISSIS) nella dinamica dei fatti e della notevole risalenza nel tempo dell’unico precedente penale a carico dello stesso, peraltro di natura non omogenea al reato contestato nel presente giudizio.

Il ricorso proposto da (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) è manifestamente infondato, in quanto si limita a riprodurre profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dal giudice di appello.

La Corte d’appello, infatti, ha rilevato, con motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, che le individuazioni fotografiche effettuate nel corso delle indagini preliminari dalle testi (OMISSIS) e (OMISSIS) non esauriscono le prove a carico.

Ad esse si aggiungono l’attribuzione alla disponibilità esclusiva degli imputati dell’autovettura usata dai due ladri, fotografata dalla vittima in occasione del tentato furto; la presenza della medesima autovettura e degli imputati in un campeggio non distante dal luogo del furto, il giorno successivo ad esso; il possesso da parte degli imputati, nel campeggio nel quale dimoravano, di un piede di porco e di altri attrezzi atti allo scasso, non essendo stata fornita, peraltro, alcuna allegazione volta a sminuire la valenza incriminante di tali risultanze.

Inoltre, queste ultime non risultano scalfite, come correttamente rilevato dalla Corte, dalle incertezze mostrate in dibattimento dalla teste (OMISSIS), dovendosi tenere conto dei quasi due anni trascorsi tra le individuazioni fotografiche (che, nel corso delle indagini, avevano portato ad un certo riconoscimento da parte della stessa teste di entrambi gli imputati) e la richiesta di ripetere tale riconoscimento in dibattimento.

Per quanto concerne, invece, il ricorso proposto da (OMISSIS) (OMISSIS), il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto si limita a riprodurre profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.

Invero, la motivazione addotta dalla Corte d’appello quanto alla qualificazione dei fatti come di furto tentato è del tutto congrua, e non si presta a censure in questa sede.

L’univocità ed idoneità degli atti sono state infatti ravvisate, con motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, sulla base di una molteplicità di elementi:

i rumori che la persona offesa ha riferito di aver sentito fuori dalla porta finestra, che aveva le tapparelle abbassate;

gli scricchiolii di questa;

il conseguente intervento della stessa persona offesa, la quale ha sferrato un pugno contro il vetro, sì da mettere in fuga i ladri;

la constatazione da parte della polizia giudiziaria di segni di effrazione;

il possesso da parte degli imputati di un piede di porco;

il carattere meramente congetturale, e configgente con le emergenze probatorie, dell’ipotesi alternativa avanzata dalla difesa.

Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto le circostanze attenuanti generiche sono state legittimamente e non illogicamente negate sulla base della assenza di concrete ragioni che potessero sostenerne il riconoscimento, tali non risultando la risalenza del precedente penale dell’imputato e la marginalità del ruolo assunto, ed essendo stata la pena, peraltro, già determinata con estrema mitezza.

La motivazione risulta, quindi, pienamente aderente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il di. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017 Ud., Rv. 270986).

Alla inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. sent. n. 186/2000), consegue la condanna dei ricorrenti medesimi al pagamento delle spese processuali e di una somma che congruamente si determina in euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.