Furto tentato in abitazione: la valenza probatoria dell’individuazione fotografica (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 15 ottobre 2021, n. 37537).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore – Presidente –

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Aldo – Rel. Consigliere –

Dott. NARDIN Maura – Consigliere –

Dott. DAWAN Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) DANILO nato a ENNA il 24/05/19xx;

avverso la sentenza del 23/04/2018 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aldo ESPOSITO;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giulio ROMANO che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Padova del 31 marzo 2015, con cui (OMISSIS) Danilo era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro duecento di multa in relazione al reato di cui agli artt. 56, 110 e 624 bis cod. pen., perché, al fine di trarne profitto, poneva in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di quanto di valore presente nell’abitazione di (OMISSIS) Barbara, in quanto, in concorso con altra persona non identificata, dopo aver infranto un vetro della finestra, si introduceva nell’abitazione predetta, tentando di asportare quanto ivi custodito non riuscendo nell’intento in quanto sorpreso dalla parte offesa e costretto a darsi alla fuga (in Legnaro il 20 febbraio 2012).

La Corte territoriale ha ritenuto attendibile la ricognizione fotografica effettuata dalla persona offesa dopo soli quattro giorni dal reato, essendo stata preceduta dalla descrizione delle fattezze dei due individui, visti allontanarsi precipitosamente dalla propria abitazione e salire a bordo della Fiat Punto ed avendo individuato l’effige dell’imputato con certezza tra le altre nove raffiguranti soggetti dai tratti analoghi.

Secondo la Corte di appello, “[…] Il fatto che (ndr: la persona offesa) ne avesse evidenziato i tratti “africani” è sintonico alle effettive sembianze del (OMISSIS), né la inflessione linguistica straniera inizialmente attribuita all’individuo scagiona l’imputato che ragionevolmente l’aveva imitata per confondere la persona offesa.

Il fatto che la (OMISSIS) non abbia riconosciuto il secondo individuo, sedutosi a lato passeggero, è irrilevante. Anzi il fatto che non abbia riconosciuto anche l’effige del fratello dell’imputato, proprietario del veicolo, rafforza la sua credibilità, posto che (OMISSIS) durante quel periodo era detenuto in carcere […]”.

Secondo l’organo giudicante, il reato non poteva essere riqualificato in quello di violazione di domicilio.

(OMISSIS) Danilo, così come aveva camuffato l’accento della voce, presumibilmente aveva anche accampato una scusa al cospetto della persona offesa; il reato era stato commesso in pieno giorno e la (OMISSIS) si trovava in casa pranzando unitamente ai familiari, quando aveva udito i ladri armeggiare.

2. Il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.

2.1. Vizio di motivazione.

Si deduce che non sussistevano elementi per attribuire certezza all’identificazione di (OMISSIS) Danilo, quale uno dei soggetti penetrati nell’abitazione della (OMISSIS) e fuggiti a bordo di una Fiat Punto.

Al riguardo, appariva decisivo che l’auto in questione apparteneva a (OMISSIS) Giuseppe (padre dell’imputato) e non al fratello (OMISSIS) Giovanni, come indicato dai giudici di merito.

Il mancato riconoscimento del secondo passeggero da parte della (OMISSIS) era significativo, in quanto (OMISSIS) Giovanni, in quell’epoca era libero ed unico a possedere la patente di guida.

Non si comprendevano le ragioni per le quali (OMISSIS) Danilo avrebbe dovuto alterare la propria voce.

L’età dei due malviventi indicata dalla (OMISSIS) (30 e 40 anni) non coincideva con quella effettiva del ricorrente (19 anni).

La persona offesa indicava entrambi i soggetti presenti in auto come soggetti maghrebini africani.

La descrizione delle sembianze dei malviventi effettuata dalla (OMISSIS) nella denuncia presentata il giorno del fatto non collimava con quelle dell’imputato.

2.2. Violazione di legge per omessa riqualificazione del reato nella fattispecie di cui all’art. 614 cod. pen., con conseguente necessità di emettere pronunzia di non luogo a procedere per difetto di querela.

Si osserva che i due soggetti introdottisi all’interno riferivano di credere che si trattasse di una casa disabitata e probabilmente cercavano un luogo dove trascorrere la notte. Essi non erano in possesso di attrezzi da scasso e non avevano contenitori per trasportare la refurtiva.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

4. Con riferimento al primo motivo di ricorso, va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’individuazione fotografica rappresenta una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e, come tale, costituisce una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (da ultimo Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, Signorelli, Rv. 279437; Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, Prina, Rv. 271041; Sez. 2, n. 9380 del 20/02/2015, Panarese, Rv. 263302).

Pertanto, l’individuazione, quale prova atipica, ben può essere valorizzata dal giudice, nell’ambito del suo libero convincimento, ai fini della dimostrazione dei fatti, ove sia accertata la credibilità della persona che, in sede di individuazione, si sia detta certa dell’identificazione operata (Sez. F., n. 43285 del 08/08/2019, Dia- na, Rv. 277471), potendo rilevare le modalità dell’individuazione non quanto alla legalità della prova, ma nella valutazione del valore probatorio, alla luce dell’apprezzamento in sede di scrutinio di legittimità della congruenza del percorso argomentativo utilizzato dal giudice di merito a fondamento dell’affidabilità del riconoscimento e, quindi, del giudizio di colpevolezza (Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, Coccia, Rv. 267562).

Ciò posto sui principi operanti in materia, il profilo dell’individuazione fotografica operata da uno dei testimoni è stato correttamente analizzato nella sentenza impugnata; la Corte di appello ha puntualmente esposto i criteri di valutazione adottati e la loro pregnanza, con motivazione esente da vizi logici e coerente coi dati rappresentati.

Al riguardo, vanno ricordati i seguenti elementi in base ai quali è stata riconosciuta la valenza probatoria di tale mezzo istruttorio:

a) l’epoca prossima dell’espletamento del mezzo istruttorio rispetto alla data del fatto (solo quattro giorni dopo);

b) la previa descrizione delle sembianze dei due malviventi operata dalla persona offesa;

c) l’adeguato numero di fotografie presenti nell’album fotografico sottoposto in visione alla vittima (composto di nove foto).

I rilievi del ricorrente integrano esclusivamente censure in fatto, inidonee a contrastare il logico percorso argomentativo, illustrato dall’organo giudicante.

Appare poco significativa la diversa età dell’autore del fatto rispetto a quella indicata dalla (OMISSIS), unico elemento indicato dal ricorrente per affermare la non coincidenza tra le sembianze descritte dalla persona offesa e quelle effettive di (OMISSIS) Danilo.

5. In ordine al secondo motivo di ricorso, ai fini di una corretta applicazione dell’art. 56 cod. pen., occorre ricostruire la volontà teleologica dell’agente, utilizzando tutti gli elementi e le circostanze che la accompagnano e che eventualmente la colorano di univocità; con riguardo all’intenzione di commettere un delitto di furto e non semplicemente di introdursi nell’altrui dimora per altri scopi, acquistano rilievo la considerazione che l’introduzione occulta nell’altrui abitazione non può presumersi come fine a se stessa e la plausibilità delle giustificazioni fornite dall’agente (Sez. 6, n. 11022 del 09/10/1996, Marino, Rv. 206437).

In questa prospettiva, il contesto nel quale valutare l’univocità degli atti è stato preso in considerazione unitamente al riferimento alla mancata prospettazione da parte dell’imputato e della sua difesa di una verosimile giustificazione della propria condotta, essendosi sostenuto che l’introduzione nell’appartamento era dovuta all’intento di occupare un immobile che si presumeva disabitato.

Tale tesi è stata logicamente smentita dalla Corte di merito, che ha sottolineato il contesto dell’episodio criminoso, verificatosi in pieno giorno e mentre l’intero nucleo familiare si trovava in casa.

Gli atti, considerati in sé medesimi, per il contesto nel quale si inserivano, nonché per la loro natura ed essenza erano – secondo le norme di esperienza e l’id quod plerumque accidit – giunti ad un livello di sviluppo tale da evidenziare il fine cui erano diretti, anche perché risultavano smentiti i motivi diversi che potessero aver animato siffatta condotta (Sez. 1, n. 29101 del 18/06/2019, Musicò, Rv. 276401; Sez. 4, n. 7702 del 29/01/2007, Alasia, Rv. 236110).

La Corte di merito ha fatto buon governo dei princìpi richiamati, sottolineando come la volontà dell’imputato di non immettersi soltanto nell’abitazione altrui, ma di commettere un furto si desuma dal fatto che l’introduzione stessa doveva avere una ragione e non v’era nessun motivo di accedervi all’interno (accesso effettuato rom- pendo il vetro di una finestra).

A sua volta, il (OMISSIS) non fornisce nessun elemento probatorio a proprio favore, al fine di dimostrare la volontà di occupare l’immobile per uso abitazione (es. il possesso di una valigia con indumenti).

6. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, l’8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.