REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
con l’intervento dei magistrati:
Dott. Antonio Vinciguerra, Presidente
Dott. Roberto Maria Bucchi, Consigliere
Dott. Valerio Torano, Referendario, Estensore
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 517 del 2019, proposto da C.S., rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta e Roberto Patrizi, con domicilio eletto presso la segreteria della sezione staccata di Latina del TAR per il Lazio in Latina, via A. Doria 4;
contro
Ministero dell’economia e delle finanze, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12;
per l’annullamento
1) della determinazione prot. n. XXXXX, notificata il successivo giorno 10, con la quale il Comandante interregionale dell’Italia centrale della Guardia di finanza ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, ai sensi dell’art. 1357, comma 1, lett. d), d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66, in relazione a fatti oggetto anche di procedimento penale per concorso nei reati continuati puniti dagli artt. 319, 321 e 326, comma 3, cod. pen., non ancora definito nel merito;
2) di tutti gli atti comunque presupposti, connessi o conseguenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2019 il dott. Valerio Torano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – Il sig. C.S. sino all’adozione del provvedimento disciplinare impugnato è stato un maresciallo aiutante del Corpo della Guardia di finanza addetto alla tenenza di Aprilia (LT); nei suoi confronti è stato avviato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Latina il procedimento penale n. XXXXX per i reati continuati e in concorso previsti dagli artt. 319, 321 e 326, comma 3, cod. pen. In particolare, all’ex sottufficiale è stato contestato che, in concorso con altri militari, avrebbe ricevuto da un imprenditore locale, che agiva per conto di altri soggetti, somme di denaro periodiche e regalie (orologi, generi alimentari, confezioni di vino) per “asservire stabilmente la propria attività funzionale agli interessi personali dei suddetti privati”, rivelando notizie riservate d’ufficio sull’andamento di verifiche fiscali, nonché sull’esistenza di indagini e procedimenti penali.
Per tali fatti, il sig. C.S. è stato anche sottoposto a custodia cautelare in carcere il XXXXX, giusta ordinanza del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Latina del XXXXX, misura poi sostituita con gli arresti domiciliari per effetto della successiva ordinanza del XXXXX.
In relazione a tali condotte, il Comandante provinciale della Guardia di finanza di Latina, con note prot. n. XXXXX del XXXXX, n. XXXXX del XXXXX e n. XXXXX del XXXXX ha disposto nei confronti dell’ex m.llo aiut. C.S. il provvedimento della sospensione cautelare obbligatoria dal servizio, ai sensi dell’art. 915, comma 1, lett. b), d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66.
Il Comandante interregionale dell’Italia centrale, quindi, con nota prot. n. XXXXX del XXXXX ha confermato la sospensione cautelare dal servizio del ricorrente, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 916, d.lgs. n. 66 del 2010.
Infine, avuto riguardo ai fatti di cui il militare è stato accusato in sede penale, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Latina con decreto del XXXXX ha disposto il giudizio immediato ex artt. 453-458 cod. proc. pen., stante l’evidenza della prova esistente contra reum.
2. – Sempre con riferimento a quanto sopra, il Comandante regionale del Lazio, ritenendo le condotte ascritte all’ex sottufficiale una gravissima violazione dei doveri di correttezza e lealtà assunti col giuramento prestato, connessi alle funzioni rivestite per il grado posseduto, con nota prot. n. XXXXX del XXXXX ha ordinato l’avvio di un’inchiesta formale nei suoi confronti, nominando un ufficiale inquirente per lo svolgimento dell’istruttoria. Quest’ultimo ufficiale, con nota prot. n. XXXXX del XXXXX, ha contestato al sig. C.S. gli addebiti disciplinari relativi alla condotte già ascrittegli dalla Procura della Repubblica di Latina, invitandolo a nominare un difensore di fiducia.
L’ex m.llo aiut. C.S. ha, quindi, presentato le proprie osservazioni, deducendo la sua estraneità ai fatti e chiedendo che, ai sensi dell’art. 1393, d.lgs. n. 66 cit., il procedimento disciplinare fosse sospeso in attesa della definizione del giudizio penale. L’ufficiale inquirente, con nota prot. n. XXXXX del XXXXX, ha inviato al Comandante regionale e al ricorrente la propria relazione conclusiva sull’indagine svolta.
Il Comandante regionale, quindi, con nota prot. n. XXXXX del XXXXX ha nominato e convocato per il XXXXX la commissione di disciplina, in ciò non accogliendo le richieste di supplemento istruttorio e rinvio per impedimento di carattere sanitario formulate dal sig. C.S., al fine di valutare se l’odierno ricorrente fosse meritevole di conservare il grado posseduto.
La commissione di disciplina, alla cui seduta ha attivamente partecipato anche il militare incolpato, che ha argomentato la propria versione dei fatti sia oralmente sia mediante deposito di memorie e documenti, ha concluso i propri lavori esprimendo parere negativo rispetto alla conservazione del grado da parte dell’inquisito.
Tenuto conto delle conclusioni rassegnate dalla commissione di disciplina, il Comandante interregionale dell’Italia centrale della Guardia di finanza, con nota prot. n. XXXXX notificata il successivo giorno 10, ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, ai sensi dell’art. 1357, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 66 del 2010, con susseguente iscrizione d’ufficio nel ruolo dei militari di truppa dell’Esercito italiano senza alcun grado.
3. – Con il ricorso all’esame, notificato il 9 luglio 2019 e depositato il successivo giorno 31, l’ex m.llo aiut. C.S. ha impugnato il provvedimento disciplinare indicato in epigrafe, deducendo i seguenti vizi di legittimità:
I) violazione dell’art. 1392, comma 2, d.lgs. n. 66 cit., che fa obbligo di instaurare il procedimento disciplinare di stato entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari, in quanto l’Amministrazione sarebbe venuta a conoscenza dei fatti il 13 febbraio 2018, con l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, mentre l’inchiesta formale è stata avviata soltanto il 6 settembre 2018, ben oltre il ridetto termine in scadenza per il 14 aprile 2018;
II) violazione dell’art. 1392, comma 3, d.lgs. n. 66 cit., applicabile in via analogica, per il quale il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data di conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, o del provvedimento di archiviazione, perché detto termine sarebbe in realtà quello massimo di durata del procedimento punitivo anche istaurato a seguito di infrazione disciplinare, che nella specie è stato definito soltanto il 3 maggio 2019, laddove avrebbe dovuto esserlo entro il 10 novembre 2018; del resto – argomenta parte ricorrente – se così non fosse, l’Amministrazione, applicando l’art. 1392, comma 4, d.lgs. n. 66 cit., per il quale il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi 90 giorni dall’ultimo atto di procedura, senza che nessuna ulteriore attività sia stata compiuta, potrebbe protrarlo a tempo indefinito semplicemente adottando un atto ogni 89 giorni;
III) questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3, comma 1, Cost. da parte dell’art. 1392, d.lgs. n. 66 cit., nella parte in cui non prevede un termine tassativo massimo entro cui va concluso il procedimento disciplinare di stato avviato a seguito di infrazione disciplinare, perché introduce un regime più gravoso di quello vigente per le ipotesi di maggiore gravità avviate a seguito di procedimento penale, per le quali è invece prescritto un termine massimo di durata del procedimento di 270 giorni;
IV) violazione dell’art. 1393, d.lgs. n. 66 cit., per non avere l’Amministrazione disposto l’obbligatoria sospensione del procedimento in attesa della definizione del procedimento penale in cui il ricorrente è imputato, stante l’evidente connessione (rectius identità) tra le contestazioni elevate in sede disciplinare e le ipotesi di reato a lui ascritte;
V) violazione del principio di imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. ed eccesso di potere per violazione della guida tecnica ministeriale sulle procedure disciplinari n. M_D G MIL REG 2016 0701231 del 2 dicembre 2016 e della circolare n. 1/2006 del Comando generale della Guardia di finanza, dal momento che il Comandante interregionale dell’Italia centrale, stanti i termini utilizzati per descrivere i fatti, avrebbe palesato già dall’atto di avvio dell’inchiesta formale, come pure nella successiva convocazione della commissione di disciplina, il proprio personale convincimento circa la colpevolezza del ricorrente, sì da influenzare, grazie alla propria supremazia gerarchica, le opinioni degli altri organi monocratici o collegiali coinvolti, anche in violazione delle direttive impartite nella prefata guida tecnica (p. 97);
VI) eccesso di potere per violazione delle già citate guida tecnica ministeriale e circolare n. 1/2006, per avere l’ufficiale inquirente indebitamente: a) notificato al ricorrente la propria relazione conclusiva dell’inchiesta formale demandatagli; b) espresso il proprio opinabile parere in ordine alla definizione della posizione disciplinare dell’inquisito, giudicando “le responsabilità emerse nei confronti dell’inquisito come incompatibili con il suo stato giuridico”; c) trasmesso la propria relazione istruttoria oltre il termine massimo previsto ivi previsto;
VII) violazione dell’art. 2149, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 66 cit., che riserva al Comandante generale della Guardia di finanza la potestà sanzionatoria di stato per i militari appartenenti al Corpo, poiché il provvedimento finale sarebbe stato redatto, in realtà, dal capo sezione personale, dal capo ufficio personale e dal capo di stato maggiore del Comando interregionale dell’Italia centrale, cioè da autorità militari prive di qualunque titolo a interloquire nel procedimento disciplinare di cui è causa;
VIII) violazione dell’art. 1370, comma 5, d.lgs. n. 66 cit., oltre a eccesso di potere per violazione della prefata guida tecnica, che consentono al militare inquisito di chiedere il differimento dello svolgimento del procedimento disciplinare se sussiste un “effettivo legittimo impedimento”, poiché la richiesta di rinvio della seduta della commissione di disciplina formulata dal ricorrente per un temporaneo impedimento di ordine sanitario non è stata accolta;
IX) eccesso di potere per difetto d’istruttoria, poiché nessun particolare accertamento sarebbe stato compiuto nell’ambito del procedimento disciplinare instaurato a carico del ricorrente, non valutandosi le osservazioni da egli fatte pervenire a sostegno della propria estraneità ai fatti contestati e atte a dimostrare il travisamento delle fonti di prova addotte già in sede penale a proprio carico, poiché le condotte delle quali è stato imputato sarebbero state eseguite nell’espletamento del servizio e, in particolare, nell’ambito dei rapporti intrattenuti con un confidente di polizia accreditato presso la tenenza di Aprilia;
X) eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, poiché all’esito del procedimento non sarebbe stata dimostrata l’offesa concretamente inferta al prestigio del Corpo per effetto delle condotte ascritte all’ex m.llo aiut. C.S., non essendo stata svolta alcuna particolare verifica al riguardo ed essendosi limitate le autorità militari procedenti a qualificare i fatti a lui addebitati come contrari ai vincoli di fedeltà assunti con il giuramento;
XI) eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, essendo stata adottata una sanzione manifestamente eccedente la gravità dei fatti contestati, che si ridurrebbero a un episodio isolato e di carattere minimale.
4. – Con atto depositato il 1° agosto 2019 si è costituito in giudizio il Ministero dell’economia e delle finanze, che ha argomentato per il rigetto nel merito del ricorso, ribadendo la piena legittimità dell’operato dell’Autorità militare.
5. – All’udienza pubblica del 18 dicembre 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. – Con il primo mezzo di impugnazione parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 1392, comma 2, d.lgs. n. 66 cit., che fa obbligo di instaurare il procedimento disciplinare di stato entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari, in quanto l’Amministrazione sarebbe venuta a conoscenza dei fatti il 13 febbraio 2018, con l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, mentre l’inchiesta formale è stata avviata il 6 settembre 2018, ben oltre il ridetto termine in scadenza per il 14 aprile 2018.
Il motivo è infondato.
L’art. 1392, comma 2, d.lgs. n. 66 cit. prevede che il procedimento disciplinare di stato “a seguito di infrazione disciplinare deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato, entro 60 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari, espletati dall’autorità competente, nei termini previsti dagli articoli 1040, comma 1, lettera d), numero 19 e 1041, comma 1, lettera s), numero 6 del regolamento”, i quali stabiliscono il termine di 180 giorni dalla conoscenza del fatto da parte dell’Autorità competente.
Nel caso di specie, accedendo alla ricostruzione proposta dal ricorrente per cui il 13 febbraio 2018 l’Amministrazione ha raggiunto la piena conoscenza del fatto, il predetto termine di 180 giorni scadeva il 12 agosto 2018, mentre il Comandante interregionale dell’Italia centrale, ufficio personale e affari generali, con nota prot. XXXXX del 27 luglio 2018 indirizzata al Comandante regionale del Lazio, ha espresso l’avviso di concordare con la proposta di avvio di un procedimento disciplinare di stato nei confronti del ricorrente, sì che a tale data possono ritenersi conclusi gli accertamenti preliminari, cioè 164 giorni dopo l’acquisizione della conoscenza del fatto avente rilievo disciplinare.
Assumendo, quindi, il 27 luglio 2018 come base di calcolo per il successivo termine di 60 giorni previsto dall’art. 1392, comma 2, d.lgs. n. 66 cit., per l’apertura di un’inchiesta formale con contestazione degli addebiti all’incolpato (atto con il quale, a mente dell’art. 1376 d.lgs. n. 66 cit., inizia il procedimento disciplinare di stato) ne deriva che essa è senz’altro tempestiva, perché è stata adottata il 12 settembre 2019 ed è stata, comunque, notificata il 24 settembre 2018, cioè al più tardi dopo 59 giorni dalla conclusione degli accertamenti preliminari. Peraltro, corre l’obbligo di precisare che al fine del computo del termine in parola occorre avere riguardo al momento di adozione degli atti del procedimento sanzionatorio e non a quello della notifica, dato che questa attiene al momento dell’efficacia e non a quello del perfezionamento del provvedimento amministrativo.
2. – Con il secondo ordine di censure, il sig. C.S. lamenta la violazione dell’art. 1392, comma 3, d.lgs. n. 66 cit., a suo dire analogicamente applicabile al caso di specie, per il quale il procedimento disciplinare di stato, anche se instaurato non a seguito di giudizio penale ma di infrazione disciplinare, dovrebbe comunque concludersi entro 270 giorni dalla data di conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, o del provvedimento di archiviazione, che egli fa decorrere dal 13 febbraio 2018, data di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere che lo ha attinto.
Il motivo all’esame è anche esso infondato.
L’art. 1392, comma 3, d.lgs. n. 66 cit., infatti, dispone che: “3. Il procedimento disciplinare di stato, instaurato a seguito di giudizio penale, deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione”.
Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, la disposizione in parola non è suscettibile di applicazione analogica ai procedimenti disciplinari avviati a seguito di infrazioni disciplinari, perché è formulata con letterale e precipuo riguardo agli atti conclusivi del procedimento o del processo penale, con esclusione delle ordinanze applicative di misure cautelari. Essa, poi, si riferisce a una conoscenza giuridicamente certa di tali atti definitivi, che può derivare solo dall’acquisizione di una loro copia conforme; peraltro, la norma non individua neppure un termine entro il quale l’Amministrazione deve provvedere alla suddetta acquisizione documentale, che dipende anche dai tempi necessari alle cancellerie degli uffici giudiziari per evadere le richieste (Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2018 n. 4349).
Paradossalmente, se la tesi dell’ex m.llo aiut. C.S. venisse in questa sede condivisa, dovrebbe concludersene che, non constando in atti che il procedimento penale cui egli è stato sottoposto sia stato definito, il termine per la conclusione della sua vicenda disciplinare sarebbe a tutt’oggi ancora pendente, non avendo mai iniziato a decorrere il predetto termine di 270 giorni.
3. – Con il terzo motivo di ricorso, il sig. C.S. ipotizza la sussistenza di una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3, comma 1, Cost. da parte dell’art. 1392, d.lgs. n. 66 cit., nella parte in cui non prevede un termine tassativo massimo entro cui va concluso il procedimento disciplinare di stato avviato a seguito di infrazione disciplinare, perché introdurrebbe un regime più gravoso di quello vigente per le ipotesi di maggiore gravità rappresentate dai procedimenti punitivi avviati a seguito di procedimento penale, per i quali è invece prescritto un termine massimo di durata del procedimento di 270 giorni. In tal senso, sarebbe illegittimamente discriminatoria la previsione dell’art. 1392, comma 4, d.lgs. n. 66 cit., per cui “In ogni caso, il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall’ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta”.
La questione in discorso, ancorché rilevante, appare comunque manifestamente infondata.
L’art. 1392, comma 4, d.lgs. n. 66 cit., riproduce pedissequamente la previsione dell’art. 120, comma 1, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Testo unico degli impiegati civili dello Stato), la cui finalità è proprio sanzionare con l’estinzione la completa inattività dell’Amministrazione a tutela dell’interessato, per evitare che questi resti sottoposto ad un procedimento disciplinare pendente per un tempo indeterminato (ex multis: Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2017 n. 1368; sez. III, 22 luglio 2013 n. 3946; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 19 aprile 2019 n. 1123; sez. I, 15 febbraio 2018 n. 410; TAR Lazio, Roma, sez. II, 8 gennaio 2015 n. 146).
Pertanto, in senso opposto a quanto assunto dal ricorrente, l’art. 1392, comma 4, d.lgs. n. 66 cit., vale proprio ad assicurare che il militare non sia sottoposto a tempo indefinito a un procedimento disciplinare, dato che il termine di perenzione de quo è interrotto ogniqualvolta, prima della sua scadenza, sia adottato un atto, anche se di carattere interno, dal quale possa inequivocabilmente desumersi la volontà dell’Amministrazione di portare a conclusione il procedimento (Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2017 n. 1368; sez. III, 22 luglio 2013 n. 3946; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 19 aprile 2019 n. 1123; sez. IV, 26 luglio 2012 n. 4257).
Sebbene tale regime non sia identico a quello previsto per i procedimenti disciplinari di stato instaurati a seguito di procedimento penale, la diversità di disciplina deriva dalle differenti esigenze di ricostruzione dei fatti sottese, rispettivamente, alle vicende disciplinari avviate in seguito alla conoscenza integrale dei provvedimenti irrevocabili del giudice penale e da quelle che ne prescindono.
Infatti, mentre il quadro fattuale conseguente all’acquisizione di copia della sentenza e del decreto penale o di archiviazione è esaustivo e, giusta l’art. 653 cod. proc. pen., vincolato per l’Amministrazione che su quella base avvii una contestazione disciplinare, lo stesso non può dirsi ove sia necessario condurre una specifica istruttoria volta a definire i contorni della vicenda e la posizione dell’incolpato.
Di tale ontologica differenza è espressione proprio la previsione di un termine per la conclusione del procedimento disciplinare rigido per la prima tipologia di contestazioni (i.e. 270 giorni dall’acquisizione del provvedimento giurisdizionale penale irrevocabile) e flessibile per la seconda (90 giorni dal compimento dell’ultimo atto).
In definitiva, essendo la suddetta disomogeneità di disciplina oggettivamente giustificata dalle specificità delle due prefate fattispecie di procedimento disciplinare, non si ritiene al riguardo sussistente alcuna violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., con susseguente manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata da parte ricorrente.
4. – Nel quarto mezzo di impugnazione, l’ex m.llo aiut. C.S. deduce violazione dell’art. 1393, d.lgs. n. 66 cit., per non avere l’Amministrazione disposto l’obbligatoria sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione della vicenda penale in cui il ricorrente è imputato, stante l’evidente connessione (rectius identità) tra le contestazioni elevate in sede disciplinare e le ipotesi di reato a lui ascritte.
Il motivo è palesemente destituito di fondamento.
L’art. 1393, comma 1, d.lgs. n. 66 cit., nel testo introdotto dall’art. 4, comma 1, lett. t), d.lgs. 26 aprile 2016 n. 91, dispone che: “Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all’articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’articolo 1357, l’autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all’esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale”.
Disattendendosi quanto dedotto dal sig. C.S., lungi dall’esservi un obbligo incondizionato di sospensione del procedimento disciplinare avente ad oggetto gli stessi fatti per i quali proceda l’Autorità giudiziaria penale, il principio generale indicato dalla legge è esattamente opposto, cioè dell’autonomia dei due procedimenti; soltanto ove l’accertamento di fatto sia particolarmente complesso ovvero l’istruttoria preliminare non offra sufficienti elementi all’Amministrazione, il procedimento disciplinare va promosso al termine di quello penale.
Nel caso di specie, tuttavia, considerato che il ricorrente è stato tratto in arresto per essere sottoposto a custodia cautelare in carcere e che, soprattutto, è stato fatto oggetto di decreto di giudizio immediato per l’evidenza della prova a carico, la scelta dell’Amministrazione di coltivare in autonomia il procedimento disciplinare appare pienamente legittima.
5. – Nel quinto ordine di censure è lamentata la violazione del principio di imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., oltre al vizio di eccesso di potere per violazione della guida tecnica ministeriale sulle procedure disciplinari n. M_D G MIL REG 2016 0701231 del 2 dicembre 2016 e della circolare n. 1/2006 del Comando generale della Guardia di finanza, dal momento che il Comandante interregionale dell’Italia centrale, stanti i termini utilizzati per descrivere i fatti, avrebbe palesato già dall’atto di avvio dell’inchiesta formale, come pure nella successiva convocazione della commissione di disciplina, il proprio personale convincimento circa la colpevolezza del ricorrente, sì da influenzare, grazie alla propria supremazia gerarchica, le opinioni degli altri organi monocratici o collegiali coinvolti nel procedimento disciplinare, anche in violazione delle direttive impartite nella prefata guida tecnica.
Il mezzo all’esame, in disparte i profili di inammissibilità che lo attingono per essere stato rivolto nei confronti di atti non specificamente impugnati in questa sede ex art. 40, comma 1, lett. b) cod. proc. amm., appare comunque infondato essenzialmente in fatto.
Dalla lettura delle note del Comandante interregionale dell’Italia centrale della Guardia di finanza prot. n. XXXXX del XXXXX (recante l’ordine di apertura di un’inchiesta formale a carico del ricorrente e la nomina dell’ufficiale inquirente) e prot. n. XXXXX del XXXXX (relativa alla nomina e convocazione della commissione di disciplina) non traspare, in primo luogo, alcun tentativo di condizionamento dell’organo monocratico inquirente e di quello collegiale consultivo, non essendo rivolto a tali organi alcun ordine o invito esulante da quello che è l’ambito della rispettive competenze. Inoltre, nello specifico si rileva che l’ordine di inchiesta disciplinare formale de quo è sostanzialmente corrispondente, anche quanto al tenore verbale non dubitativo, all’all. 1 della suddetta circolare interna al Corpo della guardia di finanza, ove si legge proprio che l’inchiesta formale disciplinare avvenga “con contestazione dei seguenti specifici addebiti, i quali configurano responsabilità perseguibili sotto il profilo della disciplina di stato”. Anche l’ordine di costituzione e convocazione della commissione di disciplina non appare discostarsi dall’allegato 3.R della suddetta guida tecnica ministeriale, ove si chiede alla commissione di dichiarare “se a suo avviso” il militare “sia meritevole di conservare il grado ovvero di conservare il grado”.
Si rileva, poi, che la ricostruzione dei fatti addebitati nei suddetti atti al sig. C.S. è sempre supportata dal richiamo agli atti del procedimento penale e a quelli interni precedentemente adottati, sì che essa non appare eccedere lo scopo di promuovere un’azione disciplinare. Del resto, è inevitabile che la volontà di perseguire in tale sede un dipendente postuli l’esistenza di un convincimento, in capo all’organo che dispone l’apertura del procedimento, della sussistenza di elementi di responsabilità in capo all’inquisito con esplicitazione dei relativi profili di antigiuridicità rispetto all’ordinamento settoriale, come appare avvenuto nel caso di specie. Resta fermo che i suddetti elementi e profili sono poi da acquisire, in contraddittorio con l’incolpato, tramite l’inchiesta e da accertare definitivamente all’esito del complesso procedimento disegnato dagli artt. 1375 ss., d.lgs. n. 66 cit. Diversamente opinando, ove cioè il suddetto comandante territoriale avesse ritenuto insussistenti le ragioni per procedere a carico del ricorrente, è da ritenere che non avrebbe impartito l’ordine di avviare un’inchiesta formale nei suoi confronti.
In virtù di quanto sopra, disattendendo le argomentazioni articolate dal sig. C.S., si ritiene che in nessun passaggio di tali note possa evincersi che il Comandante interregionale dell’Italia centrale abbia, da un lato, esternato un convincimento personale eccedente quello ritraibile dai gravissimi elementi a carico del ricorrente desumibili dagli atti ivi richiamati e funzionale all’esercizio dell’azione disciplinare e, dall’altro, che abbia indebitamente tentato di condizionare l’ufficiale inquirente o la commissione di disciplina.
6. – Nel sesto mezzo di impugnazione l’ex m.llo aiut. C.S. deduce eccesso di potere per violazione delle già citate guida tecnica ministeriale e circolare n. 1/2006, per avere l’ufficiale inquirente indebitamente:
a) notificato al ricorrente la propria relazione conclusiva dell’inchiesta formale demandatagli;
b) espresso il proprio opinabile parere in ordine alla definizione della posizione disciplinare dell’inquisito, giudicando “le responsabilità emerse nei confronti dell’inquisito come incompatibili con il suo stato giuridico”;
c) trasmesso la propria relazione istruttoria oltre il termine massimo previsto ivi previsto.
Anche il motivo di ricorso in parola è infondato, a prescindere dai profili di inammissibilità che lo attingono per essere stato rivolto ad un atto non specificamente impugnato nel presente giudizio.
6.1 Infatti, quanto all’avvenuta notificazione al ricorrente della relazione conclusiva dell’ufficiale inquirente, si rileva che nel caso di specie tale adempimento è stato ordinato dal Comandante interregionale dell’Italia centrale a pag. 4, sub 2, della nota di apertura dell’inchiesta formale e nomina dell’ufficiale inquirente.
Sul punto, mentre la circolare n. 1/2006, nello stralcio prodotto dall’Amministrazione nulla prevede sul punto, effettivamente la guida tecnica ministeriale, a pag. 130, nt. 1, stabilisce che la relazione finale “non deve essere data in visione all’inquisito, né elencata nell’indice dei documenti”.
Tuttavia, non si ritiene che l’avvenuta trasmissione al ricorrente di tale atto costituisca circostanza tale da comportare l’annullamento del provvedimento finale, dal momento che essa risulta aver ampliato e non ridotto le possibilità di difesa dell’ex m.llo aiut. C.S., che ha potuto partecipare alla fase del procedimento punitivo avanti alla commissione di disciplina con un quadro informativo più ricco di quello che avrebbe avuto diritto di ottenere. Oltretutto, nel silenzio della legge sul divieto di ostensione all’inquisito della relazione finale dell’ufficiale inquirente, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la mancata esibizione di detto documento (non quindi la sua ostensione) vizi, in realtà, il procedimento disciplinare instaurato nei suoi confronti e, quindi, la determinazione conclusiva (Cons. Sic., sez. giur., 14 luglio 2014 n. 422; Cons. Stato, sez. IV, 23 settembre 2008 n. 4630). Ciò avvalora le considerazioni sopra esposte in ordine alla natura non invalidante della circostanza di fatto appena illustrata.
6.2 In merito all’espressione, da parte dell’ufficiale inquirente, delle proprie conclusioni, anche con riferimento alla compatibilità dell’infrazione riscontrata con il mantenimento del grado, si rileva che ciò costituisce il punto qualificante della relazione finale di inchiesta, come tale previsto sia dall’all. 3L della guida tecnica ministeriale, sia dall’all. 9 della circolare interna n. 1/2006, sì che nessuna violazione risulta sussistere sul punto.
Peraltro, corre l’obbligo di ricordare che il documento nel quale l’ufficiale inquirente rassegna le conclusioni sull’attività svolta non riveste, nell’ambito del procedimento disciplinare, alcun carattere, neppure indirettamente, vincolante, dato che rientra nelle esclusive prerogative dell’Autorità disciplinare stabilire, secondo il proprio convincimento, l’entità della sanzione da infliggere (TAR Puglia, Bari, sez. I, 6 novembre 2006 n. 3901).
6.3 Quanto al mancato rispetto del termine prescritto per la trasmissione della relazione finale, si rileva che essa è avvenuta con nota prot. n. XXXXX del 4 dicembre 2018 e cioè, effettivamente, dopo 71 giorni dalla notificazione della contestazione di addebiti, avvenuta il 24 settembre 2018, e dunque oltre il termine 65 giorni che era stato indicato dal Comandante interregionale dell’Italia centrale a pag. 5, sub § 4, dell’ordine di apertura dell’inchiesta e di nomina dell’inquirente.
Tuttavia, la violazione di tale termine endoprocedimentale, che non è previsto dalla legge a pena di perenzione del procedimento o di decadenza dall’azione disciplinare, non comporta alcuna conseguenza sulla legittimità del provvedimento conclusivo, dal momento che neppure supera i 90 giorni indicati dall’art. 1393, comma 4, d.lgs. n. 66 cit., ai fini dell’estinzione del procedimento disciplinare di stato.
7. – Con il settimo motivo di ricorso, l’ex m.llo aiut. C.S. si duole della violazione dell’art. 2149, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 66 cit., che riserva al Comandante generale della Guardia di finanza la potestà sanzionatoria di stato per i militari appartenenti al Corpo, poiché il provvedimento finale sarebbe stato redatto, in realtà, dal capo sezione personale, dal capo ufficio personale e dal capo di stato maggiore del Comando interregionale dell’Italia centrale, cioè da autorità prive di qualunque titolo a interloquire nel procedimento disciplinare di cui è causa.
Il mezzo di impugnazione all’esame è palesemente destituito di fondamento.
Il provvedimento con cui il Comandante interregionale dell’Italia centrale, giusta delega di funzioni di cui alla determinazione del Comandante generale del Corpo prot. n. 98635 del 26 marzo 2008, ha inflitto al ricorrente la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, ai sensi dell’art. 1357, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 66 cit., non appare in alcun modo imputabile alle autorità militari a lui subordinate cui fa riferimento il militare C.S.
Infatti, non solo detta determinazione è stata sottoscritta dal solo Comandante interregionale dell’Italia centrale ma, ciò che più conta, non è in alcun modo provato da parte del ricorrente – ed appare del tutto inverosimile in un ordinamento qual è quello militare, che fa della gerarchia e della subordinazione (art. 626, d.lgs. n. 66 cit.), oltre che della disciplina (art. 1346, d.lgs. n. 66 cit.), i propri pilastri fondanti – che l’opinione di un ufficiale generale in comando possa essere stata influenzata dai suoi subalterni. Piuttosto, avuto riguardo agli atti di causa pare che questi ultimi lo abbiano assistito nella trattazione della pratica avente ad oggetto la posizione del ricorrente, in linea con le competenze loro attribuite ai sensi della circolare del Comando generale n. 90000/310, edizione 2011, aggiornata con circolare prot. n. 209867/310 del 6 luglio 2016, che prevede le funzioni e i compiti delle “articolazioni di staff” dei vari livelli gerarchici del Corpo della guardia di finanza.
8. – Con l’ottavo motivo di ricorso parte ricorrente censura violazione dell’art. 1370, comma 5, d.lgs. n. 66 cit., oltre a eccesso di potere per violazione della prefata guida tecnica ministeriale, che consentono al militare inquisito di chiedere il differimento del procedimento disciplinare se sussiste un “effettivo legittimo impedimento”, poiché la richiesta di rinvio della seduta della commissione di disciplina formulata dal ricorrente per un temporaneo impedimento di ordine sanitario non è stata accolta.
Il mezzo di impugnazione all’esame è infondato.
L’art. 1370, comma 5, d.lgs. n. 66 cit., prevede che: “5. Il militare inquisito può chiedere il differimento dello svolgimento del procedimento disciplinare solo se sussiste un effettivo legittimo impedimento. Se la richiesta di differimento è dovuta a ragioni di salute: a) l’impedimento addotto deve consistere, sulla scorta di specifica certificazione sanitaria, in una infermità tale da rendere impossibile la partecipazione al procedimento disciplinare; b) l’autorità disciplinare può recarsi presso l’inquisito per svolgere il procedimento disciplinare, se tale evenienza non è espressamente esclusa dalla commissione medica ospedaliera incaricata di tale accertamento”.
Conseguentemente, ai fini del differimento de quo non è sufficiente una qualsivoglia infermità ma è necessario che essa comporti un’impossibilità oggettiva di intervenire attivamente nel procedimento e all’audizione innanzi alla commissione di disciplina (Cons. Stato, sez. IV, 9 marzo 2011 n. 1520; sez. IV, 27 novembre 2010 n. 8289). Infatti, l’inquisito deve produrre una certificazione medica che precisi in modo chiaro ed espresso, qualora ciò non risulti evidente secondo comuni regole di esperienza, che la patologia stessa comporta l’impossibilità di partecipare alla seduta (TAR Lazio, Roma, sez. II, 1° settembre 2015 n. 10981; sez. II, 2 luglio 2013 n. 6535).
Nella specie, dalla lettura del verbale della seduta della commissione di disciplina del 6 febbraio 2019 si evince che l’ex m.llo aiut. C.S. ha preso parte attiva ai lavori dell’organo, non solo producendo una corposa memoria ma articolando oralmente in prima persona le proprie difese: descrivendo “alcune incongruenze […] rilevabili nello sviluppo delle indagini finanziarie che lo hanno interessato”; contestando il “travisamento del contenuto di alcune intercettazioni telefoniche”; rispondendo a specifiche domande rivoltegli sul proprio tenore di vita e sui rapporti intrattenuti con una fonte confidenziale di polizia. L’ufficiale difensore poi, sempre presente durante la seduta, ha completato le difese dell’incolpato.
In definitiva, alla luce dell’attività concretamente svolta dal sig. C.S. di fronte alla commissione di disciplina e tenuto conto della presenza dell’ufficiale difensore, risulta confermato che legittimamente l’Amministrazione non ha acceduto alla richiesta di differimento, poiché il ricorrente, pur scontando difficoltà di ordine psicologico, non versava certo in uno stato tale da renderne impossibile l’intervento e da ostacolarne l’esercizio del diritto di difesa (Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2009 n. 6938).
9. – Con il nono ordine di censure il ricorrente si duole del vizio di eccesso di potere per difetto d’istruttoria, poiché nessun particolare accertamento sarebbe stato compiuto nell’ambito del procedimento disciplinare instaurato a carico del ricorrente, non valutandosi le osservazioni da egli fatte pervenire a sostegno della propria estraneità ai fatti contestati e atte a dimostrare il travisamento delle fonti di prova addotte già in sede penale a proprio carico, poiché le condotte delle quali è stato imputato sarebbero state eseguite nell’espletamento del servizio e, in particolare, nell’ambito dei rapporti intrattenuti con un confidente di polizia accreditato presso la tenenza di Aprilia.
Anche il mezzo di impugnazione all’esame non è favorevolmente apprezzabile.
In primo luogo, corre l’obbligo di ricordare che la figura dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria si colloca sempre nell’ambito di un sindacato esterno della sfera di discrezionalità esercitata dall’Amministrazione con esclusione, quindi, di uno scrutinio nel merito amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2006 n. 6010). Ciò premesso, avuto riguardo all’istruttoria condotta dall’Amministrazione si rileva che l’atto di contestazione di addebiti notificato al ricorrente il 24 settembre 2018 contiene un’esaustiva descrizione delle circostanze di fatto addebitate all’ex m.llo aiut. C.S., la cui sussistenza è supportata dai circostanziati elementi acquisiti dalle ordinanze restrittive adottate a suo carico nel quadro del procedimento penale avviato a suo carico e note all’Amministrazione sin dal 13 febbraio 2018.
Ebbene, nei limiti che sono propri del sindacato giurisdizionale sul vizio di eccesso di potere, si ritiene che il riferimento agli esiti degli accertamenti condotti in sede penale, ove i fatti sono stati ricostruiti mediante l’attivazione dei penetranti poteri di indagine ivi consentiti, abbia fornito all’inchiesta disciplinare un adeguato supporto istruttorio, completato dagli elementi forniti a discarico dall’interessato, sia di fronte all’ufficiale inquirente che innanzi alla commissione di disciplina.
Su quest’ultimo punto è noto che nei procedimenti disciplinari avviati nei confronti di pubblici dipendenti, incluso quindi il personale militare, non è necessario che il provvedimento conclusivo confuti analiticamente tutte le giustificazioni fornite dell’incolpato, essendo sufficiente che dallo stesso risulti che tali osservazioni sono state esaminate in modo serio e che di esse è stato tenuto conto ai fini dell’accertamento dei fatti e della graduazione della rilevanza disciplinare del comportamento (Cons. Stato, sez. IV, 19 ottobre 2007 n. 5472; sez. VI, 9 febbraio 2006 n. 509; sez. IV, 10 marzo 2004 n. 1123; sez. IV, 5 aprile 2003 n. 1780; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 25 marzo 2015 n. 839; sez. I, 13 marzo 2015 n. 95; TAR Lazio, Roma, sez. III, 11 settembre 2008 n. 8257).
In definitiva, avuto riguardo al caso di specie, si ritiene che la valutazione fatta in concreto dall’Autorità disciplinare di non condividere gli elementi apportati a propria discolpa dall’ex m.llo aiut. C.S., secondo quanto evincibile dal testo del provvedimento impugnato, non sia ab externo irragionevole o sproporzionata, con susseguente legittimità, sotto questo profilo, della determinazione assunta.
10. – Nel decimo motivo di ricorso, il sig. C.S. denuncia, sotto altro profilo, del vizio eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, poiché all’esito del procedimento non sarebbe stata dimostrata l’offesa concretamente inferta al prestigio del Corpo per effetto delle condotte a lui ascritte, non essendo stata svolta alcuna particolare verifica al riguardo ed essendosi limitate le autorità militari procedenti a qualificare i fatti a lui addebitati come contrari ai vincoli di fedeltà assunti con il giuramento.
L’assunto è manifestamente infondato.
Infatti, tenuto conto della natura dei fatti addebitati al ricorrente, si ritiene che nessun particolare accertamento fosse necessario per avere conferma di quella che, ad ogni evidenza, è una gravissima lesione al prestigio del Corpo di appartenenza, venendo in questione attività penalmente illecite e di per sé screditanti e lesive per l’immagine della Guardia di finanza; ciò specialmente in considerazione dell’affidamento riposto dalla collettività (chiamata a rispettare i propri obblighi tributari) sulla morigeratezza delle persone preposte alle delicate funzioni di polizia economico-finanziaria.
11. – Infine, con l’undicesimo motivo di ricorso l’ex m.llo aiut. C.S. lamenta eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, essendo, a suo dire, stata adottata una sanzione manifestamente eccedente la gravità dei fatti contestati, che si ridurrebbero a un episodio isolato e di carattere minimale.
Anche quest’ultima doglianza non appare condivisibile.
Si premette che anche nel procedimento disciplinare a carico di appartenenti al corpo della Guardia di finanza trovano necessariamente applicazione i principi di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto espressivi di basilari principi di civiltà giuridica (Cons. Stato, sez. IV, 22 ottobre 2019 n. 7185). Non tutte le ipotesi di violazione del giuramento integrano, infatti, una mancanza disciplinare talmente grave da comportare l’applicazione della perdita del grado per rimozione, massima sanzione disciplinare in ambito militare; pertanto, anche in presenza di infrazioni disciplinari ai fondamentali doveri attinenti al giuramento prestato, l’Amministrazione ha l’obbligo di procedere applicando il principio di proporzionalità della sanzione (Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2012 n. 5037; sez. IV, 2 marzo 2011 n. 1326).
L’Amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare la rilevanza disciplinare dei fatti sicché, una volta valutati gli stessi, l’accertamento della proporzionalità della sanzione all’illecito contestato e la graduazione della stessa, risolvendosi in un giudizio di merito, sfugge al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non si disveli un eccesso di potere sotto il profilo della manifesta illogicità o contraddittorietà (Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2017 n. 2752; sez. VI, 16 aprile 2015 n. 1968).
In altri termini, il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa ed il suo corollario in campo disciplinare, rappresentato dal c.d. gradualismo sanzionatorio, non consentono al giudice di sostituirsi alle valutazioni discrezionali compiute dall’Autorità disciplinare, che possono essere sindacate esclusivamente ab externo, qualora trasmodino nell’abnormità (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 16 gennaio 2019 n. 66; sez. I, 12 ottobre 2018 n. 1703; TAR Piemonte, sez. I, 3 aprile 2018 n. 399).
Nel caso di specie, tenuto conto dei sopra descritti limiti che incontra il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità delle sanzioni disciplinari inflitte al pubblico dipendente, si ritiene che, stante la gravità dei fatti ascritti alla responsabilità del ricorrente, la sanzione adottata nei suoi confronti non sia sproporzionata né irragionevole, con susseguente legittimità del provvedimento anche sotto quest’ultimo aspetto.
12. – Per le ragioni sopra illustrate il ricorso all’esame è complessivamente infondato e da rigettare. Resta comunque fermo che, ai sensi dell’art. 1393, comma 2, d.lgs. n. 66 cit., se il procedimento penale cui è attualmente sottoposto l’ex sottufficiale C.S. sarà definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione, la quale riconosca che il fatto addebitato non sussiste o non costituisce reato o che il militare non lo ha commesso, l’Autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riaprirà il procedimento disciplinare per modificarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale.
13. – Sussistono giusti motivi, in relazione alla delicatezza ed alla complessità delle questioni fattuali e giuridiche trattate, per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
14. – Si ritiene che nel caso di specie sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti e della dignità del ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona del ricorrente.
Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2019.
Depositato in Cancellerai il 31 dicembre 2019.