R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GUIDO RAIMONDI – Presidente –
Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI – Consigliere –
Dott. FABRIZIA GARRI – Consigliere –
Dott. CARLA PONTERIO – Rel. Consigliere –
Dott. GUGLIELMO CINQUE – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 15016-2020 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) 50, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati CATERINA (OMISSIS), DOMENICO MASSIMO (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CASA DI CURA (OMISSIS) (OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) 9, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato FERDINANDO (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 437/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 15/05/2020 R.G.N. 1120/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/05/2023 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO visto l’art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha accolto il reclamo proposto dalla Casa di Cura (omissis) (omissis) srl e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di (omissis) (omissis) volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimatole il 16.11.2018.
2. La Corte territoriale ha premesso che con lettera del 22.10.2018 era stato contestato alla dipendente che “ormai da diverso tempo lei svolge il suo lavoro con scarsa diligenza e senza rispettare le disposizioni che le vengono impartite dai suoi superiori. In particolare, in data 10.10.2018 verso le 09:00, durante il consueto orario di lavoro presso l’ufficio amministrativo, le veniva affidato il lavoro concernente la semplice verifica delle polizze assicurative in capo ai nostri operatori sanitari.
Più dettagliatamente, la S.V. doveva soltanto trascrivere, sul comune programma Microsoft Excel, il nome dell’operatore sanitario, della compagnia assicurativa e, se presente, la data di scadenza della relativa polizza.
Il documento così predisposto sarebbe stato successivamente utilizzato per discutere di eventuali offerte con il responsabile commerciale di primaria Compagnia Assicurativa, in apposito incontro da svolgersi presso la nostra sede in data 12.10.2018.
Così come già avvenuto in altri episodi precedenti, il personale presente le forniva quindi il supporto iniziale, illustrandole il semplice lavoro da svolgere e fornendole successivamente, per quanto possibile, il necessario supporto.
Nonostante si trattasse, anche in questo caso, di un compito estremamente “elementare” tale da richiedere non più di una giornata lavorativa, in data 12.10.2018 la S.V. non aveva ancora completato l’incarico affidatole, costringendo conseguentemente lo scrivente a rinviare l’incontro programmato con il responsabile commerciale anzidetto.
Quest’ultimo comportamento rappresenta l’ennesima violazione di diligente collaborazione ed un chiaro indice dello scarso rendimento.
È infatti evidente l’enorme sproporzione tra gli obiettivi pur minimi a lei assegnati e quanto effettivamente realizzato anche in relazione ai precedenti procedimenti disciplinari e in particolare quello relativo alla contestazione del 5 dicembre 2017 e quella del 27 febbraio 2018.
La presente quindi è una condotta che lei mantiene da diverso tempo nonostante le predette sanzioni e nonostante lo sforzo profuso per garantirle un’adeguata preparazione ed assistenza al suo profilo professionale anche mediante un corso professionale e il supporto di altri dipendenti […] oltre al danno d’immagine arrecato nel caso di specie si conferma quindi la totale assenza di produttività al lavoro, con evidente violazione della diligente collaborazione con il datore di lavoro e si configurano le violazioni disciplinari previste all’art. 38 punto c) del CCNL di riferimento per chi “commetta grave negligenza in servizio o irregolarità nell’espletamento dei compiti assegnati” e punto f) “esegue il lavoro affidatogli negligentemente o non ottemperando alle disposizioni impartite”, con riferimento all’ipotesi di cui alla lett. A del predetto art. 38 “nei casi previsti dal capoverso precedente qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità” […].; ha escluso che la contestazione disciplinare fosse generica, come invece ritenuto dal tribunale, rilevando che la stessa faceva riferimento anche ai comportamenti della lavoratrice contestati con precedenti note del 5.12.2017 e del 27.2.2018 e per i quali erano state applicate le sanzioni, rispettivamente, del rimprovero scritto e della multa; ha escluso qualsiasi intento vessatorio nella condotta datoriale ed ha ritenuto che l’ultimo episodio del 10.10.2018, valutato unitamente a quelli oggetto delle precedenti contestazioni e sanzioni disciplinari, integrasse un “notevole inadempimento della prestazione lavorativa, sub specie di scarso rendimento ed improduttività, idoneo a legittimare il licenziamento ai sensi della lett. A dell’art. 38 c.c.n.l. dipendenti RSA”, disposizione speculare rispetto a quella di cui all’art. 41, lett. A, del c.c.n.l. Aiop non medici; ha sottolineato che, sebbene l’art. 38 cit. contempli alla lett. C, quale autonoma ipotesi di licenziamento, la recidiva per il caso in cui siano stati comminati due provvedimenti di sospensione disciplinare nell’arco di un anno dall’applicazione della prima sanzione, ciò tuttavia non preclude che, ai sensi dell’art. 7, ultimo comma, St. Lav., si possa tenere conto, nella valutazione di gravità dell’infrazione, delle sanzioni disciplinari irrogare nell’ultimo biennio per comportamenti omogeni all’ultimo contestato.
3. Avverso tale sentenza (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La Casa di Cura (omissis) (omissis) srl ha resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile al rapporto oggetto di causa il c.c.n.l. per il personale dipendente dalle RSA e dalle strutture residenziali e socioassistenziali associate all’Aiop del 2012 e si afferma che la difesa della lavoratrice, nel giudizio di primo grado (in cui sono state unificate la fase sommaria e quella di opposizione) e nel giudizio di reclamo, ha contestato che la Casa di Cura fosse una RSA ed ha argomentato l’applicazione al rapporto di lavoro del c.c.n.l. per il personale dipendente delle strutture sanitarie associate all’Aiop, all’Aris e alla Fondazione Don Carlo Gnocchi 2002-2005, come confermato dal fatto che le precedenti sanzioni disciplinari erano state irrogate in base all’art. 41 di quest’ultimo contratto collettivo.
5. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.) nonché la violazione o falsa applicazione di norme di diritto o dei contratti collettivi nazionali di lavoro (art. 360 n. 3 c.p.c.).
Sotto il primo profilo si critica la decisione d’appello per aver escluso che la lavoratrice avesse dedotto la genericità della contestazione disciplinare, invece denunciata con la lettera di impugnativa stragiudiziale e poi nel ricorso introduttivo della lite e nell’atto di reclamo.
Si censura inoltre l’affermazione dei giudici di appello, secondo cui “la ricorrente non ha affatto negato di avere commesso le negligenze ed i rifiuti di adempiere ai compiti che erano stati assegnati dal superiore gerarchico” (pag. 18 sentenza appello), adducendo che la medesima non si è mai rifiutata di eseguire il lavoro assegnatole, che aveva piuttosto contestato la circostanza della disponibilità dei colleghi ad aiutarla, che l’urgenza nell’espletamento dell’incarico le era stata comunicata il giorno stesso della scadenza del termine e che la società le aveva impedito di ultimare il lavoro negando il prolungamento dell’orario espressamente richiesto.
Sotto il secondo profilo, si assume che la recidiva ai sensi dell’art. 7 St. Lav. non è mai stata contestata dalla società né invocata in alcun atto processuale; che nel caso di specie il contratto collettivo applicabile (art. 41, comma 5, lett. c) c.c.n.l. Aiop 2002-2005) prevede un trattamento più favorevole in quanto limita la recidiva utile al licenziamento al caso in cui al dipendente siano stati comminati due provvedimenti di sospensione disciplinare nell’arco di un anno dall’applicazione della prima sanzione.
Si contesta la sussistenza di un giustificato motivo soggettivo di recesso sul rilievo che le condotte strumentalmente contestate alla ricorrente erano prive del requisito di gravità, della intenzionalità, oltre che non produttive di danno economico e di disvalore sul piano lavorativo; si osserva come alla lavoratrice sia stato contestato di non aver completato l’incarico affidatole e non già di non averlo mai iniziato oppure di essersi rifiutata di eseguirlo; che l’articolo 41 del c.c.n.l. Aiop consente il licenziamento solo qualora la condotta contestata configuri un notevole inadempimento e la infrazione abbia carattere di particolare gravità e che la condotta imputata alla lavoratrice sarebbe stata al più sanzionabile con misure conservative, non potendo la gravità ricollegarsi alla recidiva non contestata dalla società.
6. Il primo motivo di ricorso è infondato.
7. Secondo i giudici di appello è “incontestato che la Casa di Cura (omissis) (omissis) sia una RSA” (sentenza pag. 13).
In ogni caso, come dagli stessi precisato, l’art. 38 del c.c.n.l. per i dipendenti delle RSA è del tutto speculare all’art. 41 del c.c.n.l. AIOP non medici 2002-2005 e tale circostanza è sostanzialmente riconosciuta dalla attuale ricorrente (v. ricorso, pag. 22), il che rende irrilevante, rispetto al licenziamento per cui è causa, l’individuazione dello specifico contratto collettivo applicabile.
8. Il secondo motivo è invece fondato quanto alla censura di violazione di legge e del contratto collettivo.
9. La Corte d’appello ha ritenuto integrato il giustificato motivo soggettivo di licenziamento per essere dimostrato un notevole inadempimento realizzatosi nell’episodio dell’ottobre 2018, valutato insieme ai due precedenti disciplinari. Questi precedenti non sono stati considerati ai fini della recidiva in senso tecnico, pacificamente non contestata, bensì unicamente nell’ambito della valutazione di gravità della condotta e specificamente del livello di negligenza e improduttività nella prestazione
10. L’art. 38 del c.c.n.l. descrive, al primo comma, le condotte che possono dar luogo all’applicazione delle sanzioni conservative del richiamo (verbale o scritto), della multa e della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione; tra queste prevede, alla lett. c) l’ipotesi di chi “commetta grave negligenza in servizio o irregolarità nell’espletamento dei compiti assegnati” e alla lett. f) quella di chi “compia qualsiasi insubordinazione nei confronti dei superiori gerarchici; esegua il lavoro affidatogli negligentemente o non ottemperando alle disposizioni impartite”.
11. Il secondo comma dell’art. 38 contempla, in via esemplificativa, le condotte che possono determinare il licenziamento e, per quel che interessa, stabilisce: “Sempreché si configuri un notevole inadempimento e con il rispetto delle normative vigenti, è consentito il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo: A. nei casi previsti nel capoverso precedente qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità”;… C. recidivo in qualunque mancanza quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione disciplinare nell’arco di un anno dall’applicazione della prima sanzione”.
12. La Corte d’appello ha ritenuto integrate le condotte punibili con sanzione conservativa, descritte dall’art. 38, comma 1, alle lettere c) ed f), sul rilievo che le incombenze assegnate alla dipendente il 10.10.2018 “rientra(ssero) nelle mansioni del collaboratore amministrativo di livello D, profilo professionale nel quale la ricorrente risulta inquadrata da svariati anni”; che la predetta “ha eseguito (i compiti) con negligenza o in modo incompiuto” benché gli stessi fossero “abbastanza elementari” e nonostante la “disponibilità dei colleghi pronti ad aiutarla” (sentenza d’appello, pag. 18).
13. Ha poi valutato le infrazioni addebitate alla lavoratrice come aventi “particolare gravità” e quindi tali da legittimare il licenziamento ai sensi della lett. A dell’art. 38, comma 2 del c.n.l.
14. Gli elementi idonei ad integrare il requisito della “particolare gravità”, che permette di punire con il licenziamento condotte suscettibili altrimenti solo di sanzione conservativa, sono stati rinvenuti dai giudici di appello essenzialmente nei precedenti disciplinari specifici. Alla lavoratrice, infatti, erano state applicate la sanzione del rimprovero scritto, conseguente alla contestazione del 12.2017, e la multa pari all’importo di quattro ore di retribuzione, per la contestazione del 27.2.208; la prima sanzione neanche impugnata dalla dipendente e la seconda confermata dal Collegio di Conciliazione ed Arbitrato.
15. A pag. 17 della sentenza d’appello è esposto: “emerge con chiarezza che l’ultimo episodio del 10.10.2018 valutato unitamente a quelli delle due precedenti contestazioni, concluse con provvedimenti sanzionatori, integrano il notevole inadempimento della prestazione lavorativa, sub specie dello scarso rendimento ed improduttività, idoneo a legittimare il licenziamento intimato ai sensi della lett. A dell’art 38 del CCNL dipendenti RSA (lett. A dell’art. 41 CCNL)”.
A pag. 20 è ripetuto che “il licenziamento rinviene la sua fonte nella lettera A dell’art 38 … che consente l’adozione della sanzione espulsiva in considerazione della gravità dell’infrazione (che risulta tra quelle individuate nel capoverso precedente) valutata alla luce dei precedenti disciplinari omologhi”.
16. E’ costante l’affermazione di questa Corte secondo cui la giusta causa e il giustificato motivo di licenziamento costituiscono nozioni che la legge – allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica, e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge.
Si è infatti precisato come l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c. o dell’art. 3, legge n. 604 del 1966, non sfugge ad una verifica in sede di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell’individuazione e nell’applicazione dei parametri integrativi, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, e dalla disciplina particolare, anche collettiva, in cui la concreta fattispecie si colloca (v. Cass. n. 8254 del 2004; n. 5095 del 2011; n. 6498 del 2012; n. 7426 del 2018).
17. Con riferimento alle disposizioni disciplinari della contrattazione collettiva, si è osservato come la scala valoriale espressa dalle citate previsioni costituisca uno dei parametri atti a riempire di contenuto la clausola generale di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, da cui il giudice non può prescindere, con la conseguenza che le parti potranno sottoporre la valutazione operata dal giudice di merito all’esame di questa Corte sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del contratto collettivo o del codice disciplinare (v. Cass. 9396 del 2018; Cass. n. 27238 del 2018).
Anche recentemente si è infine ribadito (v. Cass. n. 11665 del 2022, § 18.3) che il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal c.c.n.l. in relazione ad una determinata infrazione (cfr. Cass. n. 32500 del 2018, che richiama Cass. n. 6165 del 2016 e n. 19053 del 2005).
Ed infatti condotte che pur astrattamente ed eventualmente sarebbero suscettibili di integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di recesso ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative (v. Cass. 9223 del 2015, n. 13353 del 2011, n. 1173 del 1996, n. 19053 del 1995).
D’altronde, le norme sul concetto di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e sulla proporzionalità della sanzione sono pur sempre derogabili in melius ed il potere del giudice di valutare la legittimità del licenziamento disciplinare, quanto alla proporzionalità della sanzione, anche attraverso le previsioni contenute nei contratti collettivi, trova un fondamento normativo nella legge n. 183 del 2010, il cui art. 30 comma 3 ha previsto che “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni”.
19. Nel caso in esame, secondo la scala valoriale adottata dall’art. 38 del c.c.n.l. RSA (e parimenti dall’art. 41 del c.c.n.l. Aiop), le condotte alternativamente idonee a consentire il licenziamento e descritte nel secondo comma alle lettere A e C, fanno rispettivamente leva sulla “particolare gravità” delle infrazioni punibili con sanzione conservativa oppure sulla recidiva in mancanze sanzionate con due provvedimenti di sospensione nell’arco di un anno dall’applicazione della prima sanzione.
Una lettura sistematica delle citate previsioni contrattuali e coerente con i principi di diritto sopra richiamati porta a ritenere che il requisito della “particolare gravità” di cui alla A) non possa coincidere con la recidiva in infrazioni punite con sanzioni conservative meno gravi di quelle indicate nella lett. C), in quanto ciò vanificherebbe quest’ultima previsione e si tradurrebbe nella applicazione di un trattamento deteriore rispetto a quello concordato e voluto dalle parti sociali.
20. È evidente, nella struttura della disposizione collettiva, che la “particolare gravità” idonea a legittimare la sanzione espulsiva in base alla citata A) debba essere integrata e motivata in relazione alle caratteristiche intrinseche, oggettive e soggettive, delle condotte elencate nel primo comma dell’art. 38 e normalmente punibili con misure conservative e non possa, invece, esaurirsi nel rilievo dato ai precedenti disciplinari diversi e meno gravi rispetto a quanto stabilito dalla successiva lett. C).
Ferma la facoltà per il giudice di considerare la recidiva in senso atecnico, al solo fine di graduare la gravità della condotta, tuttavia, ove una specifica ipotesi di recidiva in senso tecnico (nella specie, qualunque infrazione dopo due pregressi provvedimenti di sospensione disciplinare nell’arco di un anno) sia contemplata dal contratto collettivo quale autonoma fattispecie di licenziamento disciplinare, alternativa rispetto a fattispecie che consentono il recesso per infrazioni sanzionabili con qualsiasi misura conservativa purché abbiano “particolare gravità”, quest’ultimo requisito non può coincidere ed esaurirsi nella recidiva (atecnica) in infrazioni punite in misura meno grave (nella specie rimprovero scritto e multa) rispetto all’ipotesi espressamente contemplata, poiché ciò contrasta con la scala valoriale concordata dalle parti sociali e si traduce in un inammissibile trattamento deteriore, per lavoratore, rispetto alle previsioni del contratto collettivo.
21. Nel caso in esame, la Corte di merito ha ritenuto legittimo il licenziamento ai sensi dell’art. 38, secondo comma, lett. A), per la “particolare gravità” delle infrazioni commesse dalla lavoratrice, e riconducibili alle lettere c) ed f) del primo comma dell’articolo citato, ma non ha motivato tale “particolare gravità” in base alle caratteristiche proprie della condotta tenuta, nei suoi profili oggettivi e soggettivi, bensì unicamente in ragione degli omologhi precedenti disciplinari.
La sentenza dà atto che i compiti assegnati alla dipendente e non eseguiti nel termine prescritto rientravano nel suo livello di inquadramento ed erano elementari ed accusa la stessa di scarso rendimento, ma tali dati rilevano al fine di ritenere integrata una condotta negligente e quindi un inadempimento e nulla dicono sulla “particolare gravità” dello stesso.
Né può affermarsi che la valutazione di gravità poggiasse su un rifiuto della lavoratrice di rendere la prestazione, sia perché un rifiuto non risulta in alcun modo contestato nella lettera del 22.10.2018 (trascritta sopra, 2) e sia perché la stessa sentenza d’appello non contiene un chiaro accertamento in tal senso (v. pag. 18 in cui si rileva che “i compiti che la lavoratrice si è rifiutata di eseguire e/o che ha eseguito con negligenza o in modo incompiuto …”).
22. È senz’altro vero, come precisato da questa Corte, che, a prescindere dalla configurabilità della recidiva, “la reiterazione del comportamento, che si ha per effetto della mera ripetizione della condotta in sé considerata, non è irrilevante, incidendo comunque sulla gravità del comportamento posto in essere dal lavoratore, che, essendo ripetuto nel tempo, realizza una più intensa violazione degli obblighi del (medesimo) e può, pertanto, essere … sanzionato in modo più grave” (così Cass. n. 22162 del 2009), ma tale affermazione, valida in generale, deve misurarsi con le disposizioni disciplinari del contratto collettivo e non può tradursi in un mezzo per prescindere dalla graduazione delle condotte di rilievo disciplinare come concordata dalle parti sociali, e di cui il giudice deve tenere conto per disposto normativo, con l’effetto di realizzare un trattamento peggiorativo per il lavoratore.
23. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra richiamati e delle previsioni del contratto collettivo applicato nel momento in cui ha ritenuto che la “particolare gravità” delle condotte punite con sanzione conservativa, di cui all’art. 38, secondo comma, lett. A del c.c.n.l., potesse affermarsi in base ai precedenti disciplinari specifici già sanzionati con il rimprovero scritto e la multa, così applicando un trattamento deteriore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo che, all’art. 38, comma 2, lett. C, consente il licenziamento nel caso in cui siano stati comminati due provvedimenti di sospensione disciplinare nell’arco di un anno.
24. Le residue censure del secondo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto investono la valutazione delle risultanze istruttorie al di fuori del perimetro segnato dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014) e limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, là dove le critiche si incentrano, nella specie, sul significato e sulla portata da attribuire a plurimi dati probatori, nessuno quindi autonomamente dotato di valore dirimente (v. Cass. n. 28154 del 2018; Cass. n. 21439 del 2015).
Parimenti inammissibile è l’assunto della lavoratrice di aver denunciato il difetto di specificità della contestazione disciplinare, poiché il vizio prospettato attiene alla qualificazione e valutazione giuridica di fatti e quindi concerne parti della motivazione in diritto e non l’omesso esame di fatti veri e propri, principali o secondari, come richiesto dall’art. 360, n. 5, c.p.c.
25. Per le ragioni esposte, accolto il secondo motivo di ricorso limitatamente alla denuncia del vizio di violazione di legge e di contratto collettivo e respinti il primo motivo e le residue censure del secondo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie uniformandosi ai principi di diritto enunciati (in particolare, al § 20), oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta il primo motivo e le residue censure del secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma all’udienza del 18.5.2023.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2023.