REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLIONO Giacomo – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – Rel. Consigliere –
Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17575-2020 R.G. proposto da
COMUNE di (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via (OMISSIS) n. 27, presso lo studio dell’Avv. Marco (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in Roma, via (OMISSIS) n. 30, presso lo studio dell’Avv. Brigida (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli Avv. Giampaolo (OMISSIS) e Chiara (OMISSIS);
– controricorrenti –
nonché contro
(OMISSIS) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via (OMISSIS) (OMISSIS) n. 3, presso lo studio dell’Avv. Salvatore (OMISSIS), dal quale, unitamente agli Avv.ti Livio (OMISSIS) ed Andrea (OMISSIS), è rappresentato e difeso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
nonché contro
(OMISSIS) (OMISSIS);
(OMISSIS) (OMISSIS);
(OMISSIS) (OMISSIS);
(OMISSIS) (OMISSIS);
(OMISSIS) (OMISSIS);
(OMISSIS) COMPAGNIA di ASSICURAZIONE Spa ;
– intimati-
Avverso la sentenza n. 1146-2020 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, depositata il giorno 28 aprile 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2022dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso del luglio 2016, (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), persone affette da disabilità visiva, domandarono al Tribunale di Belluno l’accertamento, ai sensi della L. 1 marzo 2006, n. 67, art. 2, del carattere discriminatorio della condotta nei loro confronti tenuta dal Comune di (OMISSIS) e dalla società (OMISSIS) Srl, consistita nell’aver fatto divieto di accedere, benché assistiti da cani-guida, ad un impianto di scale mobili ubicato in un parcheggio del Comune di Belluno e gestito dalla predetta società; chiesero altresì di ordinare ai convenuti la cessazione del descritto comportamento e di condannarli al risarcimento del danno non patrimoniale patito.
Nel costituirsi, il Comune di (OMISSIS) formulò, previa autorizzazione alla chiamata in causa, domanda di manleva nei riguardi della società (OMISSIS) – Compagnia di Assicurazione Spa .
2. Con ordinanza resa il 16 marzo 2017, il giudice di prime cure dichiarò inammissibili le domande per difetto di interesse ad agire.
3. Pronunciando sull’appello interposto dai ricorrenti, la Corte di Appello di Venezia, con la decisione in epigrafe indicata, ha dichiarato l’incompetenza per territorio sulle domande proposte da (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), siccome non residenti nel circondario del Tribunale di Belluno; in accoglimento dell’impugnazione dalle altre parti proposta, ha dichiarato la natura discriminatoria degli atti compiuti dal Comune di (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) Srl, ne ha ordinato la cessazione ed ha condannato i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore di (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), quantificati in misura pari ad Euro 500 per ciascuno di essi; ha infine disatteso la domanda di manleva spiegata dal Comune di (OMISSIS) nei riguardi della (OMISSIS) Spa .
4. Ricorre per cassazione il Comune di (OMISSIS), affidandosi a tre motivi, cui, con controricorso, aderisce la (OMISSIS) Srl, spiegando, altresì, ricorso incidentale articolato su un ulteriore motivo;
al ricorso principale spiegano resistenza, con controricorso, (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS);
non svolgono difese in grado di legittimità gli altri soggetti intimati, in epigrafe indicati.
5. Le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. E’ logicamente preliminare la disamina dell’unico motivo di ricorso incidentale con cui, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata in forza del combinato disposto della L. n. 67 del 2006, art. 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 44 e degli artt. 739 e seguenti del codice di rito.
1.1. La lettura della sentenza impugnata dà riscontro all’assunto del ricorrente, mancando invero ogni pronuncia, anche in via di implicito rigetto, sull’eccezione di inappellabilità del provvedimento di prime cure: ma da ciò non discende l’accoglimento del motivo formulato e la invocata cassazione della sentenza.
Il mancato esame di un motivo di gravame ovvero di un’eccezione preliminare ad opera del giudice di merito giustifica l’annullamento della sentenza impugnata ad opera della Suprema Corte a condizione che le questioni, di fatto o di diritto, non esaminate, siano decisive.
Per contro, qualora le questioni non vagliate siano in punto di diritto infondate e non richiedano ulteriori accertamenti di fatto, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, ha il potere di correggere la motivazione della decisione ex art. 384 c.p.c. mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano il provvedimento gravato, apparendo palese l’incongruità di una rimessione della causa nella fase di merito al fine di dichiarare l’infondatezza del rilievo erroneamente non vagliato.
Siffatto principio di diritto, già consolidato in un risalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità (Cass. 18/08/2006, n. 18190; Cass. 12/04/2006, n. 8561; Cass. 18/02/2005, n. 3388), è stato avvalorato dalla estensione (con la modifica operata dal D.Lgs. n. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 384 c.p.c.) delle ipotesi di decisione nel merito della Suprema Corte anche in caso di violazione di norme processuali e dalla costituzionalizzazione (nell’art. 111, comma 2, della Carta fondamentale) dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, i quali impongono interpretazioni che limitino i tempi di svolgimento del processo, pur senza sacrificio del diritto di azione e difesa (tra le tante, cfr. Cass. 01/02/2010, n. 2313; Cass., Sez. U., 02/02/2017, n. 2731; Cass. 28/06/2017, n. 16171; Cass. 19/04/2018, n. 9693; Cass. 10/06/2021, n. 10475).
1.2. Al lume di quanto sopra, l’error in procedendo della Corte d’appello non conduce alla cassazione della pronuncia, apparendo l’eccezione non esaminata destituita di fondamento giuridico.
A suffragio del motivo, il ricorrente invoca la disposizione dettata dalla L. n. 67 del 2006, art. 3, comma 1, nel suo originario tenore (che così recitava: “La tutela giurisdizionale avverso gli atti ed i comportamenti di cui all’art. 2 della presente legge è attuata nelle forme previste dall’art. 44, commi da 1 a 6 e 8, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286“): ma detta norma è stata modificata dal D.Lgs. n. 1 settembre 2011, n. 150, con la previsione dell’assoggettamento dei giudizi civili avverso gli atti e i comportamenti discriminatori alle regole sancite dal medesimo D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28.
Ed è proprio la norma nella versione novellata ad essere applicabile ratione temporis alla vicenda litigiosa, tenuto conto dell’epoca di proposizione del ricorso (luglio 2016): ben correttamente, dunque, la tutela giurisdizionale avverso condotte discriminatorie di persone con disabilità è stata dispiegata nelle forme del rito sommario di cognizione, cioè nei modi previsti dagli artt. 702-bis e seguenti del codice di rito; ben correttamente, pertanto, l’ordinanza pronunciata a definizione del giudizio di prime cure è stata impugnata con l’appello.
2. Il primo motivo di ricorso principale prospetta la violazione dell’art. 100 c.p.c. e della L. n. 67 del 2006, artt. 2 e 3, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Ad avviso del ricorrente, l’accoglimento delle domande è avvenuto in difetto di un pregiudizio effettivo, concreto e personale, patito dagli istanti, avendo il giudice territoriale erroneamente reputato sufficiente a tal fine una lesione meramente potenziale ai soggetti disabili, frutto di un divieto (l’accesso alle scale mobili dei cani) rivolto invece alla generalità degli utenti.
3. Il secondo motivo di ricorso principale, articolato con riferimento all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c., lamenta “violazione della L. 2248-1865, art. 5, all. E.
Violazione dei principi in tema di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo.
Violazione del punto 7.2.2.1. della norma UNI EN 115-1, in relazione alla direttiva comunitaria 98/37/CE, attuata con D.Lgs. n. 17-2010″.
Si deduce che il giudice territoriale, facendo cattivo uso del potere di disapplicazione degli atti amministrativi asseritamente illegittimi, non abbia considerato, onde escludere la natura discriminatoria della condotta, la norma regolamentare del D.M. n. 18 settembre 1975, art. 6 del Ministero dei trasporti (la quale, per ragioni di sicurezza, fa divieto di transito di tutti i cani su scale mobili in servizio pubblico) ed abbia così ad un tempo violato anche la norma tecnica Europea di rango superiore (UNI EN 115-1, punto 7.2.2.1.) la quale prescrive che sulle scale mobili i cani devono essere “portati in braccio”.
4. Il terzo motivo di ricorso principale assume violazione della L. n. 67 del 2006, art. 2 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver il giudice di merito ritenuto la sussistenza di una discriminazione per i disabili ancorché il divieto di uso delle scale mobili con il cane avesse carattere generale.
5. I tre motivi – da valutare congiuntamente, in ragione della intima connessione che li avvince – sono infondati.
5.1. E’ doveroso premettere che la L. n. 67 del 2006 appresta misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità che siano vittime di discriminazioni, al fine di garantire alle stesse, in attuazione di principi costituzionali (di eguaglianza e di parità di trattamento: art. 3) e sovranazionali (art. 14 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo), “il pieno godimento dei diritti civili, politici, economici e sociali”.
Onde realizzare lo scopo, la legge sancisce, con norme dalla portata immediatamente precettiva, divieti di discriminazione delle persone disabili nei rapporti non soltanto pubblici ma anche tra privati, ovvero senza alcuna limitazione soggettiva dei destinatari dell’obbligo di non discriminazione (sul tema, cfr. Cass. 23/09/2016, n. 18762; Cass. 13 febbraio 2020, n. 3691).
La nozione di discriminazione è positivamente definita dalla L. n. 67 del 2006 attraverso due possibili declinazioni: la discriminazione diretta, la quale si verifica (art. 2) ogni qualvolta una persona, per motivi connessi alla disabilità, riceve un trattamento diverso e meno favorevole di quello riservato ad una persona non disabile in situazione analoga; la discriminazione indiretta, la quale si configura (art. 3) quando “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri” mettano una persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto ad altre persone.
Come chiarito da questa Corte, la locuzione “disposizione” che concreta il concetto di discriminazione indiretta va riferita anche ai regolamenti i quali “a differenza della legge -che è assoggettabile al giudizio di legittimità costituzionale quando sospettata di creare discriminazioni-, se, nel dettare norme di dettaglio, creano discriminazione, vanno disapplicati dal giudice ordinario” (così la citata Cass. n. 18762 del 2016).
5.2. Tanto premesso in generale, diversamente da quanto opinato dall’impugnante, la gravata sentenza ha ravvisato la sussistenza di un interesse concreto ed effettivo a fondamento dell’azione promossa: “i ricorrenti hanno denunciato una asserita condotta discriminatoria di cui ciascuno di essi assume essere stato vittima essi, pur essendo afflitti dalla medesima disabilità di non vedenti, hanno agito facendo valere non gli interessi della categoria di cui fanno parte, quanto piuttosto l’interesse di ciascuno a non subire atti discriminatori proprio perché non vedente.
Va ritenuto sussistente quindi l’interesse degli appellanti, e di ciascuno di essi, alla proposizione dell’azione risarcitoria, che hanno proposto cumulativamente, ma non come “azione collettiva”.
E’ del pari ineccepibile la ritenuta discriminatorietà della condotta serbata dal proprietario e dal gestore dell’impianto di scale mobili.
Il divieto opposto – con apposito cartello – all’accesso con cani-guida sulle scale (tale la situazione di fatto accertata dal giudice di merito) è invero disposizione specificamente riferita alla condizione di handicap dei soggetti non vedenti (o ipovedenti), per i quali l’accompagnamento dell’animale costituisce ausilio necessario ed indispensabile per consentire una possibile mobilità: inibire il transito sulle scale mobili con cani guida concreta dunque atto discriminatorio per il non vedente rispetto all’omologa situazione del normodotato, dacché si traduce nella lesione del diritto alla fruizione del mezzo di trasporto pubblico.
E poiché siffatto diritto con l’accompagnamento del proprio cane è garantito al non vedente da norma di rango primario (la L. 14 febbraio 1974, n. 37), è pienamente condivisibile la valutazione del giudice di merito circa la disapplicazione, nel caso, delle prescrizioni del D.M. n. 18 settembre 1975 (nella formulazione vigente ratione temporis, anteriore alla novella del D.M. n. 22 dicembre 2017), aventi natura di regolamento esecutivo, cioè a dire norme secondarie idonee, nella loro concreta applicazione, a determinare trattamenti deteriori per il disabile, integranti veri e propri atti discriminatori.
Analoghe considerazioni valgono con riguardo alle “norme” UNI-EN in questa sede invocate dal ricorrente, alle quali, alla stregua del regolamento UE del 25 ottobre 2012, n. 1025, va ascritta nel nostro ordinamento valenza di mere specifiche tecniche che definiscono le caratteristiche (dimensionali, prestazionali, ambientali, di sicurezza, di organizzazione) di un prodotto, processo o servizio: natura che ne esclude l’assimilabilità agli atti normativi (direttive e regolamenti) emanati dagli organi dell’Unione Europea.
6. I ricorsi, principale ed incidentale, sono rigettati.
7. Il regolamento delle spese del grado segue la soccombenza, con condanna solidale del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, stante l’interesse comune alla causa, liquidazione dei compensi operata secondo tariffa, con riferimento allo scaglione relativo al valore della controversia (Euro 1.500) e distrazione in favore del procuratore di parte controricorrente, Avv. Giampaolo (OMISSIS), per dichiarazione di anticipo resa.
8. Atteso l’esito della lite, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – da parte dei ricorrenti, principali ed incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto, ove dovuto, rispettivamente per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Condanna il ricorrente principale ed il ricorrente incidentale, in solido tra loro, al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge, con distrazione in favore del difensore costituito, Avv. Giampaolo (OMISSIS), per dichiarazione di anticipo resa.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 15 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2023.