Il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di Regolamento sulla raccolta e trattamento dei dati registrati nel Ced (Consiglio di Stato, Sez. Atti Norm., Parere 9 dicembre 2019, – n. 3095).

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Consultiva per gli Atti Normativi

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Carmine Volpe, Presidente

Dott. Vincenzo Lopilato, Consigliere

Dott. Paolo Carpentieri, Consigliere

Dott. Oreste Mario Caputo, Consigliere

Dott. Giuseppe Chinè, Consigliere, Estensore

NUMERO AFFARE 01528/2019

OGGETTO:

Ministero dell’interno.

Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante “Regolamento concernente la disciplina delle procedure di raccolta e trattamento dei dati e delle informazioni registrati nel Centro elaborazione dati di cui all’articolo 8 della legge 1 aprile 1981, n. 121 (*), in attuazione dell’articolo 57 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.

LA SEZIONE

Vista la nota prot. 19101 in data 18 ottobre 2019, con la quale il Ministero dell’interno – Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Visto il parere interlocutorio della Sezione n. 2932 del 22 novembre 2019;

Vista la nota prot. 27/A2015-000349, del 29 novembre 2019, del Ministero dell’interno – Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Dott. Giuseppe Chiné;

Premesso:

1. Con nota prot. 19101 del 18 ottobre 2019 il Ministero dell’interno – Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sullo schema di regolamento in oggetto, la cui provvista si rinviene nell’art. 57, comma 1, del Codice in materia di protezione dei dai personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, secondo cui “Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sono individuate le modalità di attuazione dei principi del presente codice relativamente al trattamento dei dati effettuato per le finalità di cui all’articolo 53 dal Centro elaborazione dati e da organi, uffici o comandi di polizia, anche ad integrazione e modifica del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, n. 378, e in attuazione della Raccomandazione R (87) 15 del Consiglio d’Europa del 17 settembre 1987, e successive modificazioni”.

2. Nella relazione che accompagna la richiesta di parere, il Ministero precisa che, al fine di dare attuazione al predetto art. 57, comma 1, si è ritenuto opportuno affidare a due distinti regolamenti la definizione delle “modalità di attuazione” dei principi e delle regole a garanzia del trattamento dei dati personali:

1) il primo, di contenuto generale, riferito a tutti i trattamenti effettuati da “organi, uffici e comandi di polizia”, incluso il Centro Elaborazione Dati (CED), è stato adottato con decreto del Presidente della Repubblica 15 gennaio 2018, n. 15;

2) il secondo (il cui schema si sottopone al parere del Consiglio di Stato), specificamente riferito alle attività del CED, descrive con maggiore dettaglio “modalità di attuazione” già disciplinate nel regolamento sub a) e riscrive anche il regolamento di attuazione dell’art. 11 della legge n. 121 del 1981, abrogando l’ormai risalente decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982, non più conforme al mutato quadro normativo, interno ed internazionale.

Nella medesima relazione, il Ministero elenca le sopravvenienze legislative che hanno inciso la materia già disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982, determinando l’esigenza di un nuovo intervento regolamentare.

3. Lo schema di regolamento è articolato in cinque Capi e si compone di ventitré articoli.

Il Capo I (Principi generali) consta di quattro articoli; il Capo II (Procedure per la raccolta delle informazioni e dei dati) consta di sette articoli; il Capo III (Procedure per l’accesso e la comunicazione dei dati e relativo regime di autorizzazione) consta di quattro articoli; il Capo IV (Controlli ai fini del rispetto della disciplina in materia di trattamento dei dati personali) consta di tre articoli; il Capo V (Disposizioni di attuazione e finali) consta di cinque articoli.

4. Lo schema di regolamento è stato deliberato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 3 ottobre 2019. Su di esso risulta acquisito il formale concerto del Ministro della giustizia con nota a firma del Capo dell’Ufficio Legislativo (d’ordine del Ministro) del 7 agosto 2019, prot. 8802.U.

Sul testo è stato altresì acquisito, ai sensi dell’art. 24, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, il parere del Garante per la protezione dei dati personali. Detto parere è stato deliberato nell’adunanza del 6 maggio 2019 e trasmesso al Ministero riferente con nota prot. 15526 del 9 maggio 2019.

Il testo inviato al Consiglio di Stato per il prescritto parere è accompagnato dalla relazione illustrativa, dalla relazione tecnica (verificata positivamente dalla Ragioneria Generale dello Stato), dall’analisi di impatto della regolamentazione-A.I.R. e dall’analisi tecnico normativa-A.T.N.

Nell’A.I.R. si evidenzia che, in virtù della natura dell’intervento normativo, incidente su procedure e strutture di pertinenza dei Dicasteri dell’interno e della giustizia, non si sono rese necessarie consultazioni con stakeholders esterni ai predetti Dicasteri, ma lo schema è stato preliminarmente condiviso tra tutte le Forze di polizia di cui all’art. 16 della legge n. 121 del 1981 sotto il coordinamento della Direzione Centrale della polizia criminale, articolazione del Dipartimento della pubblica sicurezza.

5. Con parere interlocutorio n. 2932/2019, reso all’adunanza del 21 novembre 2019, la Sezione ha preliminarmente osservato:

a) la disposizione dell’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003, recante la provvista dell’intervento regolamentare sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato, era stata oggetto di abrogazione espressa per effetto dell’art. 49, comma 2, del decreto legislativo n. 51 del 2018, a decorrere dall’8 giugno 2019. Successivamente, per effetto dell’art. 9, comma 1, del decreto legge 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2019, n. 77, ha ripreso “vigenza dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2019”;

b) la predetta norma, che autorizza l’intervento regolamentare, è del seguente tenore: “Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sono individuate le modalità di attuazione dei principi del presente codice relativamente al trattamento dei dati effettuato per le finalità di cui all’articolo 53 dal Centro elaborazioni dati e da organi, uffici o comandi di polizia, anche ad integrazione e modifica del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, n. 378, e in attuazione della Raccomandazione R (87) 15 del Consiglio d’Europa del 17 settembre 1987, e successive modificazioni”; di talché l’oggetto dell’emanando regolamento è delimitato con riferimento all’individuazione delle “modalità di attuazione” dei principi del decreto legislativo n. 196 del 2003 “relativamente al trattamento dei dati effettuato per le finalità di cui all’articolo 53”;

c) il citato art. 53 risulta non più vigente da tempo (dall’8 giugno 2018), in quanto oggetto di abrogazione espressa per effetto dell’art. 49, comma 1, del decreto legislativo n. 51 del 2018;

d) non sembrano rinvenibili disposizioni di rango primario successive che, come disposto dall’art. 9 del decreto legge n. 53 del 2019 in relazione all’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003, abbiano determinato la sopravvenienza degli effetti, seppure in via transitoria ed a termine, dell’art. 53 del decreto legislativo n. 196 del 2003;

e) a causa dell’abrogazione dell’art. 53, la vigente autorizzazione regolamentare contenuta nell’art. 57 – che continua a richiamare le “finalità” di cui all’art. 53 – non sembra poter spiegare effetti. L’ambito oggettivo dell’emanando regolamento non viene difatti delimitato dalla fonte di rango primario, in quanto il richiamo ad una norma abrogata, e pertanto ad oggi priva di effetti innovativi dell’ordinamento, non permette di stabilire quali siano le “finalità” dei trattamenti cui il legislatore intende riferirsi;

f) la predetta lacuna dell’autorizzazione regolamentare avrebbe potuto essere colmata mediante il varo di una disposizione come quella introdotta per l’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003, tesa a ripristinare, sebbene a termine, la vigenza dell’art. 53 nell’ordinamento giuridico sino all’emanazione del regolamento, ma ciò non sembra essere nel caso di specie avvenuto.

La Sezione, tenuto anche conto dell’assenza di elementi conoscitivi all’interno delle relazioni di accompagnamento dello schema di regolamento, ha pertanto sospeso l’emissione del parere e contestualmente richiesto al Ministero riferente di fornire documentati chiarimenti entro il termine del 2 dicembre 2019, con l’avviso che il parere definitivo sarebbe stato comunque reso all’adunanza del 5 dicembre 2019.

6. Con nota prot. n. 27/A2015-000349 del 29 novembre 2019, l’Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari del Ministero riferente ha fornito i documentati chiarimenti richiesti con il parere interlocutorio n. 2932/2019.

Considerato:

7.1 Con la nota recante i documentati chiarimenti richiesti dalla Sezione, il Ministero riferente deduce che “il richiamo all’art. 53, contenuto nell’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2006, aveva il solo scopo di delimitare l’ambito oggettivo di applicazione delle regole del Codice della privacy ai trattamenti effettuati per le cc.dd. “finalità di polizia”, giacché il comma 1 dell’art. 53 testualmente disponeva che: “Agli effetti del presente codice si intendono effettuati per finalità di polizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati all’esercizio dei compiti di polizia di prevenzione dei reati, di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché di polizia giudiziaria, svolti, ai sensi del codice di procedura penale, per la prevenzione e repressione dei reati”.

Difatti, il successivo comma 2 chiariva che, ai trattamenti “effettuati per finalità di polizia” ed a quelli individuati da un decreto del Ministro dell’interno, da adottarsi ai sensi del comma 3, non si applicavano le specifiche disposizioni elencate alle lettere a) e b) dello stesso art. 53. Tale ultimo decreto è stato adottato in data 24 maggio 2017 e pubblicato sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 145 del 24 giugno 2017 – Serie generale.

Pertanto, secondo il Ministero riferente, la disposizione dell’art. 53, relativa ai trattamenti per “finalità di polizia”, attualizzata alla luce della normativa sul trattamento dei dati personali successivamente intervenuta, “risulta nella sostanza “trasfusa”…nel d.lgs. 18 maggio 2018, n. 51, recante <<Attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio>>”.

In particolare, il comma 2 dell’art. 1 del citato decreto legislativo n. 51 del 2018 avrebbe riproposto “nella sostanza, attualizzandola alla disciplina comunitaria introdotta dalla direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, la previsione contenuta nel richiamato art. 53 del d.lgs. n. 196 del 2003”.

Di qui la conclusione del Ministero secondo cui “non sarebbe stato possibile da parte del legislatore prevedere l’ultravigenza anche dell’art. 53, com’è accaduto per l’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003 – ad opera, prima dell’art. 49 del decreto legislativo n. 51 del 2018 (fino all’8 giugno 2019) e, poi, a norma dell’art. 9, comma 1, del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2019, n. 77 (fino al 31 dicembre 2019) – in quanto si sarebbe venuta a determinare la contestuale vigenza di due disposizioni (l’art. 53 del decreto legislativo n. 196 del 2003 ed il sopra richiamato art. 1 del decreto legislativo n. 51 del 2018) che sarebbero venute a sovrapporsi”.

7.2 Inoltre, richiamando alcuni passaggi del parere espresso dalla Sezione sullo schema di regolamento poi diventato decreto del Presidente della Repubblica n. 15 del 2018, il Ministero sostiene che “il potere regolamentare ex art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003 non può ritenersi esaurito in ragione dell’avvenuta abrogazione del surrichiamato art. 53 del Codice della privacy, in quanto esso trova oggi il proprio perimetro applicativo, per un verso, nel più volte richiamato art. 1 del decreto legislativo n. 51 del 2018, che ha nella sostanza “riproposto” l’abrogato art. 53 del decreto legislativo n. 196 del 2003, e, per altro verso, nella necessità di dare <<…attuazione dell’art. 11 della legge 1 aprile 1981, n. 121>>, disposizione finalizzata alla <<…sostituzione dell’ormai risalente decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1982, nr. 378>>”.

7.3 A supporto della tesi sostenuta, il Ministero evidenzia che, ove si ritenesse non utilizzabile l’art. 1 del decreto legislativo n. 51 del 2018 in luogo dell’abrogato art. 53 del Codice della privacy per delimitare l’ambito oggettivo dell’intervento regolamentare, dovrebbe giungersi all’incongrua conclusione che la disposizione contenuta nel comma 2 dell’art. 49 del decreto legislativo n. 51 del 2018 non avrebbe avuto ab origine alcuna possibilità di concreta applicazione, posto che il comma 1 dello stesso art. 49 già allora abrogava, contestualmente all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 51 del 2018, il richiamato art. 53.

7.4 Da affatto diverso punto di osservazione, il Ministero aggiunge che l’art. 9, comma 1, del decreto legge n. 53 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2019, nella parte in cui stabilisce che l’art. 57 “…riprende vigenza dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2019”, non ha solo prorogato il termine di cessazione dell’efficacia dell’art. 57, “ma ha espressamente previsto la <<reviviscenza>> della citata disposizione” (ossia l’art. 53)manifestando in tal modo la volontà di riattribuire il potere regolamentare nella materia”. Tale conclusione, ad avviso del riferente, troverebbe conferma nella Relazione illustrativa al predetto decreto-legge, nella quale si precisa che il termine originario dell’8 giugno 2019, previsto per la cessazione dell’efficacia dell’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003, “si è rivelato insufficiente, essendo emersa medio tempore l’esigenza di adeguare l’emanando decreto presidenziale alle ulteriori prescrizioni introdotte nell’ordinamento dal decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132”.

8. Prima di esaminare i chiarimenti forniti dal Ministero riferente in riscontro al parere interlocutorio n. 2932 del 2019, la Sezione intende ribadire che lo schema di regolamento sottoposto al parere del Consiglio di Stato, come peraltro si evince inequivocabilmente dal contenuto dell’art. 1 del predetto schema (oltre che dal titolo, dal preambolo e da tutte le relazioni trasmesse a corredo del testo), costituisce applicazione dell’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003. Pertanto, per espressa previsione dell’emanando regolamento e per dichiarata volontà dell’Amministrazione proponente, è in quest’ultima norma di rango primario che occorre individuare l’autorizzazione della potestà regolamentare in concreto esercitata.

Tale disposizione, come si è già evidenziato nel parere interlocutorio n. 2932 del 2019, delimita l’oggetto dell’intervento regolamentare con riferimento all’individuazione delle “modalità di attuazione” dei principi del decreto legislativo n. 196 del 2003 “relativamente al trattamento dei dati effettuato per le finalità di cui all’articolo 53”.

Poiché quest’ultima norma, richiamata per relationem da quella recante l’autorizzazione dell’intervento regolamentare, è stata abrogata – per effetto dell’art. 49, comma 1, del decreto legislativo n. 51 del 2018 – a decorrere dall’8 giugno 2018, ne discende con assoluta evidenza l’impossibilità, ad oggi, di individuare, sulla base del chiaro tenore letterale della disposizione legislativa, le “finalità” cui il legislatore intende riferirsi per perimetrare l’ambito applicativo del regolamento.

Tale lacuna della norma autorizzativa della potestà regolamentare, ad avviso della Sezione, si ripercuote sulla legittimità del potere normativo nella specie esercitato, in quanto – come meglio si dirà nel prosieguo, esaminando analiticamente gli argomenti spesi dal Ministero riferente – in ossequio ai principi di legalità e di gerarchia delle fonti, non è dato all’amministrazione, a fronte di una chiara volontà legislativa scolpita in una disposizione dal tenore letterale univoco, ricercare aliunde, ed operando sulla base di parametri ermeneutici incerti, i criteri ed i limiti ovvero, come nel caso di specie, le “finalità” dell’intervento regolamentare.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha invero da tempo chiarito che le carenze della norma autorizzativa della potestà regolamentare, al di là ed oltre la verifica sulla legittimità costituzionale della fonte primaria da parte della Consulta, si traducono normalmente in vizi dell’atto regolamentare, deducibili dinanzi al giudice amministrativo.

E ciò perché, diversamente considerando:

a) verrebbe meno il fondamentale principio di cui all’art. 117, comma primo, della Costituzione che, seppure riferito alla potestà legislativa, nondimeno è suscettivo di generale applicazione con più ampio riferimento alla potestà normativa, anche regolamentare;

b) ne verrebbe pregiudicato il diritto alla tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive, ex artt. 24 e 113 della Costituzione, sia in quanto il sindacato giurisdizionale sui regolamenti sarebbe escluso da parte della Corte costituzionale e, nel contempo, si presenterebbe estremamente labile (per difetto o insufficienza del parametro legislativo), sia in quanto, a fronte di un regolamento ritenuto lesivo, non si può costringere la parte ad attendere una pronuncia della Consulta sulla norma primaria autorizzativa della potestà regolamentare (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 2012, n. 1120; Id. 10 luglio 2013, n. 3675).

9.1 Alla luce delle considerazioni che precedono può essere esaminata la principale tesi sostenuta dal Ministero riferente, secondo cui l’abrogata disposizione dell’art. 53, relativa ai trattamenti per “finalità di polizia”, sarebbe stata sostanzialmente trasfusa nell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 51 del 2018, recante <<Attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio>>.

Questa trasposizione spiegherebbe, ad avviso del Ministero, perché il legislatore abbia deciso di far rivivere soltanto l’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003, omettendo di intervenire sull’art. 53, in quanto l’eventuale reviviscenza di quest’ultima norma avrebbe determinato una sovrapposizione e duplicazione di norme.

9.2 Osserva in merito la Sezione che, sebbene il vigente art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 51 del 2018 circoscriva l’ambito applicativo del medesimo decreto facendo riferimento ai trattamenti dei dati personali svolti dalle autorità competenti per finalità “di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati, o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica” (finalità pertanto sostanzialmente, anche se non formalmente, coincidenti con quelle indicate nell’abrogato art. 53), tale disposizione rimane formalmente scollegata dalla fonte del potere regolamentare nella specie esercitato. Ed invero, giova ribadirlo, il vigente art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003, fatto rivivere dall’art. 9 del decreto legge n. 53 del 2019 sino al 31 dicembre 2019, non menziona affatto il decreto legislativo n. 51 del 2018, ma richiama espressamente, ed in via esclusiva, l’abrogato art. 53.

In tale cornice normativa, non può essere riconosciuto all’amministrazione titolare della potestà regolamentare di sostituirsi al legislatore, riempiendo di significati la fonte di detto potere, giacché ne conseguirebbe un’evidente violazione del principio di legalità.

E ciò tanto più che in situazioni analoghe a quella in esame, di avvenuta abrogazione di norme contenute nel Codice della privacy, è stato lo stesso legislatore a dettare la disciplina transitoria applicabile, indicando come avrebbero dovuto essere applicate eventuali disposizioni legislative previgenti recanti rinvio a norme abrogate. Ci si riferisce, in particolare, all’art. 22, comma 6, del decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 [“Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)”], secondo cui “Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i rinvii alle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003, abrogate dal presente decreto, contenute in norme di legge e di regolamento, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 e a quelle introdotte o modificate dal presente decreto, in quanto compatibili”.

Nel caso di specie, come peraltro si evince anche dalla nota del Ministero riferente prot. 27/A2015-000349 in data 29 novembre 2019, non si rinvengono norme transitorie di contenuto analogo, di talché – anche da questo diverso punto di osservazione – deve ritenersi inibito all’amministrazione, nel silenzio della legge, forgiare un criterio di collegamento, per forza di cose incerto ed opinabile, tra l’abrogato art. 53 e una qualsiasi altra norma sia interna che esterna al decreto legislativo n. 196 del 2003.

9.3 Del pari privo di pregio appare poi l’argomento speso dal Ministero per sostenere che la potestà regolamentare nella specie esercitata potrebbe trovare, tra l’altro, fonte nell’art. 11 della legge n. 121 del 1981, ed avrebbe quale finalità quella di sostituire l’ormai risalente decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982.

Se da un lato è innegabile che l’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003 autorizzi la fonte regolamentare anche ad integrare e modificare il decreto del Presidente della Repubblica n. 378 del 1982, regolamento emanato ai sensi dell’art. 11 della legge n. 121 del 1981, dall’altro risulta evidente che il citato art. 11, recante un contenuto affatto diverso da quello dell’art. 57, non possa radicare la potestà regolamentare nella specie esercitata dall’Amministrazione.

9.4 Quanto alla tesi suggestiva – ma chiaramente contraddittoria rispetto alle precedenti considerazioni del Ministero riferente concernenti il richiamo alle “finalità” del trattamento dei dati contenute nell’art. 1 del decreto legislativo n. 51 del 2018 – secondo cui l’art. 9, comma 1, del decreto legge n. 53 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2019, nella parte in cui stabilisce che l’art. 57 “…riprende vigenza dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2019”, non avrebbe soltanto prorogato il termine di cessazione dell’efficacia dell’art. 57, bensì previsto la <<reviviscenza>> del citato art. 53, manifestando in tal modo la volontà di riattribuire il potere regolamentare nella materia, essa si scontra con gli argomenti già sopra illustrati.

Osserva, invero, la Sezione che qui non si tratta di rinnegare la chiara volontà legislativa di prorogare il termine originario dell’8 giugno 2019 previsto per la cessazione dell’efficacia dell’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003, rivelatosi insufficiente per l’adozione del regolamento ivi previsto (essendo, peraltro, emersa medio tempore l’esigenza di adeguare l’emanando regolamento alle ulteriori prescrizioni introdotte nell’ordinamento dal decreto-legge n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 132 del 2018), bensì di riconoscere una rilevante lacuna della norma di rango primario attributiva della potestà regolamentare, originata, probabilmente, da un’imperfetta sua formulazione.

Deve, difatti, prendersi atto che la norma che ha determinato la reviviscenza dell’art. 57 l’ha fatto senza far rivivere l’abrogato art. 53, ovvero, laddove si fosse inteso seguire la via indicata dal Ministero riferente, senza sostituire il richiamo all’art. 53 con quello all’art. 1 del decreto legislativo n. 51 del 2018, o ad altra vigente disposizione legislativa recante le “finalità” del trattamento dei dati oggetto dell’intervento regolamentare.

Ne è scaturita, come è stato più volte evidenziato, una norma autorizzativa della potestà regolamentare imperfetta, in cui il perimetro dell’intervento normativo secondario, pur delimitato sul piano formale dal richiamo a determinate “finalità” del trattamento di dati personali, rimane sostanzialmente indefinito, a causa dell’avvenuta abrogazione della disposizione cui il legislatore intendeva rimettere la funzione di individuazione delle citate finalità.

Con l’ulteriore corollario, particolarmente rilevante in questa sede consultiva, che la potestà regolamentare che si intende esercitare non si appalesa conforme alla norma legislativa autorizzativa, in quanto, come peraltro dichiarato dal Ministero riferente, le “finalità” dei trattamenti di dati personali disciplinati nel testo regolamentare sono state desunte da norme diverse da quella puntualmente richiamata nell’art. 57 del decreto legislativo n. 196 del 2003.

9.5 Non ha rilievo, infine, l’ulteriore argomento del Ministero riferente, secondo cui si dovrebbe giungere alla conclusione – dallo stesso ritenuta incongrua – che la disposizione contenuta nel comma 2 dell’art. 49 del decreto legislativo n. 51 del 2018 non avrebbe avuto ab origine alcuna possibilità di concreta applicazione, posto che il comma 1 del medesimo art. 49 già allora abrogava, contestualmente all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 51 del 2018, il richiamato art. 53.

La Sezione osserva, al riguardo, che la potestà regolamentare in oggetto non è stata comunque esercitata illo tempore (dall’8 giugno 2018 all’8 giugno 2019) e, anche se lo fosse stata, le considerazioni di questo Consiglio non sarebbero potute essere diverse.

10. In conclusione, la Sezione ritiene che l’iter regolamentare non possa allo stato avere ulteriore corso.

P.Q.M.

nelle suesposte considerazioni è il parere della Sezione.

Così deciso nell’Adunanza di Sezione del giorno 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 9 dicembre 2019.

(*) Legge 121 del 1 Aprile 1981