Il datore di lavoro percepisce dall’INPS un conguaglio non dovuto: è indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 25 luglio 2022, n. 29674).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente –

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere –

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere –

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere –

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS) Sara, nata a Barcellona Pozzo di Gotto il 26/12/19xx;

avverso la sentenza del 18/9/2020 della Corte di appello di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere, Dott.ssa Emilia Anna Giordano;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Tomaso Epidendio che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

lette le conclusioni del difensore della parte civile, avvocato Rocco (OMISSIS), che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata e la liquidazione delle spese del presente grado;

lette le conclusioni dell’avvocato Giuseppe (OMISSIS), difensore di Sara (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Messina ha confermato la condanna di Sara (OMISSIS) alla pena di mesi otto di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. perché, quale rappresentante legale della (OMISSIS) S.R.L. datore di lavoro, mediante l’utilizzo e la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi ovvero comunque attestanti cose non vere e segnatamente esponendo falsamente all’INPS di aver corrisposto al lavoratore (OMISSIS) Mario somme a titolo di indennità per malattia per il periodo dal 4 novembre 2013 al 31 maggio 2014 quali anticipazioni effettuata per conto del medesimo istituto, somme in realtà mai corrisposte al predetto lavoratore, conseguiva indebitamente il conguaglio degli importi fittiziamente indicati con le altre somme dovute all’ente pubblico a titolo di contributi previdenziali e/o assistenziali.

L’imputata veniva, altresì, condannata al risarcimento del danno in favore della parte civile, Mario (OMISSIS).

2. Con i motivi di ricorso di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, l’imputata ricorrente denuncia cumulativi vizi di motivazione, oltre motivazione apparente, nella enucleazione dell’elemento oggettivo del reato.

Deduce che, attraverso la condotta descritta nell’imputazione, l’I.N.P.S. non può essere individuato quale persona danneggiata dal reato dal momento che la società (OMISSIS) non ha conseguito alcun contributo finanziamento o mutuo agevolato ma si è semplicemente limitata a non corrispondere al beneficiario le indennità che gli erano dovute: il fatto avrebbe, dunque, potuto essere sussunto nella fattispecie di appropriazione indebita.

Con il secondo motivo di ricorso denuncia la carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione sull’importo conseguito poiché, in presenza di una somma inferiore a euro 3.999,96, il fatto integra una mera violazione amministrativa: secondo la sentenza impugnata il valore indicato dalla norma incriminatrice deve ritenersi superato sulla base dei calcoli effettuati dal tribunale e degli importi risultante dalla dalle busta paga, elementi che in realtà non sono enucleabili dalla sentenza di primo grado.

3. Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 137 del 28 ottobre 2020 convertito in legge n. 176 del 18 dicembre 2020 e i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto dell’art. 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge n. 15 del 25 febbraio 2022.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ fondato il secondo motivo di ricorso con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, revoca delle statuizioni civili e rigetto della richiesta di liquidazione delle spese del presente grado avanzata dalla parte civile.

2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

E’ stata controversa, nella giurisprudenza di legittimità, la configurabilità del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. nelle fattispecie come quella in esame, discussione alfine superata con l’affermazione che la condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter cod. pen., e non quelli di truffa o di appropriazione indebita o di indebita compensazione ex art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Sez. 2, n. 15989 del 16/03/2016, Fiesta, Rv. 266520).

Centrale, nella ricostruzione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 316- ter cod. pen., il rilievo che la fattispecie (confr. Corte Cost. ordinanza n. 95 del 2004) prevede un reato a carattere residuale e sussidiario rispetto all’art. 640-bis cod. pen., ed è diretta ad assicurare una tutela aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella offerta agli stessi interessi dall’art. 640-bis, coprendo in specie gli eventuali margini di scostamento – per difetto – del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode.

Le Sezioni Unite sono intervenute nella materia con due sentenze e, in particolare, dapprima per precisare il perimetro della fattispecie, rispetto al delitto di truffa aggravata (Sez. U., n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962) e, in seguito, (Sez. un., n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto, Rv. 249104), valorizzando la collocazione dell’art. 316-ter cod. pen. tra i delitti contro la pubblica amministrazione e gli elementi descrittivi che compaiono tanto nella rubrica che nel testo della norma, per affermare che la volontà del legislatore è quella di perseguire la percezione sine titulo delle erogazioni conseguite in via privilegiata dagli enti pubblici e per precisare il concetto stesso di “erogazione”.

Nella nozione di erogazione, si è affermato, rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili agli enti pubblici realizzate non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità (nella specie, le Sezioni Unite avevano ritenuto che integra il delitto di cui all’art. 316 ter cod. pen., anche la indebita percezione di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, tra le quali, in particolare, quelle concernenti la esenzione del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere).

Così configurata la fattispecie criminosa di cui all’art. 316 ter cod. pen., deve ritenersi che nella stessa deve essere inquadrata la condotta del datore di lavoro che, mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all’istituto previdenziale a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni.

Una condotta che si perfeziona e si consuma nel momento in cui il datore di lavoro indica nel flusso UNIEMENS mensile di avere anticipato al lavoratore prestazioni I.N.P.S., invece non erogate a quest’ultimo, e conguagli, gli importi di tali somme con quelle dovute per quel mese a titolo di contributi previdenziali: il contribuente- datore di lavoro realizza la condotta tipica nel momento in cui ottiene un’erogazione indebita da parte dell’ente pubblico, sotto forma di “risparmio di spesa” rispetto al quantum che avrebbe invece dovuto versare all’ente previdenziale, se non avesse denunciato, compilando il flusso informativo di sua spettanza, in termini non veritieri.

Il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., sulla scorta del modulo operativo di versamento delle indennità in favore dei lavoratori e della successiva operazione di conguaglio viene infatti commesso mensilmente, al momento, cioè, della dichiarazione all’I.N.P.S. attraverso la quale il datore di lavoro computa le somme corrisposte ai lavoratori – a titolo di indennità di malattia e per le quali funge da cassa di pagamento, per conto dell’Istituto – e quelle dovute all’Istituto a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, operazioni che (un tempo affidate ai cd. modelli DM10) sono oggi contabilizzate attraverso una comunicazione informatica (flusso UNIEMENS) entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di competenza.

3. Con riguardo al superamento della soglia di punibilità, l’art. 316-ter, comma 3, cod. pen. collega espressamente detta soglia all’entità della «somma indebitamente percepita» – id est all’indebito vantaggio economico conseguente dalla condotta tipica di presentazione di una dichiarazione o di documentazione non fedele al vero – di tal che, in caso di comportamenti reiterati nel tempo, ai fini della rilevanza penale della condotta, occorre avere riguardo al risultato economico derivato da ciascuna delle condotte decettive produttive di un’erogazione non dovuta – in quanto integranti autonomamente reato – e non anche alla somma di essi.

Deve, quindi darsi continuità all’affermazione di questa Corte secondo la quale il superamento della soglia di punibilità indicata dall’art. 316-ter, comma 2, cod. pen. integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità, sicché è irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, in quanto rileva il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva (Sez. 6, n. 31223 del 24/06/2021, Ciccarini, Rv. 282105).

Nel caso in esame la motivazione della sentenza impugnata è apodittica e rinvia a quella di primo grado che, a propria volta, rimanda alla documentazione in atti, costituita dalle buste -paga riproducenti gli stipendi ed altri indennità corrisposti a Mario (OMISSIS) e dalle quali risulta che, a seguito di denuncia di malattia protrattasi dal 4 novembre 2013 al 31 maggio 2014, sarebbero stati corrisposti al lavoratore indennità ascendenti a euro 868, per il mese di novembre 2013; euro 1.207,88 per i mesi di dicembre 2013 e febbraio 2014; euro 1.258,21 per il mese di gennaio 2014 e euro 1.308,54 per il mese di marzo: importi che, mensilmente non raggiungono quello necessario al fine di integrare la soglia di punibilità e che possono, ove siano integrati tutti gli elementi costitutivi della corrispondente fattispecie, corrispondere ad un mero illecito amministrativo il cui accertamento compete all’I.N.P.S., istituto cui vanno trasmessi gli atti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Revoca le statuizioni civili.

Manda all’INPS per quanto di competenza.

Così deciso il 21 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.