Il detenuto che rifiuta il cibo in carcere, non può essere un motivo valido per ottenere gli arresti domiciliari (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 31 dicembre 2020, n. 37980).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSCIONI Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Roberto nato a VIBO VALENTIA il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 29/07/2020 del TRIB. LIBERTA’ di BRESCIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI;

lette le conclusioni del PG MARIA GIUSEPPINA FODARONI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Brescia respingeva l’istanza, presentata ai sensi degli artt. 299 e 275 comma 4 cod.proc.pen. nell’interesse di (OMISSIS) Roberto, di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari; il Tribunale del riesame di Brescia, con ordinanza del 29 luglio 2020, rigettava l’appello proposto; avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS), chiedendone l’annullamento.

1.1 Al riguardo il difensore del ricorrente deduce che era stata disposta perizia medico-legale nelle forme degli artt. 220 e seguenti cod.proc.pen. e che il perito, dopo aver interloquito con il consulente di parte al fine di condividere la documentazione clinica in possesso della difesa, non aveva inviato né al difensore, né al perito di parte alcunché, sicché il difensore aveva appreso dell’avvenuto deposito della perizia solo in forza del provvedimento emesso dal giudice di rigetto dell’istanza di sostituzione della misura cautelare, con lesione del diritto al contraddittorio ai sensi dell’art. 220 cod.proc.pen. (a cui l’art. 299 comma 4 ter cod.proc.pen. espressamente rinvia), visto che non era stato possibile formulare le osservazioni e riserve previste dall’art. 230 cod.proc.pen.

1.2 Il difensore eccepisce inoltre la violazione del diritto al contraddittorio in relazione agli artt. 127 comma 2 e 178 cod.proc.pen. per mancata concessione di un termine a difesa, a fronte della produzione in udienza da parte del Pubblico Ministero di un elemento probatorio nuovo oltre il termine indicato dall’art. 127 comma 2 cod.proc.pen. (costituito dalla intercettazione della conversazione telefonica intervenuta tra (OMISSIS) e il cugino, citata nell’ordinanza impugnata), nonché violazione dell’art. 266 cod.proc.pen. per l’omesso deposito dei decreti autorizzativi dell’intercettazione eseguita.

1.3 II difensore deduce contraddittorietà ed illogicità della motivazione addotta a sostegno del provvedimento di rigetto nel merito delle richieste difensive in relazione all’incompatibilità delle condizioni di salute dell’indagato con il regime carcerario, nonché violazione degli artt. 275-299 cod.proc.pen.:

– dopo aver affermato che “nessun dubbio sussiste circa la rilevanza delle patologie da cui è affetto (OMISSIS)”, il Tribunale, richiamando le osservazioni del perito, aveva ricondotto il rifiuto di cibo e cure di (OMISSIS) soltanto alla sua libera autodeterminazione, senza considerare che le osservazioni del perito non avevano affatto rescisso il nesso tra la determinazione dell’indagato di non alimentarsi e le numerose patologie psichiche dalle quali lo stesso era affetto;

– inoltre appariva evidente che solo una struttura dotata di centro clinico in grado di fronteggiare un ingravescente e repentino precipitare delle condizioni fisiche del ricorrente poteva dirsi adeguata a garantire la sua incolumità, e tale non era il reparto psichiatrico del carcere di Torino;

– era poi mancata totalmente una valutazione concreta della compatibilità delle condizioni di salute di (OMISSIS) con il regime carcerario, essendo stata tale valutazione demandata ad una autorità amministrativa (il D.A.P.) e non al giudice;

– infine, non vi era motivo di dubitare che la primaria ed urgente terapia consistente nella ripresa dell’alimentazione potesse essere ostacolata o non agevolata dalla scelta del regime domiciliare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

1.1 Relativamente al primo motivo di ricorso, questo Collegio intende dare continuità alla giurisprudenza secondo cui “in tema di custodia cautelare in carcere, nel caso di istanza difensiva di revoca o di sostituzione della misura basata sulle condizioni di salute incompatibili con la detenzione, la nomina del perito per gli accertamenti medici del caso, di cui all’art. 299, comma 4-ter, seconda parte, cod. proc. pen., non comporta necessariamente che il conferimento dell’incarico sia fatto in contraddittorio, atteso che il rinvio della disposizione da ultimo richiamata agli artt. 220 e ss. cod. proc. pen. non implica la pedissequa ed integrale applicazione delle prescrizioni relative alla perizia, spettando al giudice il compito di assicurare il nucleo fondamentale del contraddittorio tra le parti (tramite comunicazione alla difesa del provvedimento di nomina del perito e la partecipazione, previa rituale convocazione, dei consulenti di parte alle operazioni peritali), coniugando la terzietà e completezza dell’accertamento con forme e tempi compatibili con la gravità della situazione dedotta.”) (Sez. 1, Sentenza n. 46604 del 02/07/2019, Grande Aracri, Rv. 277492 – 01).

Nella motivazione della citata sentenza viene precisato che la previsione, contenuta nell’art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen. e derogatrice rispetto alla ordinaria disciplina della perizia, in forza della quale il perito deve tener conto del parere del medico penitenziario e riferire entro il termine di cinque giorni ovvero, nel caso di rilevata urgenza, non oltre due giorni dall’accertamento comporta che, alla luce del fatto che l’istituto è imperniato sulla celerità, “è logico ritenere che, ferma la sua finalità garantistica, non tutte le disposizioni in materia di perizia siano, in tale sede, suscettibili di applicazione e che, una volta assicurato il nucleo fondamentale del contraddittorio tra le parti, spetti al giudice procedente contemperare le concorrenti — e talora opposte — esigenze al fine di portare a compimento il sub-procedimento incidentale in forme e tempi tali da coniugare la terzietà e la completezza dell’accertamento, il rispetto del diritto di difesa e cadenze compatibili con la gravità della situazione dedotta.

In questa direzione si pone, del resto, la giurisprudenza di legittimità, a partire dalla già evocata sentenza delle Sezioni Unite n. 3 del 17/02/1999, Femia, che sottolinea come l’accertamento medico da affidare al perito, previsto dalla norma in esame, si caratterizza perché «scandito sotto il profilo temporale con la previsione di termini, con un oggetto ed un ambito di indagine e di valutazione puntualmente definiti», nonché in quanto «improntato al contraddittorio», cioè ispirato all’esigenza di rispettare la par condicio tra le parti processuali, esigenza che, va in questa sede rilevato, ben può essere sodisfatta a prescindere dalla pedissequa, e, in alcuni casi, potenzialmente disfunzionale, trasposizione dell’intera disciplina della perizia quale mezzo di prova.”

Correttamente, pertanto, il Tribunale di Brescia ha ritenuto che non vi fosse stata violazione del diritto al contraddittorio per il fatto che non fosse stata mandata alla difesa ed al consulente di parte una copia di cortesia della perizia o un avviso del deposito della stessa, posto che nessuna norma prevede tale adempimento (che comunque non sarebbe compatibile con il termine di cinque giorni dall’accertamento previsto dall’art. 299 comma 4 ter cod.proc.pen. entro il quale il perito deve riferire) e che il perito della difesa era stato posto in grado di partecipare alle operazioni peritali; il primo motivo di ricorso è, pertanto, infondato.

1.2 Relativamente al secondo motivo di ricorso, si ricorda come i secondo l’orientamento di questa Corte allorché con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452); l’applicazione del suddetto principio al caso in esame comporta proprio l’inammissibilità del motivo, posto che la prova di cui il ricorrente lamenta l’inutilizzabilità non ha avuto incidenza determinante nel giudizio di compatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime carcerario, essendo stato precisato dal perito che l’affermazione secondo cui (OMISSIS) aveva già sospeso le cure in costanza di regime domiciliare era tratta dalla documentazione sanitaria relativa all’ingresso presso il carcere di Monza, che dava atto di quali erano le condizioni di (OMISSIS) al momento del suo ingresso in carcere.

1.3 Quanto al merito, occorre, innanzitutto, chiarire che la prevalenza del divieto di custodia in carcere per i soggetti portatori di gravi malattie, quale previsto dal comma quattro-bis dell’art. 275 cod. proc. pen., rispetto alla presunzione d’adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, nei casi di cui al precedente terzo comma dello stesso articolo, opera solo a condizione che risulti accertato il presupposto costituito dall’incompatibilità delle condizioni di salute del soggetto con lo stato di detenzione, intendendosi per tale anche quello attuabile presso taluna delle “idonee strutture sanitarie penitenziarie” di cui è menzione nel comma quarto-ter del citato art. 275 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 22977 del 13/05/2008, Buononato, Rv. 240488).

Deve pertanto prima verificarsi se le condizioni di salute del detenuto siano incompatibili con il regime carcerario, ai sensi e per gli effetti previsti dal comma 4 bis dell’art. 275, e solo in tale ipotesi si può procedere all’accertamento della sussistenza delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che giustifichino l’applicazione della misura gradata degli arresti domiciliari presso un luogo di cura.

Nel caso in esame, dalla relazione del perito risulta che le condizioni di salute del prevenuto non sono incompatibili con la restrizione in carcere, in quanto non sono state ritenute sussistenti patologie psichiatriche tale da influire sulla scelta di (OMISSIS) di rifiutare il cibo; pertanto, alla luce del dato sopra evidenziato, correttamente il tribunale, con motivazione esente da vizi, ha rigettato l’appello, evidenziando come la presenza di una reparto specializzato in malattie psichiatriche presso il carcere di Torino consente di ritenere la struttura penitenziaria adeguata alle condizioni di salute di (OMISSIS).

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che respinge il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp.att. cod.proc.pen.

Così deciso il 26/11/2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.