REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg. ri Magistrati:
Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO – Presidente –
Dott. IRENE TRICOMI – Consigliere –
Dott. ROBERTO BELLÉ – Consigliere –
Dott. ANDREA ZULIANI – Rel. Consigliere –
Dott. ILEANA FEDELE – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15163/2019 R.G. proposto da
(omissis) (omissis)
-ricorrente-
contro
COMUNE DI PAGANI, in persona del vice – Sindaco pro tempore, domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’avv. Silvia Mastrangelo, che lo rappresenta e difende;
-resistente-
avverso la sentenza n. 627/2018 della Corte d’Appello di Salerno, depositata il 13.11.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.5.2024 dal Consigliere dott. Andrea Zuliani.
FATTI DI CAUSA
La ricorrente, dipendente del Comune di (omissis) dal 1984, ottenne dal Tribunale di Nocera Inferiore, in funzione di giudice del lavoro, sentenza di accertamento di avere svolto, a partire dal marzo 2003, mansioni rientranti nella superiore categoria D, pur essendo inquadrata in categoria C, con condanna generica del datore di lavoro al pagamento delle conseguenti differenze retributive, da quantificare in separato processo.
Passata in giudicato la sentenza e non avendo provveduto il Comune al pagamento, la lavoratrice si rivolse nuovamente al Tribunale di Nocera Inferiore, ottenendo decreto ingiuntivo per la somma capitale di € 21.016,14, riferita a differenze retributive, differenze per lavoro straordinario e indennità quale responsabile di unità operativa.
Il Comune di (omissis) propose opposizione al decreto ingiuntivo, che venne accolta dal Tribunale, previo esperimento di c.t.u., il cui esito aveva escluso l’esistenza di differenze a favore della lavoratrice tra quanto da lei percepito e quanto dovuto in forza del riconosciuto svolgimento di mansioni superiori.
La Corte d’Appello di Salerno confermò la decisione del Tribunale che era stata impugnata dalla lavoratrice.
Quest’ultima ha quindi proposto contro la sentenza di secondo grado ricorso per cassazione articolato in sei motivi.
Il Comune di (omissis) non si è difeso con controricorso, essendosi limitato a depositare tardivo atto di costituzione.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia «violazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro – art. 36 Cost., art. 2103 c.c., art. 8, comma 5, CCNL Personale delle Regioni ed Enti locali del 14.9.2000 e ss., con orientamento operativo ARAN».
Pacifico lo svolgimento delle mansioni superiori, perché accertato con sentenza passata in giudicato, la censura riguarda il metodo seguito dalla Corte d’Appello ( che ha confermato l’impostazione data sul punto dal c.t.u. e fatta propria dal giudice di primo grado) per calcolare le differenze retributive; metodo ritenuto non coerente con le disposizioni di legge e di contrattazione collettiva che si assumono violate.
1.1. Il motivo è fondato.
La Corte d’Appello ha negato alla ricorrente il diritto al pagamento di differenze retributive sul verificato presupposto che, negli anni di riferimento della domanda, tenuto conto degli incrementi della retribuzione iniziale maturati per l’anzianità di servizio maturata nella categoria C , la lavoratrice ha già ricevuto un importo complessivo non inferiore a quello che le sarebbe spettato applicando la retribuzione iniziale del la categoria D.
In sostanza, è stata calcolata la differenza tra la retribuzione che sarebbe spettata attribuendo alla lavoratrice la categoria D, livello economico D1, a decorrere dal 2003 e la retribuzione effettivamente percepita; si è quindi constatato che tale differenza è pari a zero, se non addirittura negativa, perché la lavoratrice aveva già raggiunto il livello economico C4 nel 2003 e il livello C5 dal 1°.1.2004.
A fronte della pretesa della ricorrente di ricevere comunque un pagamento ulteriore pari alla differenza tra livello economico D1 e livello economico C1 (ovverosia tra i livelli iniziali delle due categorie), in aggiunta a tutto quanto percepito, la Corte d’Appello ha motivato il rigetto con l’osservazione che «non solo tale dato nel caso di specie non corrisponde al vero, ma neppure può attribuirsi al lavoratore una indebita duplicazione di somme o una ingiustificata locupletazione, quando il trattamento economico di fatto erogato già copre l’intero quantum teoricamente spettante».
La ricorrente denuncia, in siffatta interpretazione, una violazione, in particolare, dell’art. 8, comma 5, del CCNL del Comparto Regioni e Autonomie locali siglato il 14.9.2000 , in forza del quale «Il dipendente assegnato alle mansioni superiori ha diritto alla differenza tra il trattamento economico iniziale previsto per l’assunzione nel profilo rivestito e quello iniziale corrispondente alle mansioni superiori di temporanea assegnazione, fermo rimanendo la posizione economica di appartenenza e quanto percepito a titolo di retribuzione individuale di anzianità».
Tale disposizione – con la quale non si è in alcun modo confrontata la motivazione della sentenza impugnata – è chiarissima nel senso invocato dalla ricorrente: al lavoratore adibito a mansioni superiori rispetto al suo inquadramento spetta la differenza tra i trattamenti iniziali delle due categorie, «fermo [recte: ferma] rimanendo la posizione economica di appartenenza e quanto percepito a titolo di retribuzione individuale di anzianità». Come si legge nel comma 1, l’art. 8 del CCNL «completa la disciplina delle mansioni prevista dall’art.56, commi 2, 3 e 4 del d .lgs. n. 29/1993 per la parte demandata alla contrattazione».
Il testo dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993 venne riprodotto, pressoché invariato, nell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, al quale deve quindi intendersi ora riferito il rinvio contenuto nella disposizione contrattuale.
L’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, così come prima l’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, disciplina due diverse ipotesi di espletamento di mansioni superiori: la prima (comma 2) legittima, perché temporanea e giustificata da «obiettive esigenze di servizio»; la seconda (comma 5), non consentita, perché avvenuta «Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2».
Di questo secondo tipo di assegnazione a mansioni superiori la disposizione di legge sancisce la nullità, ma con diritto del lavoratore al pagamento della «differenza di trattamento economico con la qualifica superiore» (e con responsabilità erariale del dirigente che abbia disposto l’illegittima assegnazione a mansioni superiori «con dolo o colpa grave»).
L’ipotesi qui in esame è chiaramente la seconda (comma 5), perché la ricorrente venne illegittimamente assegnata a mansioni corrispondenti alla categoria superiore per un lungo periodo pluriennale, sicuramente al di fuori delle temporanee esigenze di servizio previste e consentite dal comma 2.
Da ciò consegue che l’invocato art. 8, comma 5, del CCNL non trova diretta applicazione nel caso di specie, perché quella disposizione contrattuale «completa la disciplina delle mansioni prevista dall’art.56, commi 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 29/1993 » (ora art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001).
Non viene richiamato il comma 5 dell’art. 56 e ciò coerentemente con il fatto che la disciplina contrattuale integra quella della legge statale «per la parte demandata alla contrattazione». E nel comma 6 dell’art.52 del d.lgs. n. 165 del 2001 (così come prima nell’analogo comma 6 dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993) si legge che «I …contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4».
La questione si pone, quindi, direttamente al livello della interpretazione dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale dispone sinteticamente che «al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore», con implicito riferimento –in mancanza di altre indicazioni –al medesimo trattamento già menzionato nel precedente comma 4, ove si legge, non meno sinteticamente, che «il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore».
Ebbene, l’interpretazione proposta dalla ricorrente – sia pure attraverso la valorizzazione della disposizione del contratto collettivo che non è direttamente applicabile al suo caso – è quella più corretta, perché è aderente al concetto di differenza di trattamento economico tra qualifiche, e quindi tra previsioni normative astratte, e non tra quanto normativamente previsto per una qualifica e quanto concretamente versato a titolo di retribuzione a un determinato lavoratore.
Inoltre, la diversa interpretazione fatta propria dalla Corte d’Appello di Salerno porterebbe a una sostanziale legittimazione dell’attribuzione in via di fatto di mansioni di categoria superiore a dipendenti che, per l’anzianità maturata nella categoria inferiore, non avrebbero diritto ad alcuna differenza retributiva, aggirando così l’obbligo di avviare tempestivamente le procedure per la copertura dei posti vacanti, come voluto dallo stesso art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, e senza alcun rischio di responsabilità patrimoniale dei dirigenti che assegnano in questo modo le mansioni superiori (non essendoci danno da risarcire, in mancanza di maggiori per impegni di spesa per la pubblica amministrazione).
Né vi è ragione di ravvisare, nel riconoscimento del diritto alla differenza tra i trattamenti economici iniziali delle due categorie, una «ingiustificata locupletazione», come paventato nella sentenza impugnata.
Infatti, la maggiorazione retributiva rispetto al reddito percepito si giustifica proprio perché quel reddito sarebbe stato dovuto anche per lo svolgimento di mansioni corrispondenti al proprio inquadramento; sicché lo svolgimento, invece, di mansioni riconducibili alla categoria superiore rappresenta, di per sé, una valida giustificazione per un pagamento ulteriore.
Con il che non si intende dire che un pagamento ulteriore sia, in questi casi, imposto dall’art. 36 della Costituzione, ovverosia richiesto per assicurare al lavoratore una «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro».
In senso contrario, infatti, si è più volte espressa la Corte costituzionale con riferimento alla diversa, specifica disciplina di legge riservata agli assistenti amministrativi del settore scolastico incaricati di svolgere le mansioni superiori di direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) (v. Corte cost. ord. n. 78/2024, che richiama e ribadisce quanto statuito nella sentenza n. 71/2021).
Semplicemente si deve constatare l’assenza di una disposizione analoga a quella – ritenuta costituzionalmente legittima – di cui all’art. 1, comma 45, della legge n. 228 del 2012 («La liquidazione del compenso per l’incarico di cui al comma 44 è effettuata ai sensi dell’articolo 52, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in misura pari alla differenza tra il trattamento previsto per il direttore dei servizi generali amministrativi al livello iniziale della progressione economica e quello complessivamente in godimento dall’assistente amministrativo incaricato »), che proprio in quanto norma speciale, dettata per una particolare categoria di lavoratori e di incarichi per mansioni superiori, dimostra che la regola generale non può che essere un’altra.
In definitiva, il motivo di ricorso è fondato, anche se non esattamente per la violazione dei parametri normativi indicati dalla ricorrente, bensì per violazione dell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, interpretato in conformità a quanto disposto dall’art. 8, comma 5, del CCNL Comparto Regioni e Autonomie locali con riferimento all’analoga fattispecie del comma 2 del medesimo art. 52.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia «erroneo e/o omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rilevato ed eccepito sin dal primo grado dalla difesa della sig.ra (omissis), relativo:
a) alle errate risultanze cui è pervenuto il c.t.u. nella perizia disposta dal Tribunale Lavoro Nocera Inferiore;
b) all’omesso riscontro alle osservazioni/chiarimenti richiesti e/o all’omesso riscontro a tutte le eccezioni sollevate in ordine alle modalità di calcolo ed ai parametri normativi usati per la stesura dell’elaborato peritale (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)».
2.1. Il motivo, in quanto volto nuovamente a censurare, sotto altro profilo, il confronto effettuato dal giudice d’appello tra retribuzione percepita e retribuzione iniziale della categoria superiore, rimane assorbito dall’accoglimento del motivo precedente.
3. E altrettanto vale per il terzo motivo, che è rubricato «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., perché – facendo proprie le risultanze peritali – ha erroneamente dichiarato compensate somme spettanti alla lavoratrice (pari ad € 87,39 per straordinario ed € 6.249,99 per l’indennità di responsabilità d’ufficio, così per un totale di € 6.337,38), con la somma di € 5.197,73 (indicata dal c.t.u. quale “differenza negativa” per le retribuzioni superiori effettuate dalla dipendente (omissis)), compensazione giammai richiesta da alcuna delle parti in causa (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)».
4. Il quarto motivo censura «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., perché ha erroneamente dichiarato non dovute le somme richieste a titolo di “straordinario” nonostante la mancata eccezione sul punto da parte dell’Ente Comunale che nei propri atti si doleva solo della richiesta d’indennità di U.O., art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
4.1. Il motivo riguarda, in particolare, le differenze retributive per lavoro straordinario ed è inammissibile, perché la ricorrente – nel mentre denuncia un vizio di extrapetizione rispetto alle eccezioni sollevate dal Comune – non riporta neppure per sintesi le difese del Comune, in palese violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. («Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: … la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e l’illustrazione del contenuto rilevante degli stessi»).
5. Con il quinto motivo si denuncia la «violazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro – l’art. 36 Cost., art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001, perché ha erroneamente ritenuto non dovute alla lavoratrice le “indennità di Responsabile U.O.” in quanto non riconosciute nel giudizio definito con sentenza n. 367/2014 (che ha dato luogo alla controversia qui trattata), art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
5.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché – nel mentre contesta l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui nel precedente giudizio non vi era stata domanda, né tanto meno pronuncia, su un diritto al pagamento dell’indennità di responsabilità di unità operativa –non riporta il contenuto della sentenza passata in giudicato (nel precedente giudizio sull’an debeatur), come sarebbe stato necessario per rendere la censura specifica e conforme al già citato disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. Inoltre, non viene colto (né, quindi, censurato) il decisum della sentenza impugnata laddove la Corte d’Appello ricorda che le indennità per le specifiche responsabilità richiedono la loro definizione da parte della contrattazione collettiva integrativa decentrata e rileva che a tale contrattazione la ricorrente non ha fatto alcun riferimento.
6. Infine il sesto motivo è rubricato «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 134, comma 3, d.lgs. n. 267 del 2000 (T.U.E.L.) e dell’art. 124 d.lgs. n. 267 del 2000, art. 1988 c.c., perché ha escluso che la nota del Comune del 23.1.2015 e la delibera del Consiglio, attestanti le “somme fuori bilancio” conseguenti alla sentenza n. 367/2014, potessero avere valore vincolante per l’Ente atteso che dovevano considerarsi meri “atti esplorativi circa l’eventuale ed ipotetico onere finanziario addebitabile all’Ente in via provvisoria” – art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
La ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia attribuito valore vincolante agli atti (“nota” 23.1.2015 e delibera consiliare su destinazione di somme fuori bilancio), nei quali il Comune di (omissis) aveva dato per presupposta l’esistenza del debito nei confronti della sua dipendente.
6.1. Il motivo è infondato, perché gli atti unilaterali del Comune non possono rappresentare una legittima fonte del diritto della lavoratrice al pagamento di corrispettivi che non siano previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Infatti, secondo costante orientamento di questa Corte, nel pubblico impiego privatizzato –nel quale il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva –non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore per il lavoratore (Cass. nn. 31387/2019; 16150/2024).
Inoltre, anche in una prospettiva prettamente civilistica, laddove si volesse ravvisare negli atti del Comune di (omissis) una «promessa di pagamento», questa, ai sensi dell’art. 1988 c.c., non sarebbe, di per sé, una autonoma fonte di obbligazione (art.1173 c.c.), ma avrebbe soltanto l’effetto di sollevare il destinatario della promessa dall’onere di provare il fatto generatore del suo diritto. Fatto generatore che, nel caso di specie, rimane quello accertato nella sentenza passata in giudicato, che – second o l’interpretazione che ne ha dato la Corte d’Appello nel presente processo – riconobbe solo lo svolgimento di mansioni corrispondenti ad una categoria superiore, con condanna generica e riserva di quantificazione.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono, la decisione impugnata deve essere cassata per l’accoglimento del solo primo motivo, con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, la quale provvederà altresì a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.
Il giudice del rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto:
«Nel pubblico impiego contrattualizzato, l’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 – in difetto di diverse disposizioni di legge o della contrattazione collettiva riferite a determinate categorie di lavoratori– si interpreta nel senso che il lavoratore assegnato a mansioni appartenenti alla categoria superiore ha diritto (per il periodo di svolgimento di tali mansioni in modo prevalente ai sensi del comma 3 del medesimo art. 52) al pagamento della differenza tra il trattamento economico iniziale previsto per la categoria superiore cui corrispondono le mansioni espletate e quello iniziale della categoria di inquadramento, in aggiunta a quanto percepito dal lavoratore per la posizione economica di appartenenza e, eventualmente, a titolo di retribuzione individuale di anzianità».
8. Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo, rigetta i rimanenti motivi, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per decidere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 22.5.2024.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2024.