Il diritto alla salute del detenuto, prevale sulle esigenze di sicurezza della persona offesa (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 5 gennaio 2021, n. 165).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Rel. Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) VINCENZO nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 11/05/2020 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA TERESA BELMONTE;

sentite le conclusioni del PG LUCIA ODELLO che conclude per l’inammissibilità;

udito il difensore l’avv. (OMISSIS) insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso;

l’avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del Riesame di Palermo ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da Vincenzo (OMISSIS) avverso il provvedimento con il quale il G.I.P. presso quel medesimo Tribunale aveva rigettato l’istanza di sostituzione della custodia in carcere, applicata per partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso e reati connessi, alcuni dei quali compiuti con violenza alla persona, non ravvisando le dedotte ragioni di incompatibilità con il regime carcerario del ricorrente, ultrasettantenne e soggetto al rischio di contrazione del virus denominato Covid 19, anche rilevando che erano state individuate, in sede applicativa della misura, le esigenze di eccezionale rilevanza di cui all’art. 275 co. 4 cod. proc. pen.

1.1. La declaratoria di inammissibilità impugnata è stata pronunciata per violazione della previsione di cui ai commi 2 bis e 3 dell’art. 299 cod. proc. pen.

Ha rilevato, infatti, il Tribunale gravato che, all’atto della presentazione dell’istanza di sostituzione del regime cautelare, la difesa ricorrente aveva omesso di notificare la richiesta alla persona offesa del reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, di cui al capo 9.

2. Ha proposto ricorso per cassazione Vincenzo (OMISSIS), con il ministero del difensore, il quale deduce violazione del principio devolutivo che caratterizza l’appello cautelare, osservando che, in assenza di rilievi specifici del G.I.P., in ordine alla mancanza di informativa alla persona offesa, il Tribunale non avrebbe potuto pronunciarsi sulla questione, dovendo, invece, affrontare il merito dell’impugnazione.

2.1. Sotto altro profilo, contesta la sussistenza dell’obbligo di informazione della persona offesa, poiché specificamente connesso alla presentazione di istanze di revoca o di sostituzione delle misure cautelari per assenza o attenuazione delle esigenze cautelari, ai sensi dei primi due commi dell’art. 299 cod. proc. pen..

Nel caso di specie, invece, l’istanza difensiva era stata formulata ai sensi dell’art. 275 co. 4 cod. proc. pen., per far valere una situazione di incompatibilità con il regime intramurario, dovuta all’età e alle condizioni di salute del detenuto, in ordine alla quale la persona offesa nulla avrebbe, peraltro, potuto rilevare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato, per quanto si dirà.

1. Preliminarmente, va richiamato l’orientamento di questa Corte a tenore del quale, in sede di appello cautelare, il controllo officioso del giudice sulla legittimità del provvedimento prescinde totalmente dal principio devolutivo, fissato in via generale dall’art. 597 cod. proc. pen., trattandosi di un vizio deducibile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo cautelare (così Sez. 6 n. 8691 del 14/11/2017 (dep. 2018) Rv. 272215; conf. Sez. 2, n. 33576 del 14/07/2016, Rv. 267500; Sez. 5, n. 43103 del 12/06/2017, Rv. 271009).

2. Fatta tale premessa, la questione che si pone riguarda la applicabilità della previsione di cui all’art. 299 comma 2-bis cod. proc. pen. al caso in cui venga prospettata la incompatibilità con il regime carcerario delle condizioni di età e di salute del detenuto in stato di custodia cautelare intramuraria.

3. Com’è noto, a seguito delle modifiche introdotte – in attuazione della Direttiva dall’art. 29/2012/EU 9 ,che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato – dall’art. 2, comma 1, lett. b), n. 3), D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, l’art. 299 comma 3 c.p.p. statuisce che: “Il pubblico ministero e l’imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice, il quale provvede con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta.

La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2-bis del presente articolo, che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio”.

I provvedimenti ai quali fa riferimento il comma 2 bis dello stesso art. 299 c.p.p. (comma introdotto dal medesimo art. 2, D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif. dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119), espressamente richiamato dal suindicato comma 4 bis, sono quelli aventi ad oggetto “delitti commessi coni violenza alla persona” e l’onere di notifica contestuale alla persona offesa, a pena di inammissibilità delle stesse richieste, è previsto sia nella fase delle indagini che in quelle successive ( art. 299 comma 4 bis).

La ratio delle disposizioni in esame è dichiaratamente quella di rendere partecipe la vittima dei delitti commessi mediante violenza alla persona dell’evoluzione dello status cautelare dell’indagato (o imputato), permettendo altresì alla stessa di presentare, entro un breve termine, memorie ai sensi dell’art. 121 c.p.p., al fine di offrire all’Autorità giudiziaria procedente ulteriori elementi di valutazione pertinenti all’oggetto della richiesta.

Tutto ciò al fine di evitare che la persona offesa, già vittima di un reato perpetrato ai suoi danni, possa tornare a divenire oggetto delle violenze da parte dell’autore del reato, con lo scopo, dunque, di evitare quella che si definisce “vittimizzazione secondaria”.

In tal modo si è introdotta, nell’ambito di tali procedimenti, un’obbligatoria forma di interlocuzione con la persona offesa dal reato, individuata quale destinataria ex lege della notifica della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari previste dagli artt. 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p. , a pena di inammissibilità dell’istanza de libertate.

3.1. La disciplina si inserisce nell’ambito di una stagione di tutela di soggetti vulnerabili, inaugurata a livello internazionale e dell’Unione europea, che, specie dall’approvazione del trattato di Lisbona, ha portato, anche nel nostro ordinamento, alla progressiva ammissione della vittima sul palcoscenico processuale, con un corpus normativo in via di formazione anche nell’ambito del sottosistema cautelare, in cui, oltre alla creazione di alcune misure ad hoc – allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) e divieto di frequentare i luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 283-bis c.p.p.) – rilevano l’introduzione della nuova esigenza cautelare di cui all’art. 284, comma 1-bis, c.p.p., in forza della quale nell’applicazione della misura degli arresti domiciliari, il giudice deve considerare le prioritarie esigenze della persona offesa dal reato, come pure le innovazioni riguardanti l’art. 299 c.p.p., sotto il profilo della concessione alla vittima di diritti d’informazione oltreché di un vero e proprio diritto al contraddittorio cartolare postumo, su revoca e sostituzione delle misure adottate (Cfr. Sez. 2, n. 36680 del 04/05/2017, Rv. 270640 per una ricostruzione degli interventi legislativi in materia).

3.2. Ciò posto, si osserva, innanzitutto, che, nel caso in esame, si discute, non di una richiesta di modifica/sostituzione della misura cautelare in corso (ex art. 299 comma 3 cod. proc. pen.), ma della prospettazione, da parte del difensore dell’indagato ultrasettantenne, sottoposto a regime carcerario, di una situazione di incompatibilità, per l’età e per ragioni di salute (in considerazione del maggiore rischio di contrazione, in ambiente carcerario, del virus pandemico), con il regime carcerario, ai sensi dell’art. 275 comma 4 bis cod. proc. pen..

Occorre, allora, verificare se anche in tale ipotesi, sulla base dell’attuale disciplina processuale, sia ravvisabile a carico dell’indagato istante – come ha ritenuto il Tribunale del Riesame nell’ordinanza impugnata – l’obbligo di informativa alla persona offesa nel caso di modifica migliorativa del regime cautelare.

3.3. Una prima osservazione è dettata dalla considerazione che, nell’impianto normativo di cui alla legge n. 119/2013, l’obbligo di informativa alla persona offesa non ha un carattere generalizzato, dal momento che tale adempimento preliminare è espressamente previsto con esclusivo riferimento alle ipotesi in cui il giudice procede su istanza di parte (sia pubblica che privata): il comma 3 dell’art. 299 cod. proc. pen. impone, infatti, a pena di inammissibilità dell’istanza, l’obbligo di notifica alla persona offesa della “richiesta di revoca o di sostituzione”, mentre un onere analogo non è stato prescritto nei casi in cui la sostituzione o la revoca della misura cautelare siano disposte d’ufficio dal Giudice, ovvero, in sede di assunzione dell’incidente probatorio, di richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari, di assunzione dell’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, di udienza preliminare, di giudizio).

Nel disciplinare il procedimento ufficioso, l’ultimo periodo del terzo comma dell’art.299 cod. proc. pen. non offre, infatti, alle vittime di certi reati la possibilità di conoscere l’evolvere delle vicende cautelari aventi per protagonista l’imputato, ne il diritto al contraddittorio cartolare.

3.4. Allo stesso modo, nella lettera della disposizione di legge, non si rinviene la previsione di una qualche forma di interlocuzione con la persona offesa nell’ipotesi disciplinata dall’art. 275 comma 4 bis cod. proc. pen., quando la revoca o la sostituzione della custodia in carcere sia disposta – d’ufficio o su istanza di parte – per ragioni di salute.

3.5. Deve allora verificarsi se una tale previsione non possa desumersi, in via interpretativa, dall’art. 299, nel senso di ritenere che il riferimento alla richiesta di revoca o di sostituzione delle misure debba intendersi comprensivo anche di quella fondata sulle ragioni di salute del detenuto,,,-7 o se, invece, la diversa disciplina non trovi una sua giustificazione valoriale.

3.6. In tale opera ermeneutica va ricordato che la giurisprudenza costante ritiene applicabile l’art. 32 Cost. a qualsiasi cittadino, anche se sottoposto a misure restrittive della libertà personale, secondo la risalente affermazione che “neppure la generale inderogabilità dell’esecuzione della condanna può sopravanzare allorquando la pena, per le condizioni di grave infermità del soggetto, finisca per costituire un trattamento contrario al senso di umanità, così perdendo la tendenza alla rieducazione”, precisandosi che “il giudice deve dare ragione delle sue scelte, bilanciando il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.) con quelli della tutela della salute (art. 32 Cost.) e del senso di umanità (art. 27 Cost.) che devono caratterizzare l’esecuzione della pena …” (Sez. 1, n. 2819 del 15/06/1992, Piromalli Rv. 191345; anche Sez. 1 n. 358 del 27/01/1992; Rv. 189235 ; Sez. 1, n. 1121 del 17/03/1993, Rv. 193999 ; Sez. 1, n. 3046 del 29/04/1997, Rv. 207422 ).

3.7. D’altro canto, come si è affermato da tempo, i divieti di applicazione della custodia cautelare in carcere stabiliti dai commi quarto e quarto bis dell’art. 275 cod.proc.pen. (….) trovano fondamento nel giudizio di valore operato dal legislatore, nel senso che sulla esigenza/processuale e sociale della coercizione intramuraria debba prevalere la tutela di altri interessi, considerati poziori in quanto correlati ai fondamentali diritti della persona umana sanciti dall’art. 2 della Costituzione, dei quali costituisce speciale esplicazione il diritto alla salute.. (Sez. 1, n. 3964 del 09/10/1992 Cc. (dep. 1993 ) Rv. 193966 – 01; nonchè Sez. 1, n. 5840 del 16/01/2008, Rv. 238655 in cui si è ribadito il principio generale in virtù del quale nel nostro ordinamento la tutela delle ragioni di giustizia e di ordine pubblico è subordinata a quella del diritto alla vita, alla salute e all’allevamento della prole; confr. Sez. 4 sent. n. 46479 del 21/10/2011, non massimato).

L’art. 32 Cost. è divenuto, nel tempo, uno dei baluardi del trattamento rieducativo, in combinato disposto con gli artt. 27 comma 3 e 13 comma 4 della Costituzione, base da cui partire per un corretto e “umano” modus operandi dei ristretti.

I principi costituzionali hanno incrementato la loro forza tutelare dopo la ratifica della C.e.d.u. che, nel suo art. 3, pone l’accento sul concetto di “trattamento inumano e degradante”.

La tutela della salute del detenuto, sia esso definitivo che in attesa di giudizio, è ormai centrale all’interno della normativa sia penale che penitenziaria.

3.8. Il riconoscimento del diritto alla salute quale “valore costituzionale supremo” è il risultato di una evoluzione giurisprudenziale che ha permesso di cogliere le virtualità insite nella generica formulazione costituzionale che sancisce l’impegno della Repubblica a tutelare la salute e a garantire cure gratuite agli indigenti.

La Corte Costituzionale ne ha, infatti, affermato il carattere di «valore […] primario [..] sia per la sua inerenza alla persona umana sia per la sua valenza di diritto sociale, caratterizzante la forma di Stato sociale disegnata dalla Costituzione» (Corte cost., sent. n. 37 del 1991).

La configurazione del diritto alla salute, più in generale, come valore costituzionale supremo si fonda sulla sua riconducibilità all’integrità psico-fisica della persona, oltre, cioè, il diritto sociale a prestazioni sanitarie.

3.9. La prospettiva non muta quando venga in rilievo il difficile rapporto tra carcerazione e tutela della salute, poiché lo stato di detenzione non è incompatibile con la titolarità e l’esercizio dei diritti costituzionali, residuando sempre in capo al detenuto uno spazio di libertà personale.

E’ vero che la reclusione determina un inevitabile restringimento della libertà individuale, che, tuttavia, va contenuto nei limiti imposti dalle esigenze custodiali, senza potersi tradurre in un’ingiustificata compressione dei diritti fondamentali. Il problema centrale, dunque, con riferimento alle persone recluse, è quello della estensione del “limite” delle esigenze di sicurezza, potenzialmente idoneo ad incidere anche sulle altre espressioni del diritto alla salute inteso come valore supremo.

Il problema del corretto equilibrio tra il diritto alla salute del condannato e le esigenze di sicurezza, effettività e certezza dell’espiazione della pena, nonché di sottoposizione dei soggetti pericolosi ai doverosi controlli (Corte cost., sent. 23 ottobre 2009, n. 264), va affrontato con la consapevolezza che «chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale» (Corte cost., sent. n. 349 del 1993).

Emblematica dell’orientamento della Corte costituzionale in ordine alla preminenza del diritto alla salute è la recente pronuncia con la quale, estendendo l’applicabilità della detenzione domiciliare “in deroga” ai casi di grave infermità psichica sopravvenuta in corso di detenzione, emerge l’apertura del Giudice delle Leggi verso il riconoscimento della prevalenza del diritto alla salute della persona nel bilanciamento con il principio di ordine e sicurezza pubblica (Corte Cost. n. 99 del 2019, mass. n. 0042190).

3.10. Anche nella più recente giurisprudenza convenzionale il diritto alla salute – non specificamente declinato, ma ricondotto, per via ermeneutica, nell’alveo dei diritti garantiti, quale corollario del diritto alla vita (art. 2 CEDU), del divieto di pene e trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), del diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio (art. 8 CEDU) – è stato oggetto di una maggiore attenzione e crescente severità nella verifica di compatibilità delle condizioni di detenzione con il rispetto della dignità umana.

Dopo la sentenza Mouisel (Corte EDU, 14 novembre 2002, Mouisel v. France, ric. n. 67263/01.), che ha inaugurato tale filone, l’obbligo, relativo al trattamento dei detenuti malati, ha trovato una più analitica declinazione in un’importante sentenza del 2010, con la quale la Corte ha chiarito che esso si specifica in tre «obligations particulières»: verificare che il detenuto sia in condizioni di salute tali da poter scontare la pena, somministrargli le cure mediche necessarie e adattare, ove necessario, le condizioni generali di detenzione al suo particolare stato di salute (Corte EDU, 9 settembre 2010, Xiros v. Greece, ric. n. 1033/07, § 73).

La prima obbligazione deriva dal principio, proprio dello Stato di diritto, secondo cui la «capacità di subire una detenzione» è presupposto indefettibile per l’esecuzione della stessa.

Un ulteriore aspetto – qui specificamente rilevante – è stato sottolineato con la sentenza nel “caso Provenzano”, (Provenzano c/ Italy, n. 55080/2013), in cui la CEDU nel riscontrare una violazione dell’art. 3 CEDU rispetto all’ultimo decreto di proroga del regime 41-bis, stante il deterioramento delle condizioni cognitive del recluso, ha considerato dirimente l’effettiva condizione psico-fisico del detenuto ai fini della determinazione della sua pericolosità.

3.11. La chiave di lettura è, dunque, da riscontrarsi nella necessità di coordinare il principio di uguaglianza di tutti gli individui di fronte alla legge, di cui all’art. 3 Cost., con quello di tutela della salute ex art. 32 Cost. e del senso di umanità dell’esecuzione penale, art. 27 Cost. e art. 3 CEDU.

Ciò implica riconoscere la dignità umana, al di là dei singoli comportamenti tenuti dalla persona, e la necessità di tutelare le esigenze di sicurezza pubblica senza, tuttavia, limitare i diritti fondamentali della persona.

Se così non fosse l’esecuzione della pena verrebbe illegittimamente ad incidere sul diritto alla salute costituzionalmente a tutti riconosciuto (art.32 Cost.) e si risolverebbe in un trattamento contrario al senso di umanità cui la stessa deve ispirarsi.

4. Queste coordinate ermeneutiche consentono, allora, di individuare la ratio della previsione di cui all’art. 275 comma 3 od. proc. pen., rectius, dell’omesso inserimento, in tale disposizione di legge, dell’obbligo di informativa, alla persona offesa dei reati connotati da violenza, della richiesta di adeguamento del regime cautelare alle condizioni di salute del detenuto.

In tal caso, infatti, tra gli interessi contrastanti che vengono in rilievo, le esigenze di giustizia – che costituiscono il fondamento dei diritti della persona offesa, come declinati nella recente produzione legislativa – non possono che essere recessive rispetto al diritto alla salute del detenuto.

E tanto anche considerando che l’opera di bilanciamento deve farsi ancora più accurata rispetto alla carcerazione preventiva, poiché viene in rilievo, in questa fase, non solo l’art. 32 Cost., ma anche l’art. 27, comma 2, Cost. che declina il principio della presunzione di non colpevolezza (art. 27, comma 2, Cost.), un diritto espressamente qualificato come fondamentale, la cui tutela ha riguardo a un individuo garantito, fino alla sentenza definitiva, dalla presunzione di non colpevolezza.

Per questo, d’altro canto, il procedimento cautelare prevede tempi ristretti per le decisioni fin quanto esse incidono in maniera diretta sulla libertà della personale che è bene primario di fondamentale importanza e tutela, definito come “inviolabile” dalla Carta Costituzionale, all’art. 13.

Le esigenze di sicurezza della persona offesa trovano un limite razionale laddove esse si incrocino con il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione, anche alla luce del principio costituzionale dell’umanizzazione e della funzione rieducativa della pena, nonché delle previsioni della normativa sopranazionale che proibiscono la sottoposizione del detenuto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, specie ove si afferma che la finalità del trattamento “deve essere quella di salvaguardare la salute e la dignità” (art. 3 delle Regole penitenziarie europee).

4.1. Un’ulteriore riflessione può provenire dai principi, già richiamati, affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, che ha rinvenuto la ratio della riforma non tanto nella estensione indiscriminata del diritto di difesa e al contraddittorio della vittima del reato, bensì nella protezione della stessa in relazione a beni fondamentali quali l’incolumità e la vita, ricordando, altresì, che è la stessa Direttiva 20/2012/UE a prevedere, testualmente, che tra le finalità dell’intervento in ambito di Unione Europea vi è comunque la salvaguardia dei diritti dell’autore del reato (Sez. 2, n. 36167 del 03/05/2017,Rv. 270689; conf. Sez. 2, n. 46996 del 08/06/2017, Rv. 271153; Sez. 2, n. 36680 del 04/05/2017, Rv. 270640; Sez. 2 , n. 17335 del 28/03/2019, Rv. 276953; Sez. 11 sez. n. 12800/2020).

Per la delimitazione dell’obbligo di notifica di cui all’art. 229 c.p.p., occorre, dunque, avere riguardo al rischio di recidiva personale, poiché è tale rischio che genera il diritto della vittima a partecipare al procedimento incidentale sulla libertà e a rappresentare le proprie ragioni attraverso il deposito di memorie.

Ed è allora che la tutela della vittima a partecipare al procedimento che si conclude con decisioni rilevanti per la propria incolumità, giustifica l’allungamento dei tempi per la decisione della cautela.

Rischio di recidiva e pericolosità sociale che, all’evidenza, deve ritenersi quantomeno fortemente scemato in presenza di condizioni di salute fragili riscontrate nel detenuto: in tal caso, d’altro canto, non può non considerarsi dirimente l’effettiva condizione psico-fisico del detenuto ai fini della determinazione della sua pericolosità ( Provenzano c/ Italy, cit.).

4.2. L’intervento normativo in questione, dunque, diretto ad ampliare lo spettro cognitivo del giudice, deve restare circoscritto alle ipotesi di richiesta di revoca e sostituzione della misura, come disciplinate dall’art. 299 cod. proc. pen., venendo in rilievo, in tutti gli altri gli altri casi, la comunicazione sulla scarcerazione ex art. 90-ter, c.p.p.

5. L’ordinanza impugnata, non avendo fatto corretto uso dei declinati principi, deve essere annullata, senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata impugnata, e dispone trasmettersi gli atti a Tribunale di Palermo per l’ulteriore corso.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..

Così deciso in Roma, il 13 Ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2021.

SENTENZA – copia conforme -.