Il diritto del lavoratore alla tredicesima e quattordicesima si prescrive in tre anni, non in un anno (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 11 luglio 2023. n. 19649).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9018-2019 proposto da:

(omissis) (omissis) rappresentato e difeso dall’Avvocato (omissis) (omissis) per procura in calce al ricorso;

ricorrente

contro

(omissis) S.R.L. in liquidazione;

intimato

avverso il DECRETO n. 1230/2019 del TRIBUNALE DI PRATO, depositato il 16/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/4/2023 dal Consigliere dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

FATTI DI CAUSA

1.1. (omissis) (omissis) ha proposto domanda di ammissione al passivo del fallimento della (omissis) s.r.l., cessionaria del ramo d’azienda della (omissis) s.p.a., del credito di €. 223.041,13 vantato in virtù del rapporto di lavoro intercorso con la società fallita.

1.2. Il ricorrente, in particolare, ha dedotto di:

– aver percepito, in conformità alle risultanze delle buste-paga periodicamente emesse dalla società in bonis, nel mese di aprile del 2014 e poi nei mesi da settembre del 2014 a febbraio del 2015, “una retribuzione sensibilmente inferiore rispetto a quella che gli sarebbe spettata”;

– di aver percepito, sempre in coerenza con le risultanze delle buste-paga, anche i ratei della tredicesima e della quattordicesima mensilità relative agli anni 2014 e 2015, l’indennità per ferie non godute, l’indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento e il trattamento di fine rapporto in misura sensibilmente inferiore rispetto a quella che gli sarebbe spettata in quanto computati “sulla retribuzione effettivamente corrisposta piuttosto che su quella convenzionalmente dovuta”.

1.3. Il giudice delegato, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione presuntiva annuale di cui all’art. 2955 c.c. proposta dal curatore, ha respinto la domanda di ammissione sul rilievo che “l’istante (aveva) contesta(to) tardivamente, oltre il termine annuale di cui all’art. 2955 del Codice Civile, gli importi indicati a qualunque titolo nelle buste-paga, che conferma di aver percepito per intero”.

1.4. ha proposto opposizione avverso tale rigetto deducendo, tra l’altro, che l’eccezione di prescrizione presuntiva di un credito non può essere accolta se chi la solleva abbia riconosciuto e ammesso, anche solo in parte e indirettamente, che l’obbligazione non si è estinta e che, nel caso di specie, il giudice delegato si era limitato ad affermare che la parte istante non aveva formulato alcuna contestazione in merito alle buste-paga periodicamente consegnate.

1.5. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha respinto l’opposizione.

1.6. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto che l’eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dal curatore, avendo la valenza esclusivamente processuale di paralizzare l’altrui richiesta di insinuazione al passivo, richiede solo che la parte onerata si limiti a sollevare l’eccezione non essendo, per contro, necessario, in termini processuali, “alcun ulteriore comportamento di contestazione in ordine a/l’esistenza del credito”, e che non è possibile “inferire dalla mancata contestazione del credito ad opera della parte che sollevi l’eccezione di prescrizione un comportamento da cui desumere, indirettamente, il riconoscimento dell’esistenza del credito”.

1.7. L’eccezione di prescrizione, infatti, ha osservato il tribunale, costituisce “una questione preliminare di merito idonea a definire il giudizio, per cui “solo laddove l’infondatezza del diritto azionato emergesse con maggiore evidenza probatoria rispetto a/l’eccezione posta a fondamento della questione preliminare, il giudice, in base al c.d. principio della ragione più liquida, potrebbe entrare nel merito della res in iudicio deducta, prima di affrontare l’eccezione di natura preliminare”.

1.8. (omissis) (omissis), con ricorso notificato in data 12/3/2019, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione del decreto.

1.9. Il Fallimento è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 3 c.p.c., la violazione e l’omessa ovvero erronea applicazione dell’art. 2959 c.c., in relazione all’art. 2955 n. 2 c.c., nonché, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, censurando il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che l’eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dal curatore abbia valenza esclusivamente processuale e che la sua formulazione non richieda alcuna ulteriore contestazione in ordine all’esistenza del credito.

2.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato il ricorrente, il tribunale ha trascurato di considerare che:

– il giudice delegato aveva respinto la domanda di ammissione al passivo del fallimento del credito vantato dall’istante sul rilievo che quest’ultimo aveva contestato gli importi indicati nelle buste­ paga, dichiaratamente ricevuti per intero, oltre il termine annuale previsto dall’art. 2955 c.c., e che la mancata contestazione entro quest’ultimo termine aveva determinato la prescrizione presuntiva del credito relativo agli ulteriori importi dovuti;

– l’affermazione secondo cui le risultanze delle buste paga, i cui importi sono stati percepiti per intero, sono state contestate tardivamente, equivale, tuttavia, ad affermare che la retribuzione e le altre indennità sono stati corrisposti al dipendente solo per gli importi indicati nelle buste paga, e dunque all’implicita ammissione della mancata corresponsione degli importi ulteriori pretesi.

2.3. L’eccezione di prescrizione presuntiva, però, a norma dell’art. 2959 e., non può essere accolta se colui che l’abbia formulata abbia ammesso, anche implicitamente, che l’obbligazione non si é estinta, come accade nel caso in cui il debitore abbia negato l’esistenza del credito oggetto della domanda ovvero abbia dedotto che il credito non era mai sorto ovvero ancora ne abbia contestato l’entità.

2.4. Il motivo è fondato.

Com’è noto, la prescrizione presuntiva trova fondamento nella supposizione, avente fonte legale, che determinati crediti, per il tipo di contratti da cui sono sorti, vengano estinti sollecitamente, in un lasso di tempo ristretto, con l’effetto che, trascorso un certo periodo da quando sono sorti senza che il creditore abbia fatto valere la sua pretesa, si presumono estinti.

2.5. La prescrizione presuntiva non opera, quindi, sul piano del diritto sostanziale, come la prescrizione estintiva, che, laddove venga sollevata, è causa di estinzione del diritto, ma si dispiega interamente sul terreno della prova nel processo (cfr. Cass. n. 20602 del 2022, in motiv.), ponendo a favore del debitore la presunzione legale che, una volta trascorso il periodo di tempo previsto dalla legge, l’obbligazione si sia estinta. Si tratta, peraltro, di una presunzione legale semplice, che il creditore può superare deferendo il giuramento decisorio “per accertare se si è verificata l’estinzione del debito” (art. 2960 c.c.).

2.6. Tuttavia, proprio perché la prescrizione presuntiva opera sul piano della prova e non su quello sostanziale, il fatto (incerto) che la stessa presume, e cioè il pagamento del debito, (anche se ad eccepirla è il curatore del fallimento del debitore: n. 20602 del 2022, in motiv.) dev’essere escluso tutte le volte in cui il debitore sollevi nel processo eccezioni e difese che, essendo incompatibili con esso, lo smentiscano. L’art. 2959 c.c. stabilisce, in effetti, che l’eccezione di prescrizione presuntiva va rigettata in tutti i casi in cui chi la oppone ammette “che l’obbligazione non si è estinta” ovvero (come, appunto, nel caso del curatore del fallimento) dichiari di non sapere se il pagamento sia avvenuto o meno (Cass. n. 20602 del 2022: “non può giudicarsi conforme a diritto che il curatore da un lato formuli l’eccezione di prescrizione presuntiva, la quale sta a significare che il credito è stato estinto mediante pagamento, e dall’altro affermi, contraddicendo sé stesso, di non essere a conoscenza se il pagamento sia avvenuto o meno”).

2.7. Ciò si verifica, in particolare, nel caso in cui il debitore sollevi eccezioni incompatibili, anche in modo implicito, sul piano logico e giuridico, con il verificarsi dell’estinzione dell’obbligazione, come nel caso in cui contesti l’an della pretesa, vale a dire l’esistenza o la validità del titolo o di non essere lui ma altri il debitore, ovvero la prestazione da cui sorgerebbe il suo debito o il relativo quantum, trattandosi di situazioni le quali presuppongono che il credito non sia stato estinto (cfr., in tal senso, Cass. 1765 del 2022, in motiv.).

2.8. L’eccezione di prescrizione presuntiva, m effetti, implica il riconoscimento dell’esistenza del credito nella misura richiesta dal creditore e non può essere, pertanto, opposta dal debitore il quale dichiari di avere estinto l’obbligazione per una somma inferiore a quella domandata (cfr. Cass. 15132 del 2001).

2.9. A differenza di quella estintiva, che preclude ogni indagine sulla fondatezza della pretesa azionata anche se il convenuto ne abbia negato l’esistenza o l’ammontare, la prescrizione presuntiva, pertanto, non opera se le ammissioni operate da colui che l’eccepisce (o la mancata prestazione del giuramento da parte dello stesso) sono incompatibili con la presunta estinzione del debito sulla quale tale eccezione si fonda.

2.10. Il decreto impugnato, invece, pur avendo rigettato la domanda di ammissione al passivo in ragione dell’eccezione di prescrizione presuntiva che il curatore aveva sollevato, a norma dell’art. 2955 c.c., sul mero rilievo che “l’istante (aveva) contesta(to) tardivamente, oltre il termine annuale di cui all’art. 2955 del Codice Civile, gli importi indicati a qualunque titolo nelle buste-paga”, non ha, tuttavia, verificato, come invece avrebbe dovuto, se, in fatto, lo stesso curatore, lì dove aveva dedotto che l’opponente aveva dichiaratamente percepito per intero gli importi indicati nelle buste-paga, aveva, così facendo, inteso effettivamente dedurre l’avvenuta estinzione delle pretese alle ulteriori somme, ivi non esposte, in ragione della presunzione che le stesse, per il passaggio del termine annuale, era state pagate, oppure se, al contrario, aveva inteso contestare l’esistenza stessa del credito, così azionato, alla differenze retributive ed ai ratei conseguenti ma senza dedurne il pagamento, in tal modo proponendo una difesa incompatibile, come visto, con la prescrizione presuntiva della relativa pretesa, che tale pagamento, invece, necessariamente presuppone.

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e l’omessa ovvero erronea applicazione dell’art. 2955 n. 2 c.c., in relazione all’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007, come modificato dall’art. 12 del d.l. n. 201/2011, conv. con modifiche  dalla I. n. 214/2011, censurando il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale non ha considerato che le prescrizioni presuntive operano unicamente nei rapporti negoziali che sorgano, si svolgano e si esauriscano senza formalità, nei quali il pagamento sia effettuato in contanti, senza quietanze e senza dilazione nel momento stesso della loro controprestazione, e non anche per i crediti che, come quello vantato dall’opponente, traggano origine da un contratto stipulato in forma scritta.

3.2. Il motivo è inammissibile.

In effetti, se è vero che le prescrizioni presuntive, trovando ragione unicamente nei rapporti che si svolgono senza formalità, dove il pagamento suole avvenire senza dilazione, non operano se il credito trae origine da contratto stipulato in forma scritta (Cass. n. 9930 del 2014; conf., Cass. n. 10379 del 2018; Cass. n. 13707 del 2019; Cass. n. 789 del 2022), è anche vero, però, il decreto impugnato non risulta aver trattato in alcun modo la questione posta dalla censura in esame: ed è, invece, noto che, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018), qualora una determinata questione giuridica, che implichi (come quella esposta) un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere, nel caso in esame rimasto inadempiuto, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito (e non, semplicemente, delle prove, come le scritture private dallo stesso sottoscritte, che avrebbero dimostrato le relative circostanze), ma anche, per il principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

4.1. Con il terzo motivo, il ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e l’omessa ovvero erronea applicazione dell’art. 2956 n. 1 c.c., in relazione all’art. 2955 n. 2 c.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha respinto l’opposizione allo stato passivo senza considerare che la norma dettata dall’art. 2955 c.c. prevede che sia assoggettato alla prescrizione presuntiva annuale il credito dei prestatori di lavoro per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori al mese e che tale norma avrebbe al più colpito il credito alle differenze retributive per i mesi, come aprile 2014 e quelli da settembre 2014 a febbraio dell’anno successivo, nei quali il dipendente ha percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella che sarebbe convenzionalmente spettata, ma non anche le altre pretese azionate, come le differenze sulle tredicesime e sulle quattordicesime mensilità, sull’indennità per ferie non godute, sull’indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento e sul trattamento di fine rapporto, le quali, attenendo a voci corrispettive delle prestazioni di lavoro dipendente erogate a periodi superiori al mese, sono disciplinate dalla norma contenuta nell’art. 2956 n. 1 c.c. e, quindi, assoggettate alla prescrizione presuntiva triennale.

4.2. Il motivo è fondato.

La norma prevista dall’art. 2955 n. 2 c.c. prevede, infatti, che si prescrive presuntivamente in un anno solo il diritto dei prestatori di lavoro alle “retribuzioni corrisposte a periodi non superiori al mese”: non anche, quindi, il diritto del prestatore di lavoro a somme, come l’indennità sostitutiva delle ferie, che matura di anno in anno (Cass. n. 337 del 1963), le quali, al pari di quelle dovute a titolo di tredicesima e quattordicesima, sono assoggettate, quali retribuzioni corrisposte “a periodi superiori al mese”, alla prescrizione presuntiva di tre anni (art. 2956 n. 1 c.c.), nello stesso modo in cui il credito al trattamento di fine rapporto, così come il diritto all’indennità sostitutiva del licenziamento, sono assoggettati esclusivamente alla prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 n. 5 c.c. e non anche alla prescrizione presuntiva (Cass. n. 6522 del 2017; Cass. n. 15798 del 2008).

5. Il ricorso, nei limiti indicati, dev’essere, quindi, accolto e il decreto impugnato, per l’effetto, cassato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Prato che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il secondo; cassa, in relazione ai motivi accolti, il decreto impugnato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Prato che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione civile, il giorno 13/04/2023.

Depositato in Cancelleria l’11 luglio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.