REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –
Dott. VIGANLE Lucia – Consigliere –
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –
Dott. BRUNO Mariarosaria – Rel. Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) ABDELLATIF nato il 20/06/19xx;
avverso la sentenza del 17/02/2021 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa MARIAROSARIA BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. LUIGI ORSI, che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale conclude per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Brescia, ha rideterminato la pena inflitta a (OMISSIS) Abdellatif in quella di anni tre di reclusione ed euro 2.800,00 di multa; ha confermato la pronuncia di condanna a carico del predetto in relazione a plurimi episodi di cessione continuata di sostanze stupefacenti di diversa qualità, riqualificati ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.
2. La difesa lamenta che il decreto di latitanza è stato emesso illegittimamente.
E’ necessario fare riferimento all’antefatto che ha condotto alla emissione del suddetto decreto.
La difesa rappresenta che in data 31/03/2009 i carabinieri di Chiari (BS), a seguito di servizio di osservazione presso la stazione ferroviaria di Rovato, sottoponevano a perquisizione un’autovettura con a bordo (OMISSIS) Mohamed e (OMISSIS) Abdellatif; all’esito della perquisizione non veniva rinvenuta sostanza stupefacente, ma solo alcuni telefoni cellulari con relative sim card.
Successivamente i militari estendevano la perquisizione all’abitazione di (OMISSIS) Mohamed con esito negativo.
Dopo il controllo i due fermati erano rilasciati.
A seguito di ulteriore attività di indagine originata dai numeri telefonici rinvenuti nei cellulari sequestrati all’atto del controllo, protrattasi per circa un anno, si addiveniva alla raccolta di elementi che determinavano il P.M., in data 23/2/2010, a chiedere l’applicazione della misura della custodia in carcere nei confronti dell’imputato per i reati in contestazione.
In data 3/3/2010 il G.I.P. presso il Tribunale di Brescia disponeva con ordinanza la misura richiesta.
Tuttavia, non era possibile eseguire il provvedimento coercitivo per impossibilità di reperire l’imputato.
In data 15/03/2010 gli stessi carabinieri di Chiari redigevano verbale di vane ricerche, con il quale si dava atto che il prevenuto era stato invano cercato presso alcuni luoghi dallo stesso abitualmente frequentati; erano svolti poi accertamenti presso la banca dati delle Forze di Polizia ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che sortivano esito negativo.
In data 17/3/2010 il G.I.P. emetteva decreto di latitanza, dando atto che il (OMISSIS) si era “sottratto volontariamente all’esecuzione del provvedimento”; con il medesimo atto provvedeva a nominare un difensore d’ufficio.
La difesa lamenta la nullità del decreto di latitanza, non essendo stato accertato che l’imputato si fosse allontanato volontariamente allo scopo di sottrarsi alla cattura, presupposto indefettibile per la valida dichiarazione di latitanza.
Deporrebbe in tal senso il fatto che il ricorrente, dopo il controllo di polizia, essendo presente irregolarmente in Italia, fu destinatario di un ordine di espulsione, motivo per il quale lasciò il territorio dello Stato.
Tutto ciò premesso, la difesa rappresenta di avere richiesto alla Corte di merito, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. di acquisire, quale prova decisiva del difetto del presupposto della dichiarazione di latitanza, la documentazione esistente presso la Questura di Brescia da cui potersi evincere la data di allontanamento del (OMISSIS).
Tale informazione, si legge nel ricorso, “appariva determinante in quanto, qualora la documentazione in parola avesse attestato che l’imputato si era allontanato dall’Italia prima dell’emissione della richiesta di applicazione della misura cautelare e, soprattutto, della successiva ordinanza di custodia inframuraria, ciò avrebbe dimostrato che egli non si era volontariamente sottratto all’esecuzione di tale ultimo provvedimento; in tale caso, ovviamente, si avrebbe avuto prova che il decreto di latitanza era stato erroneamente emesso, con conseguente nullità assoluta ed insanabile di tutti gli atti e provvedimenti successivi – compresa, ovviamente, la sentenza di primo grado”.
La Corte di merito, nel rigettare la richiesta, avrebbe espresso una motivazione incongrua, essendosi limitata ad affermare che non vi era prova in atti dell’espulsione del ricorrente, trascurando di considerare che la lacuna probatoria costituiva la ragione che aveva spinto la difesa a chiedere l’acquisizione della documentazione in parola.
Il solo dato relativo alla perquisizione effettuata in data 31 marzo 2009 è elemento insufficiente per ritenere che lo stesso potesse prevedere la futura emissione del provvedimento cautelare.
3. Il motivo di doglianza è manifestamente infondato, pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La Corte di merito ha rigettato la richiesta difensiva, osservando:
“il primo motivo d’impugnazione non può essere accolto, in quanto non vi è alcuna prova in atti che l’imputato sia stato espulso dal territorio italiano dopo la perquisizione locale e il sequestro probatorio da lui subiti il 31.3.2009 da parte della p.g., con copie dei relativi verbali a lui consegnate, nell’ambito dell’indagine preliminare del presente procedimento penale”.
L’argomentazione non soffre dei vizi lamentati nel ricorso.
La difesa ha evidentemente avanzato alla Corte di appello una richiesta di carattere esplorativo, desumendo da un presupposto soltanto ipotetico (emissione del decreto di espulsione) il difetto del volontario allontanamento dell’imputato dal territorio dello Stato allo scopo di sottrarsi alle ricerche.
La Corte di merito ha evidenziato che, ove fosse stato emesso il decreto di espulsione nel corso del procedimento avrebbero dovuto essere presenti in atti i relativi verbali, circostanza che non risulta.
La stessa difesa riconosce che la presenza di documentazione attestante l’emissione del provvedimento di espulsione presso la Questura è soltanto eventuale.
Occorre in proposito rammentare come, in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale innanzi al giudice di appello, il vigente codice di rito penale pone una presunzione di completezza dell’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado.
Nell’alveo dell’orientamento interpretativo ora richiamato, la Suprema Corte ha anche ribadito che l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione del giudice di appello, tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto in caso di ammessa rinnovazione, presenti una struttura argomentativa che evidenzi – per il caso di mancata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e logica valutazione in punto di responsabilità [cfr. Sez. 6, sent. n. 40496 del 21/05/2009, Messina, Rv. 245009; Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022, Rv. 283522: “Il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Conf: n. 2110 del 1995, Rv 203764-01)”].
Orbene, nel caso di specie, la Corte di appello ha constatato, con motivazione in alcun modo contrastata dalla difesa mediante efficaci allegazioni, che non risulta in atti alcun documento attestante il provvedimento di espulsione.
Pertanto, la decisione della Corte di merito di rigettare la richiesta formulata dalla difesa ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. è immune da censure.
4. Consegue alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso il 15 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2023.