Il Magistrato di sorveglianza revoca la sua stessa decisione disponendo il trasferimento in carcere ove v’è struttura adeguata all’emergenza Covid-19 (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 22 febbraio 2021, n. 6761).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ALIFFI Francesco – Rel. Consigliere –

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere –

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) ANTONINO nato a (OMISSIS) il 04/09/1955;

avverso l’ordinanza del 09/06/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO ALIFFI;

lette le conclusioni del PG, Dott. GIULIO ROMANO che ha chiesto il rigetto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Firenze, premesso che il detenuto Antonio (OMISSIS) era stato dapprima ammesso in via provvisoria ed urgente, con provvedimento del magistrato di sorveglianza di Siena in data 6 aprile 2020, alla detenzione domiciliare per gravi motivi di salute connessi alla diffusione della pandemia Covid 19 e successivamente, con provvedimento dello stesso Magistrato di sorveglianza, in data 12 maggio 2020, associato ad una diversa Casa circondariale dotata di maggiore offerta specialistica, ha rigettato, in via definitiva, l’istanza di differimento pena ai sensi degli artt. 47-ter e 47-ter, comma 1-ter Ord. pen. rilevando l’assenza del presupposto della incompatibilità delle attuali condizioni di salute con la detenzione in carcere.

2. Avverso l’ordinanza Antonio (OMISSIS) ha proposto, per il tramite del difensore, ricorso affidato ad un unico motivo con cui denuncia violazione di legge con riferimento agli artt. 47 ter Ord. pen., e 147 cod. pen. e 2 del d.l. n. 29 del 2020.

2.1. Secondo il ricorrente, il Tribunale di sorveglianza ha erroneamente considerato legittimo il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza aveva disposto la revoca della detenzione domiciliare nonostante fosse stato adottato in palese violazione delle norme introdotte dal d.l. 10 maggio 2020, n. 29, ed in particolare senza attendere il parere obbligatorio del Procuratore distrettuale antimafia in merito al permanere dell’emergenza sanitaria e senza sentire l’autorità regionale competente.

Né è sostenibile che siffatti preventivi adempimenti istruttori possano essere derogati dalla comunicazione dell’amministrazione penitenziaria sulla possibilità di trasferire il detenuto in una struttura in grado di fronteggiare adeguatamente il rischio pandemico.

È parimenti illegittima, prosegue il (OMISSIS), la decisione definitiva.

Il Tribunale di sorveglianza, infatti, non ha acquisito né un parere del Procuratore distrettuale antimafia avente un contenuto rispondente alle previsioni della decretazione di urgenza né le valutazioni dell’autorità regionale.

A prescindere dai problemi di coordinamento tra le attribuzioni dei due organi, magistrato di sorveglianza e Tribunale di sorveglianza, posti dalla normativa introdotta per fronteggiare il rischio pandemico nelle carceri e dei poteri che la stessa conferisce all’amministrazione penitenziaria, di dubbia costituzionalità, la nullità del provvedimento di revoca adottato dal magistrato di sorveglianza non può, comunque, non ripercuotersi in quello dell’organo collegiale.

2.2. Nel merito, l’ordinanza impugnata è illogica perché ha valorizzato la regressione del fenomeno pandemico senza considerare l’attualità della patologia di cui soffre il detenuto, rimasta immodificata rispetto al provvedimento provvisorio di ammissione alla detenzione domiciliare; ha, inoltre, enfatizzato l’offerta sanitaria del nuovo istituto che, invero, è identica a quella offerta al detenuto in precedenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.

1. Va, innanzitutto, ricostruito il quadro normativo su cui si innestano le questioni sollevate dal ricorrente con riferimento sia al procedimento svoltosi davanti al magistrato di sorveglianza che a quello in esito al quale il Tribunale di sorveglianza ha emesso il provvedimento impugnato.

Con l’art. 2, comma 1, lettera b) del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, è stato introdotto, tra l’altro, un nuovo comma 1-quinquies all’art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 allo scopo di imporre alla magistratura di sorveglianza, nei procedimenti di concessione della detenzione domiciliare cosiddetta in surroga di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., di acquisire il parere obbligatorio del Procuratore antimafia del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza, nonché – nel caso di detenuti sottoposti al regime penitenziario di cui al 41-bis Ord. pen.. – del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Con l’art. 2 di un secondo decreto-legge, il d.l. 10 maggio 2020, n. 29, contenente disposizioni applicabili anche alle misure di detenzione domiciliare già disposte in data successiva al 23 febbraio 2020 per ragioni sanitarie legate all’emergenza da COVID-19 e ancora in corso di esecuzione, è stato previsto che il magistrato o il tribunale di sorveglianza, che avesse ammesso alla detenzione domiciliare o al differimento della pena, «per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19», i condannati e gli internati per una serie di gravi reati di criminalità organizzata o comunque sottoposti al regime penitenziario di cui all’art. 41-bis ordin. penit., valutasse «la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile».

Si tratta di una valutazione sottoposta a precise regole, anche di natura temporale; sono, infatti, previste:

– la preventiva acquisizione del “parere” del Procuratore distrettuale antimafia del luogo di commissione del reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati e internati già sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen. (prima parte del comma 1);

– la effettuazione immediata «anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati», nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena (nell’inciso finale del comma 1);

– l’acquisizione di informazioni dall’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale, e dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria «in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena può riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute» (comma 2).

Infine, l’autorità giudiziaria «provvede valutando se permangono i motivi che hanno giustificato l’adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o al differimento di pena, nonché la disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell’internato. Il provvedimento con cui l’autorità giudiziaria revoca la detenzione domiciliare o il differimento della pena è immediatamente esecutivo» (comma 3).

Il successivo art. 5 del dl. n. 29 del 2020 stabilisce, tra l’altro, che le disposizioni di cui al precedente art. 2 si applicano «ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena e ai provvedimenti di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari adottati successivamente al 23 febbraio 2020.

Per i provvedimenti di cui al periodo precedente già emessi alla data di entrata in vigore del presente decreto il termine di quindici giorni previsto dagli articoli 2, comma 1, e 3, comma 1, decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto».

In sede di conversione in legge del dl. n. 28 del 2020, la legge, 25 giugno 2020, n. 70 ha, all’art. 1, comma 3, abrogato interamente il d.l. n. 29 del 2020 (“Il decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, è abrogato”), facendo, però, espressamente salvi la validità degli atti e dei provvedimenti adottati, nonché gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del d.l. n. 29 del 2020 (“Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29).

Con la legge n. 70 del 2020 le disposizioni del dl. n. 29 del 2020, formalmente abrogate, sono state trasfuse, con alcune modifiche, nel corpo normativo del decreto-legge n. 28. L’art. 2-bis del dl. n. 28 del 2020, come convertito, pertanto:

– nei primi tre commi, riproduce il contenuto del previgente art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 (con la sola marginale variazione dell’individuazione del Procuratore della Repubblica, anziché del Procuratore distrettuale antimafia, quale organo competente a fornire il parere indicato dalla norma);

– nel quarto comma, innovando rispetto alla disciplina precedente, prevede l’obbligo di immediata trasmissione degli atti da parte del magistrato di sorveglianza al tribunale di sorveglianza, il quale – nelle ipotesi in cui il primo abbia disposto la revoca della misura extra muraria precedentemente concessa – è ora tenuto ad adottare la decisione definitiva sull’ammissione alla misura entro i trenta giorni successivi, pena la perdita di efficacia dello stesso provvedimento di revoca’ – nel quinto comma riproduce il contenuto del previgente art. 5 del dl. n. 29 del 2020.

Infine, va ricordato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 245 del 2020 nell’esaminare più questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, ha ritenuto compatibile con gli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., la scansione procedimentale che prevede un contradditorio soltanto differito ai fini della eventuale revoca della misura extramuraria, da parte dello stesso magistrato di sorveglianza che l’aveva in precedenza concessa, in considerazione del successivo recupero della pienezza delle garanzie difensive e del contraddittorio nel procedimento avanti al tribunale di sorveglianza.

La sentenza della Consulta ha anche precisato, per quanto di interesse in questa sede, che in “nessun luogo della disposizione censurata emerge la prospettiva di un affievolimento della tutela della salute del condannato; sottolineandosi anzi, nel comma 2 dell’art. 2-bis, la necessità di verificare – quale presupposto della revoca – l’effettiva «disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato […] può riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute»: la cui tutela resta, dunque, essenziale anche nell’ottica della legge”.

2. Tenuto conto della disciplina vigente, quella inizialmente introdotta dal d.l. n. 29 del 2020 poi trasfusa con modificazioni nel decreto n. 28 del 2020 dalla legge di conversione n. 70 del 2020, nonché della clausola di salvezza dei provvedimenti già adottati contenuta all’art. 1, comma 3, di quest’ultima legge, il Tribunale ha correttamente considerato non più deducibili né comunque rilevabili i prospettati vizi procedurali in cui sarebbe incorso il magistrato di sorveglianza provvedendo, a mente dell’art. 2, comma 1, dl. n. 29 del 2020, alla rivalutazione della permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria e, per l’effetto, disponendo la revoca dell’ammissione provvisoria alla detenzione domiciliare in luogo del differimento della pena senza il parere del Procuratore antimafia e senza interpellare l’autorità sanitaria regionale.

A prescindere della nuova e più stringente sequenza procedimentale introdotta dal comma 4 dell’art. 2 bis del d.l. n. 28 del 2020, ai fini dell’applicazione della detenzione domiciliare “in surroga” di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter Ord. Pen., l’intervento in via di urgenza del magistrato di sorveglianza che, a mente del comma 1-quater dell’art. 47-ter Ord. pen., disponga l’«applicazione provvisoria» della misura ha natura meramente interinale, in quanto adottato nell’ambito di un procedimento condotto ex officio senza alcuna necessità di interlocuzione preventiva con la difesa del condannato.

Il provvedimento interinale, pertanto, è destinato a essere caducato dalla successiva decisione definitiva dell’organo destinatario naturale dell’istanza del detenuto di differimento della pena, ossia dal tribunale di sorveglianza, in esito ad un procedimento regolato nelle forme dell’incidente di esecuzione nel pieno contraddittorio tra difesa e parte pubblica.

Ne segue che il giudizio del tribunale di sorveglianza, lungi dall’avere ad oggetto il controllo o la convalida del provvedimento adottato in via di urgenza dal magistrato di sorveglianza, è rivolto a verificare l’attuale sussistenza delle condizioni e dei presupposti della misura richiesta dal detenuto con le scansioni previste dagli artt. 678 e 666 cod. proc. pen. e 70 Ord. Pen.

2.1. Nel caso in esame il magistrato di sorveglianza, peraltro, poteva revocare «immediatamente» l’ammissione disposta in via provvisoria ricorrendo la specifica ipotesi prevista dai commi 2 e 3 dell’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020, ricordata anche dalla Corte costituzionale nella sentenza citata in precedenza, ovvero la positiva valutazione della «idoneità» della struttura penitenziaria, indicata con tempestiva comunicazione dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, «ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto» in precedenza ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena.

Il Magistrato di sorveglianza di Siena, infatti, ha disposto la revoca della detenzione domiciliare concessa in via di urgenza solo dopo avere ricevuto e condiviso la nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sulla disponibilità di una diversa struttura penitenziaria dotata di maggiore offerta specialistica nonché della possibilità di avvalersi delle strutture sanitare del territorio più facilmente raggiungibili.

2. Infondate sono pure le doglianze che riguardano direttamente la decisione collegiale; essa è stata adottata dal Tribunale di sorveglianza non solo dopo l’acquisizione del parere del Procuratore distrettuale antimafia, che ha escluso, senza occuparsi dei risvolti prettamente medici e scientifici correlati al rischio di contagio pandemico del tutto estraneo alle sue attribuzioni, la sussistenza delle condizioni per confermare la misura domiciliare alla luce dell’attuale pericolosità del detenuto, ma anche sulla scorta di una istruttoria sulla situazione epidemiologica, risultante dalle informazioni del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dalla relazione sanitaria aggiornata, che – a prescindere dall’espresso interpello dell’autorità regionale, la cui omissione non risulta essere sanzionata processualmente se non ove dia luogo ad un vizio della motivazione a sostegno della decisione – consentiva di formulare un giudizio completo sulle condizioni di salute del detenuto, sulla loro compatibilità con il regime carcerario e sul carattere non disumano della detenzione, anche con specifico riferimento al rischio di contagio da Covid 19.

Sotto quest’ultimo profilo, il Tribunale ha, infatti, evidenziato come alla stregua della documentazione in atti risultasse accertato che la struttura penitenziaria ove il (OMISSIS) era stato collocato, dopo la revoca della provvisoria ammissione alla detenzione domiciliare, per l’offerta terapeutica e la notevole vicinanza ad un presidio ospedaliero attrezzato (distante solo tre chilometri), garantisse un’assistenza sanitaria adeguata rispetto alla gravità delle condizioni di salute del detenuto in relazione a tutte le patologie da cui era affetto, considerata l’assenza di maggiori rischi di contagio nelle strutture carcerarie rispetto ad altri siti a seguito della comprovata riduzione dell’emergenza pandemica nel mese di giugno.

3. Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, in Roma il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.